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A parte la legge quadro di riforma dell’assistenza introdotta nel 2000, l’Italia si distingue nel panorama europeo per l’assenza di riforme incisive volte a ridefinire l’intervento pubblico in materia di nuovi rischi sociali. Povertà ed esclusione sociale, conciliazione e servizi per la prima infanzia, non autosufficienza continuano a rimanere rischi ancora non adeguatamente protetti. Con riferimento alla non autosufficienza va tuttavia segnalato che recentemente il Ministro della Salute Balduzzi non solo ha sottolineato la rilevanza del tema e l’urgenza nel trovare soluzioni per affrontarlo ma ha anche indicato nella assicurazione sociale obbligatoria per la non autosufficienza la misura da introdurre e implementare attraverso una riforma nazionale. “Forse in prospettiva bisognerà andare verso una forma di assicurazione sociale obbligatoria per la non autosufficienza. Non possiamo più accontentarci di una situazione in cui la famiglia ha supplito per molto tempo e continua a farlo. Credo ci voglia una garanzia maggiore per rendere esigibile il diritto”. Così si è espresso il Ministro Balduzzi, parlando di assistenza socio-sanitaria in favore delle persone non autosufficienti. 
Per il ministro è necessario a questo scopo rivedere i meccanismi di finanziamento del settore socio-assistenziale e ripensare il delicato intreccio tra sociale e sanitario. Le dichiarazione di Balduzzi sono state ben accolte dal dibattito politico e sociale. Per il sindacato dei pensionati della CGIL, ad esempio, quella della non autosufficienza è una “questione di civiltà e un paese come il nostro non può non considerarla come uno dei temi principali della propria agenda”. Per lo SPI CGIL occorre quindi investire e lavorare su tre fronti: prevenzione, sostegno delle persone fragili affinché non diventino non autosufficienti e sulla definizione di nuove forme di assistenza e di cura per chi lo è già.
Per passare dalle dichiarazioni all’avvio di un processo che possa portare anche il nostro paese ad affrontare a livello nazionale la sfida della non autosufficienza è certamente utile comprendere il peso delle sfide e il quadro dei nuovi bisogni sociali, individuare i tratti distintivi del modello di intervento sociale fino ad oggi prevalente, e confrontarsi con le esperienza internazionali e con i paesi che hanno introdotto misure di Long Term Care.


La popolazione sta invecchiando rapidamente: gli ultraottantenni in Italia sono 3.5 milioni

L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno comune a tutti i paesi industrializzati che pone nuove sfide ai sistemi di protezione sociale. L’effetto più immediato di questa trasformazione è quello relativo alle maggiori uscite per pensioni e sanità. L’aumento della quota di persone anziane sul totale della popolazione, specialmente con riferimento alla fascia ultraottantenne, si associa però anche al diffondersi di un nuovo rischio sociale, la non-autosufficienza. La perdita di autonomia funzionale tende infatti ad aumentare con l’avanzare dell’età, a fronte della maggiore incidenza delle patologie degenerative di tipo invalidante che si aggiungono al normale processo di invecchiamento [Istat 2010]. Nel 2009 si stima che circa un quarto delle persone tra 75 e 84 anni in Italia presentasse gravi limitazioni nelle proprie attività quotidiane, quota che sale fino al 44% considerando gli ultra-ottantacinquenni (Dati Eu-Silc).
Con riferimento all’invecchiamento demografico, la situazione italiana è sensibilmente più critica rispetto al resto d’Europa. La trasformazione della struttura per età della popolazione sta, infatti, procedendo in modo più rapido, in ragione dei tassi di fecondità particolarmente bassi che caratterizzano il nostro paese da oltre un ventennio e dell’elevata aspettativa di vita. Gli ultra-ottantenni, in particolare, sono passati da 1.8 milioni nel 1990 (3% della popolazione) a 3.5 milioni nel 2010 (6% della popolazione), e si calcola che supereranno i 4.5 milioni nel 2020 (7% della popolazione), per toccare gli 8 milioni nel 2050 (13% della popolazione) (fig. 1).


Fig. 1. La struttura per età della popolazione in Italia, 1950-2050 (tassi e proiezioni)


Fonte: Database Eurostat.


Gli interventi pubblici in materia di non autosufficienza sono inadeguati

Secondo le stime Istat, le persone disabili che vivono in famiglia in Italia sono circa 2.6 milioni, pari al 5% della popolazione [Istat 2010]. A queste si aggiungono circa 200 mila persone adulte e anziane con disabilità che vivono in istituto, per un totale di circa 2.8 milioni di persone che soffrono una perdita di autonomia grave. Mantenendo fisso il tasso di disabilità nella popolazione, l’Istat stima che il numero di persone disabili aumenterà del 65-75% entro il 2035. Per le attività di cura e assistenza, le famiglie in cui è presente almeno un individuo con gravi problemi fisici o psichici si avvalgono principalmente di aiuti gratuiti provenienti dalla rete informale. Solo il 21,7% di queste famiglie accede infatti ad aiuti pubblici, nella forma sia di trasferimenti economici (erogati dal Comune di appartenenza, da istituti di beneficenza o da altri enti), sia di prestazioni sanitarie e non sanitarie a domicilio fornite dall’Asl o dal proprio Comune di residenza. Nel 48.2% dei casi, le famiglie con disabili non ricevono invece nessun supporto esterno al proprio nucleo familiare, facendo fronte autonomamente a tutti i bisogni di cura (tab. 1).


Tab. 1. Famiglie con almeno un componente disabile per tipo di aiuto ricevuto (2003)


Fonte: Istat [2010, pag. 178].

La famiglia come unica risposta ai bisogni di cura per la non autosufficienza rappresenta una soluzione iniqua e insostenibile nel lungo periodo
Date le note lacune dell’intervento pubblico in materia di servizi di cura, le famiglie italiane hanno fronteggiato le sfide poste dalle nuove esigenze di cura in larga misura attraverso l’assistenza informale, fornita dalle reti familiari. Il modello Sud-europeo delle solidarietà parentali estese [cfr. Naldini 2003] trova conferma nel confronto internazionale, che permette di evidenziare l’ampio ricorso alla solidarietà intergenerazionale che caratterizza i paesi Sud-europei. Rispetto ad altri contesti, nei paesi mediterranei si riscontra una maggiore diffusione delle coabitazioni fra le persone anziane e i figli adulti (tab. 2), fenomeno che in Italia riguarda quasi un anziano ultrasettantenne su cinque. Analogamente, come mostra la tabella 3, Italia e Spagna detengono il primato in riferimento al numero medio di ore di assistenza prestate da parte di figli e nipoti non conviventi agli anziani soli e viceversa. Gli scambi fra generazioni per attività di cura in questi due paesi sono infatti nettamente più intensi rispetto non solo ai paesi nordici, ma anche ai paesi dell’Europa continentale. Secondo una recente indagine Istat [2011] sull’infanzia, in Italia quando i genitori lavorano due bambini su tre fino a 10 anni sono abitualmente affidati ai nonni.


Tab. 2. Ultra-settantenni che vivono con i figli adulti in alcuni paesi europei (2004)


Fonte: rielaborazione da Albertini et. al. [2007].
 

Tab. 3. Bisogni sociali e cure informali in alcuni paesi europei (2004)

Nota: l dati qui riportati provengono da elaborazioni effettuate su dati del database SHARE (Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe).
Fonte: rielaborazione da Albertini et. al. [2007] e Bolin et al. [2008].

Il ruolo di primaria agenzia di welfare tuttora svolto dalla famiglia estesa in Italia, oltre a generare iniquità – in quanto le chance di vita vengono a dipendere da fattori ascrittivi -, risulta insostenibile nel lungo periodo in ragione di una serie di trasformazioni che stanno incidendo sull’adeguatezza delle reti primarie nel fronteggiare rischi e bisogni tipici della società e dell’economia attuali. Le famiglie italiane sono infatti diventate più piccole, più instabili e con minori risorse di tempo a disposizione per le attività di cura. I minori che vivono con un solo genitore sono raddoppiati tra il 1998 (6%) e il 2011 (12%), mentre i nuclei composti da una sola persona sono cresciuti dal 19.3% del 1988 al 26.4% nel 2007. La maggiore fragilità dell’istituto familiare e il significativo declino delle dimensioni medie dei nuclei si associano inoltre ad una crescita dell’attaccamento al mercato del lavoro da parte delle donne, soprattutto delle coorti più giovani, grazie anche alla maggiore scolarizzazione. Le risorse di tempo che in futuro potranno essere dedicate alle attività di cura informali sono destinate a diminuire ulteriormente.


Sistemi di governance multilivello e riforme nazionali del welfare

A fronte delle sfide poste dal nuovo contesto socio-economico, i sistemi di protezione sociale europei sono stati sottoposti a significativi processi di rinnovamento volti a renderli più adeguati ai bisogni emergenti. Il perimetro del welfare è andato così ampliandosi per includere funzioni che non ricadono fra quelle ereditate dal trentennio glorioso di espansione delle politiche sociali (1945-1975). Agli schemi classici in materia di pensioni, sanità e assicurazioni del mercato del lavoro, se ne sono accostati altri che si confrontano con nuovi rischi e bisogni sociali, tra cui appunto la non autosufficienza, ma anche la lotta alla povertà e la promozione della conciliazione famiglia-lavoro. Questi nuovi interventi hanno così costituito un nuovo ma essenziale tassello dei sistemi di protezione sociale avanzati, definito «welfare sociale» (Gori, 2011) per differenziarlo dal welfare pensionistico, sanitario e di tutela nel mercato del lavoro.
Come è stato recentemente messo in luce nel Rapporto del Forum del Terzo Settore “Quale futuro per il welfare?”, prendendo in considerazione i paesi più simili all’Italia per cultura e tradizione d’intervento pubblico – vale a dire i paesi dell’Europa continentale e meridionale – le riforme intraprese negli ultimi vent’anni in materia di welfare sociale, sebbene diverse nei contenuti, presentano una serie di aspetti di fondo comuni, che ricorrono in qualità di «ingredienti di base di una policy nazionale». In tutti i paesi tali riforme hanno dato vita a sistemi di governance multi-livello, che prevedono l’interazione di una molteplicità di soggetti e diversi livelli di governo. Gli ingredienti essenziali e ricorrenti di queste politiche sono quattro. In primo luogo, la definizione di un set di standard validi per tutto il paese in modo da garantire un minimo di equità territoriale e consente di limitare la frammentazione e l’eccessiva diversificazione della cittadinanza sociale nel paese. In secondo luogo, il rilievo riconosciuto ai servizi in natura, accanto ai trasferimenti monetari per meglio rispondere ai bisogni di cura e di reinserimento sociale dei beneficiari. In terzo luogo, il coinvolgimento finanziario dello Stato centrale, in forma di co-finanziamento degli interventi socio-assistenziali in quanto i livelli sub-nazionali non avrebbero la capacità finanziaria necessaria per sostenere in autonomia tali politiche. Infine, il ruolo di cabina di regia svolto dallo Stato centrale, ovvero un ruolo di guida per i territori, con funzioni di orientamento, monitoraggio e accompagnamento (anche tecnico).

Le riforme a tutela del rischio non autosufficienza in Germania, Francia e Spagna

La tabella 4 riporta le principali riforme in materia di non autosufficienza approvate nei principali paesi dell’Europa continentale e meridionale. Il raffronto internazionale consente di evidenziare il ritardo registrato in questo ambito da Italia e Grecia, mentre attraverso i box di approfondimento è possibile vedere come tali riforme, sebbene diverse nei contenuti, condividano i tratti di fondo di una policy nazionale che sono stati richiamati sopra.


Tab. 4. Le principali riforme nazionali in materia di non autosufficienza in alcuni paesi europei

 


Box 1 – La Pflegeversicherung in Germania

La normativa esistente risale al 1994 e definisce la prima legislazione completa in materia sulla tutela dei soggetti non autosufficienti. Si tratta di fatto del “quinto ramo” delle assicurazioni sociali tedesche. Infatti, l’architettura del nuovo istituto segue il modello “bismarkiano” delle assicurazioni sociali, innestandosi su quello preesistente delle assicurazioni di malattia.

Con l’entrata in vigore della nuova normativa, a partire da gennaio 1995, è stata introdotta la copertura assicurativa contro la Long Term Care (Pflegeversicherung) tramite un fondo pubblico di assistenza per i non autosufficienti. Sono state previste due fasi di attuazione: nella prima fase è stata garantita la sola assistenza domiciliare; a partire da luglio 1996 è stata introdotta anche l’assistenza presso strutture residenziali.

Gli enti incaricati di gestire il fondo di assistenza sono le “Casse di assistenza”, enti autonomi di diritto pubblico senza fini di lucro, dotati di autonomia gestionale e sottoposti a vigilanza pubblica. Si tratta di fondi istituiti presso le Casse mutue sanitarie. Ogni Cassa sanitaria ha costituito all’interno della propria struttura una Cassa di assistenza per la non autosufficienza a favore dei propri iscritti, gestita dal proprio personale amministrativo. Coloro che godono di assistenza sanitaria erogata da una compagnia assicurativa privata, devono stipulare obbligatoriamente una polizza contro il rischio di non autosufficienza.

I beneficiari della presentazione sono i residenti di qualsiasi età, che necessitano di aiuto per svolgere le azioni quotidiane ricorrenti. Lo stato di bisogno si distingue in quattro categorie: igiene personale, alimentazione, mobilità e faccende domestiche. I benefici e le prestazioni ricevute corrispondono a tre livelli di necessità:
– livello I (rilevante): il bisogno si manifesta una volta al giorno in relazione all’igiene personale, all’alimentazione o a un minimo di due categorie di quelle definite sopra;
– livello II (grave): il bisogno si manifesta almeno tre volte al giorno in relazione a due categorie di quelle in precedenza menzionate;
– livello III (gravissima): il bisogno si manifesta in qualsiasi orario per ogni giorno della settimana in relazione a tutte le categorie descritte dalla normativa.

Qualora si scelga una copertura erogata dalle Casse di assistenza, i beneficiari delle prestazioni possono scegliere nell’ambito dell’assistenza domiciliare fra prestazioni in natura, importi in denaro o prestazioni combinate in natura e in denaro. Sono inoltre previste delle prestazioni ulteriori per i costi di adattamento che facilitino l’assistenza di lungo periodo, per i costi per modificare l’abitazione e per corsi di assistenza riservati ai familiari o ai volontari.

Qualora il soggetto richieda delle cure particolari, che non possono essere prestate a domicilio, si può richiedere un’assistenza part-time. Nell’ipotesi che ciò non sia sufficiente, si accede ad un piano ulteriore denominato Short-Time Care, che fornisce le prestazioni ulteriori ritenute necessarie. Da aprile 2002 le persone sono autorizzate a beneficiare di un’ulteriore prestazione, qualora siano ritenute non autosufficienti e bisognose di assistenza, accertata dal Servizio Medico dell’assicurazione malattia, oltre a quella fornita dal sistema per la Long Term Care. Generalmente questo gruppo di assicurati include casi di demenza senile o di malattie psichiatriche. Le prestazioni sono basate sul livello di assistenza domiciliare o in case di cura richiesto e sono fondate sull’accoglimento di due principi generali: la riabilitazione ha sempre la precedenza rispetto all’assistenza; l’assistenza domiciliare ha sempre la precedenza rispetto all’assistenza in case di cura.

L’assistenza presso case di cura prevede dei costi variabili tra 1.023 e 1.432 Euro a seconda che l’assistito si collochi nel livello di necessità I (assistenza rilevante), nel livello II (assistenza grave) o nel livello III (assistenza gravissima). Tuttavia questi benefici non sono corrisposti in pieno qualora l’assistito abbia già richiesto delle prestazioni superiori ad un certo importo. Selezionando una garanzia assicurativa, sono viceversa erogati i soli importi monetari senza fornire alcun tipo di ulteriore prestazione.

 


Box 2 – L’Allocation personnalisée d’autonomie in Francia

Lo scenario: la Francia ha riformato il proprio sistema di protezione sociale per renderlo più adatto a rispondere alle sfide poste dall’invecchiamento della popolazione già nella seconda metà degli anni Novanta. La riforma del 2001, con cui è stata introdotta l’Allocation personnalisée d’autonomie (APA), ha dato forma organica e ampliato le prestazioni contro il rischio di dipendenza per le persone anziane.

La riforma nazionale: Loi n° 2001-647 relative à la prise en charge de la perte d’autonomie des personnes âgées et à l’allocation personnalisée d’autonomie (20 luglio 2001).

L’obiettivo: la legge introduce una prestazione universalistica per tutelare le persone anziane (>60) dal rischio non autosufficienza. L’accesso alla prestazione non è infatti soggetto alla prova dei mezzi, ma il suo importo varia a seconda del livello di non autosufficienza e della situazione economica del beneficiario.

Il ruolo dello Stato centrale: definizione degli standard di prestazione e delle linee guida per la misurazione dello stato di non autosufficienza. Cofinanziamento, monitoraggio, orientamento e accompagnamento dei territori (i Dipartimenti) attraverso un istituto ad hoc, la Caisse nationale de solidarité pour l’autonomie che sono responsabili della gestione dello schema.

Il mix fra servizi sociali e trasferimenti: lo schema prevede sia trasferimenti economici sia servizi di cura (residenziali, semiresidenziali e soprattutto domiciliari). Il pacchetto di prestazioni viene definito nel momento dell’accesso allo schema sulla base di un piano individuale di servizio. Il trasferimento economico può essere utilizzato anche per remunerare assistenti domiciliari professionali e/o familiari che si occupano della cura (ad eccezione del coniuge o del convivente).

Altre iniziative: nel 2007 il Governo francese ha lanciato un piano quinquennale (2008-2012) per migliorare l’assistenza domiciliare e le cure di sollievo per le persone colpite dall’Alzheimer, con un finanziamento complessivo di 1,6 miliardi di euro. Nel 2003 è stata inoltre introdotta la “journée de solidarité afin d’assurer le financement des actions en faveur des personnes âgées et des personnes handicapées”, che prevede una giornata di lavoro all’anno non retribuita e un versamento da parte delle imprese a favore delle politiche per la disabilità e la non autosufficienza.



Box 3 – La Ley de dependencia in Spagna

Lo scenario: l’invecchiamento demografico e l’intensificarsi dei bisogni legati alla non autosufficienza hanno portato, a metà anni Duemila, il governo centrale spagnolo a guida socialista a fare una prima riflessione sulle iniziative da intraprendere per fronteggiare questo nuovo rischio sociale. Il Libro bianco in materia di disabilità e non autosufficienza pubblicato nel 2005 rappresenta il primo passo verso l’approvazione della riforma organica del 2006.

La riforma nazionale: Ley 39/2006, de Promoción de la Autonomía Personal y Atención a las personas en situación de dependencia (14 dicembre 2006).

L’obiettivo: la riforma prevede l’introduzione di uno schema universalistico per tutelare le persone in condizioni di non autosufficienza. L’accesso allo schema si basa sullo stato di dipendenza e non è soggetto alla prova dei mezzi. Sono previste però compartecipazioni al costo da parte dei beneficiari a seconda della situazione economica. L’entrata a regime della riforma è graduale, con un orizzonte temporale di otto anni (2007-2014). I potenziali beneficiari dello schema (circa 1.4 milioni di persone) diventeranno quindi gradualmente eleggibili nel corso degli otto anni, dando priorità alle situazioni di bisogno più gravi.

Il ruolo dello Stato centrale: il governo nazionale sta svolgendo un importante ruolo di coordinamento, orientamento e monitoraggio dei territori (le Comunità autonome e gli enti locali) attraverso il sistema SAAD (Sistema para la Autonomía y Atención a la Dependencia), appositamente costituito. In particolare, con il coinvolgimento dei territori, sono state definite delle linee guida per la misurazione dello stato di non autosufficienza (gradi e livelli di dipendenza) e sono stati individuati standard minimi di prestazione da garantire a tutte le persone riconosciute in condizioni di non autosufficienza a seconda del grado di dipendenza. Rilevante anche la quota di cofinanziamento a carico del livello centrale, che ha raggiunto 1,2 miliardi di euro nel 2009.

Il mix fra servizi sociali e trasferimenti: lo schema prevede un mix di trasferimenti monetari e servizi, puntando prevalentemente su questi ultimi. Le persone valutate non autosufficienti hanno infatti diritto a un pacchetto di prestazioni (telecare, assistenza domiciliare, centri diurni, case protette) definito sulla base dello stato di dipendenza. In caso le autorità locali non siano in grado di offrire questi servizi, l’utente ha diritto ad una prestazione monetaria compensativa che gli consenta l’acquisto di servizi di cura nel mercato privato.


L’Italia: quindici anni di riforme mancate

In Italia, a livello nazionale, negli ultimi quindici anni sono quindi mancate riforme incisive atte a ridisegnare l’intervento pubblico in materia di welfare sociale. Non solo con riferimento alla non autosufficienza ma anche nell’ambito dell’emarginazione sociale e dei servizi per la prima infanzia, lo Stato non è riuscito a porre le basi di quell’«infrastruttura nazionale» volta a mettere i soggetti locali in condizione di rispondere ai nuovi bisogni sociali. Il livello centrale non ha infatti assunto il ruolo di cabina di regia che è stato svolto nei principali paesi dell’Europa continentale e meridionale con cui ci confrontiamo. Tutti i tratti essenziali di una riforma nazionale individuati sopra – coinvolgimento finanziario, rilancio dei servizi, definizione di standard minimi omogenei, monitoraggio e accompagnamento dei territori – sono stati ampiamente trascurati. In aggiunta, con riferimento alla dimensione finanziaria, si registra un andamento opposto rispetto a quanto avvenuto in Europa. I fondi per il welfare sociale, nel complesso, data l’assenza di riforme strutturali, dopo un periodo di misurata espansione sono stati sottoposti a drastici tagli (cfr. IRS, 2011). Nelle ultime legislature, l’interesse manifestato dal livello centrale per le politiche dedicate alla non autosufficienza è stato modesto. Ad esclusione della breve parentesi durante la legislatura 2006-2008, in cui è stato lanciato il “Fondo per la non autosufficienza”, nel complesso va rilevata una mancanza di progettualità. La portata e rilevanza finanziaria di questa misura sono state tuttavia modeste e gli stanziamenti non sono stati confermati nel 2011 e nel 2012.
In questo contesto non stupisce l’aumento di spesa rilevato nel corso degli ultimi anni per l’indennità di accompagnamento. A fronte della scarsità dei servizi di cura e dell’assenza di altre prestazioni dirette a sostenere le famiglie con componenti non autosufficienti, l’indennità di accompagnamento ha infatti rappresentato l’unico diritto esigibile in caso di dipendenza grave. Questa prestazione monetaria, sebbene iniqua e inefficiente in quanto non differenziata a seconda dei diversi gradi di dipendenza e delle risorse dei beneficiari (sul punto si veda, fra gli altri, IRS 2011), ha consentito alle famiglie di coprire almeno in parte i costi dell’assistenza privata, con un ampio ricorso a lavoratori immigrati, spesso impiegati nell’economia sommersa. Trattandosi di un diritto soggettivo in capo agli individui in condizioni di invalidità totale, la spesa per questa misura non è stata governata dal centro, ma trainata dalla dinamica della domanda sociale: tra il 2002 e il 2009 l’impegno finanziario è così passato da 7.6 a 12.2 miliardi di euro, registrando un aumento di oltre il 60%.

Riferimenti

Non autosufficienza, Balduzzi: serve grande iniziativa nazionale, SIC Sanità in Cifre, 31 gennaio 2012

Non autosufficienza, Balduzzi: verso assicurazione sociale obbligatoria, SIC Sanità in Cifre, 10 aprile 2012

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