Il “Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza” ha presentato le sue proposte per avviare una riforma organica del settore della Long Term Care (LTC) in Italia, finalizzata all’introduzione di un Sistema Nazionale per l’assistenza agli Anziani (SNA). Per finanziare il SNA è previsto anche il ricorso a risorse private ad integrazione di quelle pubbliche volte a costruire un Secondo Pilastro Integrativo per la non autosufficienza. Ma quali sono le caratteristiche che dovrebbe contraddistinguerne l’azione? Ne abbiamo parlato con Damiana Mastantuono, Dirigente Area Welfare e Sanità di Mefop, società costituita dal Ministero dell’economia per lo sviluppo del mercato italiano dei fondi pensione.
A suo parere, perché la predisposizione di un Secondo Pilastro integrativo della Long Term Care è importante e quale potrebbe essere il suo contributo?
La cosa più importante per il nostro Paese è concepire l’assistenza dedicata alla non autosufficienza come una terza area del welfare, una branca autonoma, meritevole di attenzione differenziata dal nostro legislatore, dalla bilateralità e dagli altri operatori. In questo senso, la proposta presentata dal “Patto sul nuovo welfare sulla non autosufficienza” rappresenta un tassello fondamentale. Risulta ovviamente strategica per la copertura di questo delicato rischio anche la definizione di un Secondo Pilastro integrativo.
La legge delega 421 del 1992, che istituisce il Secondo Pilastro previdenziale, ne prevede anche un altro – di natura sanitaria e sociosanitaria – proprio con l’obiettivo di rendere più efficiente il nostro Sistema Sanitario Nazionale (SSN), attraverso la predisposizione di risorse complementari al Primo Pilastro.
Il Secondo Pilastro integrativo in tal senso risulta fondamentale per sostenere il sistema pubblico e la prassi dimostra che questo processo è già in atto. Il rischio di non autosufficienza, infatti, è all’attenzione dei diversi operatori del welfare integrativo; dalla sanità integrativa al più ampio sistema della bilateralità e del welfare aziendale. In tale contesto, tuttavia, non bisogna dimenticare anche il ruolo che possono avere il mercato privato (operatori assicurativi e providers sanitari) e il terzo settore.
A suo avviso sono gli elementi necessari affinché il Secondo Pilastro possa funzionare al meglio?
È opportuno che il Secondo Pilastro renda più efficiente il sistema pubblico, integrandosi e dunque coordinandosi efficacemente con lo stesso. Ciò significa sviluppare un sistema di tutele organico e non frammentato; un sistema di coperture organizzato e coordinato a livello territoriale, che metta a sistema strumenti, azioni ed enti diversi.
Per realizzare questo cambiamento è necessario un grosso lavoro sia in chiave di governance che in chiave di strategie istituzionali. In questo senso, il Secondo Pilastro dovrebbe essere sinergico e osmotico con il SSN, anche attraverso la definizione di tassonomie comuni.
Ad esempio, attraverso la predisposizione di un’unica e chiara definizione di non autosufficienza, che renda coerenti e “generative” le azioni dei diversi operatori. Oltre a questo, si pone il tema della qualità degli interventi. Da questo punto di vista, il Secondo Pilastro deve andare a coprire le aree che il sistema pubblico lascia libere. È infine necessario un ripensamento delle strategie di copertura dei bisogni, spesso realizzate attraverso prestazioni di carattere meramente monetario, che rappresentano un approccio non ottimale e che differenziano il nostro paese dal resto dell’Europa.
Questo come si inserisce in un sistema pubblico?
Il Secondo Pilastro necessita di tre elementi: una governance coordinata con una chiara regia, la valorizzazione delle risorse private e il coordinamento rispetto alle prestazioni erogate dal pubblico. In questa prospettiva, il Secondo Pilastro può efficacemente candidarsi a rappresentare una leva di politica sanitaria nella completa attuazione dei principi di sussidiarietà orizzontale di cui all’articolo 118, ultimo comma, della Costituzione, diventando un asset importante e strategico per la copertura dei bisogni legati alla LTC e alla fragilità della popolazione
Nella sua esperienza, quali sono le esperienze virtuose o le buone pratiche che si inseriscono in questa cornice?
All’interno del dibattito sui Pilastri integrativi, il tema della LTC è stato affrontato da diverso tempo e, come Mefop, abbiamo iniziato ad attirare l’attenzione su questi aspetti già venti anni fa. Storicamente i fondi pensione sono stati il primo strumento di welfare integrativo che ha prestato attenzione al tema della LTC, attraverso la stipula di apposite coperture assicurative accessorie alla rendita pensionistica. Tuttavia il sistema di volontarietà dell’adesione ai fondi pensione come pure la stessa facoltatività della rendita come forma di uscita dal sistema, non hanno favorito la diffusione della copertura. I fondi pensione restano, tuttavia, un soggetto fisiologicamente deputato alla copertura di bisogni previdenziali anche in caso di non autosufficienza e Mefop continua a sensibilizzare il loro interesse sul tema.
Dal punto di vista dei Fondi sanitari e della bilateralità, l’attenzione al tema della non autosufficienza è invece molto alta e, benché la strada da percorrere sia ancora lunga, la prassi ci consegna esperienze interessanti.
L’esperienza mi porta a dire che le questioni connesse con la LTC rappresentino oggi “il tema dei temi” per l’intero sistema welfare, qui inteso come sistema più ampio: Pubblico, aziendale e privato.
Il lavoro importante che è stato fatto a livello di consapevolezza e divulgazione ha inoltre portato gli operatori a ragionare sui piani sociosanitari, da un lato, riflettendo su una concezione più ampia di fragilità e, dall’altro, promuovendo diverse iniziative che hanno portato ad ampliare sia le coperture sia la loro qualità.
Negli ultimi anni si è infine manifestato un nuovo approccio, che mette al centro la persona e il suo caregiver. Questo consente all’anziano di assumere un ruolo centrale e conduce a una diversa valutazione dei rischi, non più intesi soltanto in senso sanitario ma in forma più ampia e completa. Diventa quindi necessaria la predisposizione di percorsi di presa in carico integrata, prevedendo Punti Unici di Accesso, e la ricomposizione delle differenti azioni e risorse. In questo senso, il veloce sviluppo delle tecnologie e del generale sistema del digital health ha favorito lo sviluppo di modelli innovativi di presa in carico e monitoraggio dei pazienti fragili e dei loro caregiver.
Nello specifico, quale può essere il contributo che Mefop può portare al dibattito sul Secondo Pilastro?
Negli ultimi anni l’attività del Mefop si è intensificata e il nostro ruolo è diventato sempre più importante per alimentare il confronto tra le istituzioni e gli operatori del settore. Tra i diversi obiettivi che abbiamo rientra infatti la collaborazione con altri enti e istituzioni, finalizzata sia alla promozione della conoscenza degli strumenti sia rispetto al coordinamento tra i diversi attori.
Inoltre, nei prossimi anni, un tema che diventerà sempre più rilevante – anche per quanto concerne l’area sociosanitaria – sarà quello della telemedicina e della teleassistenza. In questo quadro il Mefop si pone come un ponte tra il sistema pubblico e quello privato, ispirato ai principi della sussidiarietà e con l’obiettivo di migliorare il benessere delle persone.