Armonizzare tempi di lavoro e vita personale è una questione complessa e articolata: significa creare non solo un buon equilibrio tra gli impegni che uomini e donne assumono all’interno della società, ovvero tra lavoro e responsabilità familiari quali cura di figli/e minori, familiari anziani, persone con disabilità e/o non autosufficienti; ma anche tra lavoro e tempo libero per avere cura di sé, formarsi, coltivare interessi, svolgere attività di volontariato, politica. Mutamenti imprevisti di scenario, ormai all’ordine del giorno, hanno portato a intrecciare sempre più vita lavorativa e personale in una prospettiva permeabile caratterizzata da costanti ridefinizioni di queste variabili nei diversi momenti della nostra esistenza (cfr. Lucifora e Manzi 2021). E la pandemia rappresenta un avvenimento che ci ha portato nel giro di pochi mesi a modificare l’organizzazione di lavoro, attività scolastiche e stili di vita. In questo periodo, a supporto delle famiglie, sono state introdotte o aggiornate alcune formule e strumenti o misure ad hoc di conciliazione.
Ma quante persone e, in particolare, quanti genitori conoscono i loro diritti e utilizzano gli strumenti di conciliazione previsti e attualmente a loro disposizione? Quali sono i principali fabbisogni di conciliazione e le nuove necessità? E quali gli sportelli informativi a cui le famiglie si rivolgono? Sono queste le domande alla base di una ricerca esplorativa sul territorio biellese, realizzata dal Consorzio Sociale Il Filo da Tessere, in collaborazione con una rete di organizzazioni locali quali la Cooperativa Sociale Tantintenti, i consorzi socio-assistenziali I.R.I.S. e CISSABO e la Consigliera di Parità della Provincia di Biella con il sostegno di Regione Piemonte e Fondazione Cassa di Risparmio di Biella. Un territorio che si caratterizza per l’indice di vecchiaia più alto d’Italia: al primo gennaio 2020 si contavano 276 persone over 65 anni per ogni 100 giovani con meno di 15 anni (vs. le 178,4 della media nazionale) e si registrava una lenta ma costante diminuzione della popolazione in generale, che è passata in un decennio da 186.698 persone a 174.384 (-6,6%), e della popolazione nella fascia di età dai 0 ai 14 anni diminuita di 3.740 unità (-9,9%), e oggi pari a 18.463 unità.
Il disegno e il campione dell’indagine
Nel novembre 2020 è stato lanciato un questionario online con metodo CAWI per dare voce ai genitori con figli/e da 0 a 14 anni, a cui hanno risposto 582 persone (campionamento non di tipo probabilistico); 11 di loro sono state poi intervistate telefonicamente nel febbraio 2021. Il campione è composto principalmente da mamme (87%) che hanno un’età media intorno ai 40 anni, cittadinanza italiana (98%), alto livello di istruzione (una su due è in possesso di una laurea universitaria), lavoratrici dipendenti (82%), sposate (64%), distribuite su tutto il territorio biellese. Hanno in media 1,5 figli a testa – valore più alto del numero medio di figli per donna in provincia di Biella, pari a 1,17 (Istat) – e il 60% ha 2 o più figli.
Le risposte ottenute arrivano da genitori che vivono una situazione di vantaggio con titoli di studio elevati, in coppia e con un lavoro a tempo indeterminato; dunque, i risultati illustrati di seguito, vanno letti tenendo conto che sul territorio abita anche una fetta di popolazione – il cui peso sta aumentando negli ultimi tempi – composta da persone a rischio di povertà ed esclusione sociale tendenzialmente giovani, meno istruite, con figli/e, in difficoltà nell’uso delle nuove tecnologie, in cerca di occupazione o talmente scoraggiate da non tentare nemmeno a ricollocarsi (Caritas 2020). Una fascia di popolazione che probabilmente ha più difficoltà nel conoscere i propri diritti in tema di conciliazione e non è al corrente degli strumenti di cui potrebbe avvalersi per partecipare appieno al mercato del lavoro.
I tempi di lavoro e i tempi di vita
Quali sono i risultati principali dell’indagine esplorativa? Innanzitutto, si rileva che in seguito all’emergenza sanitaria da Covid-19 sono intervenuti numerosi cambiamenti in ambito lavorativo relativamente a tempi e luoghi: ne danno evidenza 8 genitori biellesi rispondenti su 10. I decreti emanati per arginare gli effetti della pandemia hanno generato un’interruzione delle routine più consolidate, dando per esempio la possibilità di proseguire l’attività lavorativa mediante lo smart working, uno strumento con le potenzialità di coinvolgere maggiormente gli uomini nella gestione del lavoro domestico, ma anche a rischio di “time porosity” (il mescolamento della vita lavorativa con quella personale). Proprio lo smart working è stato sperimentato da 1 genitore biellese su 2, senza differenze di genere tra i rispondenti (43% uomini e 47% donne), una percentuale più alta della media nazionale che si attesta al 26,3%, tra le occupate in coppia con almeno un figlio tra 0 e 14 anni (Istat, 2020). Una persona su cinque ha poi sperimentato la cassa integrazione. Tra le 20 persone in cerca di occupazione due dichiarano di aver dovuto rassegnare le dimissioni dall’impiego precedente a causa del Covid, un’informazione che merita attenzione alla luce delle ricerche e rilevazioni nazionali, che hanno già reso noti gli effetti della pandemia sul mercato del lavoro ovvero un calo dell’occupazione soprattutto per donne e giovani e in parallelo un aumento di chi rinuncia a un impiego e si dedica alla famiglia, poiché non vede prospettive e aiuti nella cura e nell’educazione dei figli (Istat, 2021).
Quali sono le attività che vengono svolte nel corso di una giornata e quali le differenze più rilevanti legate al genere? Le mamme dedicano più tempo alla cura di figli/e e casa rispetto ai papà (30% vs. 19%), viceversa più indaffarati nel lavoro retribuito (35% vs. 28%); le donne lavorano per il mercato 1h41’ in meno dei loro compagni e li superano di 2h36’ per l’impegno nel lavoro non retribuito. In linea con le ricerche realizzate in questi mesi (Del Boca et al. 2020) i commenti al questionario e le interviste hanno permesso di rilevare un maggior sovraccarico rispetto al passato: per i genitori che hanno potuto lavorare da casa, quest’attività è avvenuta in concomitanza con la didattica a distanza dei figli. Negli altri casi, invece, non ci sono state altre opzioni al lavoro in presenza – specie nel settore sanitario e nella grande distribuzione – e le limitazioni dei servizi formali e informali, quali ad esempio il minor contributo dei nonni dovuto al distanziamento sociale, ha determinato grandi difficoltà nel gestire le esigenze familiari parallelamente a quelle del lavoro. Sia mamme che papà hanno avuto e hanno tuttora pochissimo tempo per la cura di sé stessi (4% per le donne e 7% per gli uomini), elemento che porta a elevati livelli di fatica e stress nell’affrontare i compiti quotidiani, come racconta questa madre lavoratrice: “Il periodo attuale rende ancora più complicata la gestione del tempo, già scarso in tempi non di emergenza. La chiusura … di scuola primaria e dell’infanzia costringe i nonni (per chi ha la fortuna di averli) a turni massacranti di gestione di bambini, anche piccoli e impegnativi. Il tempo di noi genitori è un tempo scarso e spesso raffazzonato tra uno smart working e un impegno domestico”. La somma delle ore di lavoro retribuito e di cura mette in luce un maggior impegno delle donne, con un carico aggiuntivo di quasi un’ora in più al giorno rispetto agli uomini (un aspetto di cui vi avevamo parlato anche qui).
Strumenti e cultura per la conciliazione
La strada per raggiungere l’uguaglianza di genere all’interno e fuori dalle mura domestiche, alla base del modello dual earner/dual carer (DEDC) diffuso nei paesi del Nord Europa, è tuttora in salita e per fare passi in avanti c’è bisogno di un cambio di paradigma culturale e una differente allocazione dei compiti all’interno delle coppie, come commenta un papà libero professionista: "Il coinvolgimento paritario dell’uomo in famiglia, inteso anche come carico mentale di figli e casa, sarebbe determinante. Ci vorrebbe un cambio di mentalità dell’uomo che…senta queste cose nei suoi doveri”. Cambiamenti di questo tipo vanno sostenuti anche da spinte esogene alla famiglia, messe in atto dalle organizzazioni esterne, quali in primis istituzioni pubbliche, ed è per questo motivo che l’indagine ha focalizzato l’attenzione sulle misure di conciliazione, concentrandosi su tre principali categorie:
- congedi e permessi dal lavoro, che offrono la possibilità di trascorrere più tempo in famiglia e prendersi cura di bambini/e e familiari;
- modalità organizzative in grado di garantire una gestione più flessibile di orari e luoghi in cui svolgere le prestazioni lavorative;
- bonus, ovvero contributi volti a diminuire il costo dei servizi a carico delle famiglie.
Il primo elemento da segnalare è che questi diritti sono poco conosciuti ed esercitati dall’intero campione, seppur costituito dai principali destinatari delle misure di conciliazione; in secondo luogo emergono rilevanti differenze di genere sia in termini di conoscenza che di utilizzo (v. figura 1).
Figura 1. Utilizzo degli strumenti di conciliazione per genere, valori percentuali
Fonte: elaborazione dell’autrice
Quali sono le organizzazioni a cui si fa riferimento per richiedere informazioni sulla conciliazione? A 4 genitori su 10 non vengono in mente sportelli sul territorio da contattare; il 44% dei genitori sa di poter contattare i sindacati, il 31% altri servizi forniti dai consorzi socio-assistenziali del territorio, il 21% Centri Famiglie e Consultori familiari. Infine solo 1 genitore su 10 conosce la figura della Consigliera di Parità provinciale. Gli intervistati manifestano una difficoltà nel mantenersi aggiornati, destreggiarsi tra le numerose informazioni spesso non del tutto corrette che si trovano in rete, capire quali sono i requisiti e le modalità con cui accedere agli strumenti a disposizione, tanto che un numero considerevole ha rinunciato ad esercitare alcuni diritti.
Il caso dei congedi
Il congedo obbligatorio di maternità obbligatoria risulta l’istituto di tutela del lavoro maggiormente noto (conosciuto dell’87% delle donne rispondenti e utilizzato dal 75%). Segue il congedo parentale, strumento di cui possono fare richiesta entrambi i genitori; si tratta di un dispositivo che, essendo rivolto a entrambi i genitori, potrebbe ridurre l’asimmetria dei ruoli all’interno della coppia, sostenendo i padri nel loro diritto a essere presenti e farsi carico della cura dei figli. Seppur noto al 75% delle donne e al 73% degli uomini, questo congedo è utilizzato da 4 mamme su 10 e da 2 papà su 10, dati in linea con altre indagini locali e nazionali. Il congedo Covid, uno degli strumenti di più recente istituzione rivolto a coloro il cui lavoro non può essere svolto in modalità agile, è conosciuto da 1 mamma su 2 e solo 1 su 10 l’ha effettivamente richiesto. La consistente decurtazione delle entrate associata a queste tipologie di congedo (70% dello stipendio nel caso del congedo parentale, 50% nel caso del congedo Covid), unita al gender overall earnings gap, ovvero il divario di guadagni orari, ore retribuite e tasso di occupazione per genere, gioca un ruolo strategico nella decisione dei genitori di farne richiesta o meno e nella scelta di quale tra loro potrebbe assentarsi dal lavoro generando un minor impatto sul bilancio familiare.
Il congedo di paternità è un diritto non trasferibile con indennità elevata per i lavoratori dipendenti del settore privato, che attualmente hanno diritto a 10 giorni di astensione obbligatoria dal lavoro. Rappresenta un aiuto importante nel promuovere la cultura della condivisione della cura di figli/e e della genitorialità e può sostenere il desiderio di quei padri che vorrebbero accompagnare più da vicino la crescita dei loro figli nei primi mesi di vita, senza che la loro scelta sia stigmatizzata in ambito lavorativo (Casarico e Profeta 2015). A quasi 9 anni dalla sua introduzione è ancora poco riconosciuto nel Biellese, e sono le donne ad avere qualche informazione in più (44% vs 40%). Questo congedo, sebbene obbligatorio e retribuito al 100 per cento, è stato impiegato dal 14% dei papà del nostro campione. Complessivamente, a eccezione della maternità obbligatoria, i congedi sono utilizzati da meno del 40% dei rispondenti.
I bisogni dei genitori lavoratori
Quali servizi di conciliazione andrebbero potenziati secondo i genitori? A essere richieste sono soprattutto le attività di agenzie educative complementari alle scuole, che fungano da presidio educativo e sostengano i genitori durante l’orario di lavoro nei casi di chiusura degli istituti scolastici (80%) e nella gestione quotidiana della fascia pre e post scuola (70%); seguono poi le prestazioni di baby-sitting nelle situazioni di emergenza (69%). Sia mamme che papà ritengono indispensabile la presenza di luoghi sicuri dove bambini e adolescenti possano trascorrere un tempo fecondo in compagnia di figure educative adulte e di coetanei: “La fatica dei bambini ad adattarsi alla condizione di isolamento forzato è (ndr) evidente, la perdita delle routine, della motivazione al fare le cose di quotidianità preoccupante ed il senso di perenne impotenza devastante per i genitori. Credo sarebbe importante trovare il modo di proporre uno spazio di incontro per i bambini, utile per mantenere una condizione di socialità (ormai sempre considerata secondaria) e per agevolare la complessa gestione famigliare che prevede salti mortali e doti da prestigiatore”. Tutor per l’aiuto nella gestione dei compiti a casa (34%), disbrigo di commessioni e pratiche (30%) e consulenza per la gestione del tempo (13%) hanno attirato in questa fase meno interesse.
In conclusione, il rallentamento del declino demografico e lo sviluppo del territorio biellese passano anche dalla rimozione degli ostacoli che si frappongono alla realizzazione dei progetti di vita dei giovani genitori, tra i quali quello di avere più di un figlio (Dipartimento per le Politiche della Famiglia 2020). La ricerca mette in luce la necessità di trovare modalità e strategie per comunicare in modo efficace formule e strumenti di conciliazione affinché tutte le famiglie conoscano e padroneggino quanto è già a loro disposizione, i requisiti e le modalità per usufruirne, oltre la possibilità di confrontarsi con consulenti in grado di accompagnarle in una riflessione sulle esigenze e aiutarle nella ricerca delle soluzioni e degli assetti organizzativi migliori. In modo particolare emerge la necessità di rivolgersi ai padri, che paiono i più disinformati, con interventi specifici che agiscano non solo sulla conoscenza delle opportunità, ma anche sul concetto di condivisione delle responsabilità familiari e sull’importanza del loro ruolo genitoriale nei confronti dei figli/e. Emerge con forza la necessità di agire – a livello culturale – sull’abbattimento di pregiudizi, stereotipi e discriminazioni a partire dall’interno dei nuclei familiari, fino ai luoghi di lavoro dove tuttora non è sempre accettato il bisogno di conciliazione di papà e mamme lavoratori/trici.
Va, inoltre, incentivata la crescita di un welfare di prossimità rivolto indistintamente a uomini e donne: i servizi educativi per la prima infanzia di qualità (che nel Biellese già hanno raggiunto l’obiettivo europeo dei 33 posti in asilo nido ogni 100 bambini), il rafforzamento del tempo pieno nelle scuole, la presenza di agenzie educative a esse complementari, l’aumento di servizi socio-assistenziali per persone anziane e con disabilità. Servizi innovativi e accessibili che rispondano alle esigenze sociali e allo stesso tempo facilitino un passaggio dal paradigma della conciliazione così come rilevato dall’indagine, e cioè considerato come una questione quasi esclusivamente femminile, a quello della condivisione dei tempi per la famiglia e per il lavoro. E si può andare in questa direzione favorendo la diffusione di un welfare civile, sistema in cui è l’intera società – comprese le imprese – a farsi carico del benessere e dei servizi sociali minimi, inclusi quelli in grado di facilitare una genitorialità partecipata; tale sistema rappresenta dunque la base per raggiungere una maggior condivisione dei carichi per la cura della casa, dei figli e dei parenti anziani, andando così a sostenere le aspirazioni professionali delle donne e a valorizzare il ruolo degli uomini e il loro contributo nella vita familiare.
Riferimenti
Caritas (2020), Gli anticorpi della solidarietà. Rapporto 2020 su povertà ed esclusione sociale in Italia
Casarico A., Profeta P., (2015), Perché servono i congedi di paternità
Dipartimento per le Politiche della Famiglia, L’impatto della pandemia di Covid-19 su natalità e condizione delle nuove generazioni, Primo rapporto del Gruppo di esperti “Demografia e Covid-19”, Roma
Del Boca D., Oggero N., Profeta P., Rossi M. e Villosio C. (2020), Prima, durante e dopo Covid-19: disuguaglianza in famiglia
Istat (2021), Il mercato del lavoro 2020. Una lettura integrata
Manzi C. e Mazzucchelli S. (2021), Famiglia e lavoro: intrecci possibili, Studi interdisciplinari sulla famiglia, 31, Vita e Pensiero, Milano