6 ' di lettura
Salva pagina in PDF

In questo tempo sospeso che stiamo attraversando a causa delle misure di contenimento del contagio da COVID-19, la parola d’ordine è Restare a Casa, immaginata come luogo sicuro e protettivo. Per molte donne che subiscono violenza, però, la casa rappresenta un luogo di sofferenza. Non si tratta, purtroppo, di una novità. Nella Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, firmata nel 2011 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa e entrata in vigore in Italia nel 2013, si legge: «In Europa la violenza contro le donne, inclusa la violenza domestica, è una delle più gravi forme di violazione dei diritti umani basata sul genere ed è ancora avvolta nel silenzio».


La violenza degli uomini contro le donne è un processo complesso

La violenza degli uomini contro le donne è un processo multidimensionale estremamente complesso. In primo luogo la violenza sulle donne è tutt’altro che un fatto privato, sono molti gli attori coinvolti: in primis l’uomo che agisce in modo violento e la donna che subisce. Spesso, però, questa violenza si propaga sui figli che assistono, tocca altri familiari che scoprono i segni della violenza o ne vengono informati dalla donna quando riesce a chiedere aiuto. E la violenza, quando viene denunciata, coinvolge anche le strutture del territorio (associazioni, enti locali, centri antiviolenza, servizi sociali, ospedali, forze dell’ordine) e arriva a interessare lo Stato e i suoi apparati legislativi. In secondo luogo, sono molteplici i luoghi in cui le donne possono subire violenza.

I dati di ricerca raccontano una verità preoccupante: le donne possono essere a rischio a casa, sul lavoro, in altri luoghi pubblici o privati se incontrano uomini violenti. Ma, al contrario di quanto si è portati a pensare, nella maggior parte dei casi il maltrattante si trova nell’ambito delle cerchie più intime (marito, partner, ex partner, amico, parente). Se ci concentriamo sul nostro Paese, secondo gli ultimi dati Istat disponibili (2015), quasi 7 milioni di donne tra i 16 e 70 anni hanno subito violenza nella loro vita. Nella metà dei casi si tratta di violenze commesse dal partner o ex partner. Inoltre, sono proprio i partner attuali o gli ex partner a commettere le violenze più gravi. Ma c’è un altro dato su cui riflettere: in quasi 7 casi su 10 i figli di donne vittime di violenza hanno assistito a episodi di violenza sulla propria madre.

Un terzo livello di complessità riguarda il fatto che la violenza degli uomini sulle donne si esprime attraverso molteplici forme: molestie sessuali, stalking, violenza psicologica, violenza fisica, violenza verbale, violenza economica, stupro, tratta, fino ad arrivare alla forma estrema di violenza che comporta la soppressione della donna, il femminicidio. Una ulteriore complessità è legata al fatto che gli effetti della violenza sono, purtroppo, ad ampio raggio: compromissione del benessere della donna (lesioni fisiche, sessuali, psicologiche, comportamentali), compromissione della sua autonomia e del benessere dei minori coinvolti. Gli uomini violenti, quindi, sono un costo per la società e la comunità. Secondo i risultati dell’Indagine nazionale sui costi economici e sociali della violenza sulle donne curata da Giovanna Badalassi, Franca Garreffa e Giovanna Vingelli e pubblicata nel 2013, il costo della violenza domestica in Italia è di 16,7 miliardi di euro all’anno. I costi della violenza rappresentano, quindi, circa l’1% del Pil.

Cosa è successo durante la pandemia?

L’emergenza sanitaria attualmente in atto ha riacutizzato il problema: secondo i dati dell’OMS (pubblicati il 7 aprile 2020 nella nota COVID-19 and violence against women What the health sector/system can do) la violenza sulle donne è triplicata durante i mesi di confinamento nelle abitazioni. Le conseguenze di questo incremento sono preoccupanti: da un lato la convivenza forzata ha reso più problematico, per le donne che subiscono abusi, il fatto di poter chiedere aiuto e denunciare il partner violento. Secondo i dati raccolti dall’Associazione Nazionale D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza, nei quindici giorni successivi all’istituzione del lockdown le telefonate ai centri antiviolenza sono scese del 50% in rapporto allo stesso periodo dello scorso anno.

Dall’altro lato l’emergenza sanitaria ha reso estremamente complicato l’intervento delle operatrici dei Centri Antiviolenza, soprattutto nei casi in cui bisogna intervenire con urgenza ma rispettando le norme sanitarie attualmente vigenti. Secondo l’instant survey condotta a maggio 2020 nell’ambito del Progetto VIVA (Progetto di monitoraggio, valutazione e analisi degli interventi di prevenzione e contrasto alla violenza contro le donne), l’emergenza sanitaria ha messo i centri antiviolenza di fronte alla necessità di rivedere in modo sostanziale le loro modalità operative privilegiando il contatto telefonico con le donne, ma avvalendosi massicciamente anche di strumenti relativamente inusuali quali i software di videochiamata e le comunicazioni tramite e-mail. Inoltre l’accoglienza in emergenza e l’ospitalità in alloggi sicuri si qualificano come “aree problematiche” tra le prestazioni dei centri antiviolenza, con la conseguente necessità di individuare, tra quelle già in uso, delle strutture (o dei locali) da dedicare ai nuovi inserimenti oppure di prevedere la quarantena per le donne presso strutture alberghiere o appartamenti appositamente presi in locazione.

La pandemia ha richiesto anche risposte nuove da parte delle istituzioni. Il Dipartimento per le pari opportunità del Consiglio dei ministri (Dpo) ha stipulato un accordo con la ministra dell’Interno per l’ospitalità delle donne in situazioni d’emergenza e ha firmato un protocollo con la Federazione Italiana degli Ordini dei Farmacisti, Federfarma e Assofarm per agevolare la possibilità delle donne di chiedere aiuto anche attraverso le farmacie. Inoltre, ha stanziato apposite risorse «per il finanziamento di interventi urgenti per il sostegno alle misure adottate dalle Case Rifugio e dai Cav in relazione all’emergenza sanitaria da Covid-19». Un altro esempio di azione emergenziale è stata la recente direttiva del procuratore di Trento, Sandro Raimondi, che prevede che le situazioni di pericolo contingente siano risolte attraverso una collocazione dei maltrattanti presso un domicilio diverso da quello dove vivono i componenti del nucleo familiare che subiscono violenza domestica.

Come agire per contrastare la violenza maschile sulle donne?

Le politiche di contrasto alla violenza in Italia si sono sviluppate con una certa lentezza rispetto ad altri Paesi Europei e in modo frammentato. Fin dagli anni Settanta è stata strategica la spinta del “privato specializzato”, cioè delle associazioni di donne che – facendo proprio l’attivismo dei movimenti femministi – si sono mosse ben prima delle amministrazioni pubbliche, aprendo centri culturali, biblioteche, librerie e soprattutto Centri Antiviolenza (Cav). Nel corso dei decenni si è assistito a un progressivo ampliamento dell’intervento pubblico nella logica del coordinamento partecipato dei principali stakeholder, tra cui amministrazioni nazionali, regionali e locali, Cav e case rifugio, sindacati ed enti di ricerca quali Istat e Irpps-Cnr, come si evince nell’ultimo Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2017-2020.

Se consideriamo l’ultimo decennio, in cui si nota una rinnovata vivacità di interventi, possiamo citare alcuni passaggi fondamentali dal punto di vista della normativa italiana: la legge 28/2009 contro lo stalking, la legge 119/2013 recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere (legge sul Femminicidio), la legge 69/2019 recante Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere (il cosiddetto Codice Rosso).

Soprattutto le linee programmatiche più recenti indicano la direzione per attuare un quadro di politiche integrate che comprenda:

  1. politiche preventive in grado di agire attraverso ricerca, formazione e educazione;
  2. politiche di contrasto e di presa in carico dei maltrattanti in grado di mettere in campo azioni sanzionatorie adeguate e progetti di risocializzazione laddove ve ne siano le condizioni;
  3. rafforzamento delle politiche di monitoraggio e promozione attraverso interventi normativi di sensibilizzazione, di ricerca e monitoraggio del fenomeno;
  4. politiche riparative di sostegno volte a garantire alla donna (e ai minori coinvolti) un percorso di uscita dalla violenza mediante la presenza di Cav, case rifugio, supporto economico adeguato.

Tutte le istituzioni possono agire per contrastare la violenza contro le donne

Tutto bene quindi? Non proprio. Molto è stato fatto ma i processi di civilizzazione vanno presidiati. Servono più risorse di quante finora ne vengono di anno in anno stanziate (circa 6 milioni), serve un monitoraggio costante degli interventi intrapresi per valutarne l’impatto e soprattutto l’integrazione; servono, infine, interventi di cambiamento culturale attraverso piani formativi ed educativi capillari.
Se, quindi, tutti siamo chiamati a responsabilizzarci su questo fronte, senza dubbio l’Università è tra le istituzioni che hanno il compito di mettere in atto azioni mirate di resistenza culturale per sostenere il contrasto e la prevenzione della violenza maschile contro le donne.

Un esempio di innovazione nelle politiche di genere all’interno dell’accademia è quello avviato dall’Università di Torino, che nel 2019 ha attivato il primo Sportello Antiviolenza all’interno di un Ateneo italiano. Lo sportello è nato all’interno del progetto V.A.R.CO. (Violenza contro le donne: Azioni in Rete per prevenire e Contrastare), è gestito dai Centri Antiviolenza E.M.M.A. ed è rivolto a qualunque donna studi o lavori nell’Università di Torino che pensa di subire, sta subendo o ha subìto in passato violenza. Lo sportello è completamente gratuito e assicura massima riservatezza e privacy alle donne. L’Università è partner del progetto e garantisce uno spazio riservato allo Sportello Antiviolenza. Supporta, inoltre, il Centro EMMA in tutte le iniziative culturali che hanno come obiettivo la sensibilizzazione sulla violenza contro le donne nelle sue diverse forme. A novembre 2020, proprio per essere più vicini a tutte le donne che studiano e lavorano nell’Università di Torino e per potenziare i canali di contatto con tutte coloro che hanno bisogno di aiuto e sostegno, lo Sportello Antiviolenza è stato avviato in modalità on-line mediante una stanza virtuale privata e protetta.