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Quarant’anni fa il nostro paese si dotava di un “piano quinquennale per l’istituzione di asili-nido comunali con il concorso dello Stato”, la legge 1044 del 6 dicembre 1971.
Sebbene l’ambizione di organizzare 3.800 strutture in un arco di tempo così breve fosse destinata a rimanere frustrata – negli anni Ottanta non si contavano nel paese che poco più di un migliaio di servizi comunali, per la maggior parte dislocati nelle regioni del Centro-Nord – certo è che la legge 1044 rappresentò una “soluzione di continuità” rispetto alla tradizione del welfare familistico italiano, con riferimento alla cura della prima infanzia.

L’intervento diretto dei poteri pubblici nel finanziamento dei nidi, definiti da allora “servizi sociali di interesse pubblico”, poneva del resto fine all’esperienza degli asili dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia (ente istituito nel 1925 dal governo fascista), organizzati e condotti per decenni in un’ottica meramente custodiale e assistenziale; una sorta di “rimedio” a situazioni familiari disfunzionali, in cui la madre – per sentire comune responsabile prima e pressoché esclusiva della cura del bambino – si trovava nell’esigenza di delegare ad enti pubblici tale funzione.
Il cambiamento di cui la legge 1044 si fece portatrice era quindi prima di tutto culturale, ed implicava la graduale messa in discussione dell’ideale di domesticità ottocentesco costruito attorno al binomio inscindibile madre-bambino. Si affermava invece il diritto delle madri, fossero esse lavoratrici o casalinghe, di utilizzare servizi per l’infanzia pubblici, mentre faceva capolino nelle politiche nazionali il tema della conciliazione tra lavoro e cura, a favore della popolazione femminile: «Gli asili-nido hanno lo scopo di provvedere alla temporanea custodia dei bambini, per assicurare una adeguata assistenza alla famiglia e anche per facilitare l’accesso della donna al lavoro nel quadro di un completo sistema di sicurezza sociale» (art.1, comma 2).
Mancava, è vero, qualsiasi riferimento esplicito al ruolo “educativo” di tali servizi, oggi finalmente riconosciuto dalla Corte Costituzionale con la sentenza 370 del 2003. Tuttavia, rispetto alla visione tradizionale esistente nel paese attorno alle relazioni di genere e tra generazioni, il passo compiuto dalla legge 1044 appariva significativo. La scelta di affidare la programmazione degli interventi alle regioni, e la gestione dei nidi ai comuni, ebbe l’inevitabile e prevedibile effetto di determinare uno sviluppo diseguale dei servizi sul territorio nazionale, in ragione della disomogeneità delle risorse istituzionali e civiche esistenti in Italia. Accanto ad aree come quella emiliano-romagnola, in cui la copertura della popolazione 0-3 anni raggiunge oggi percentuali del 31% (sul quadro dei servizi per la prima infanzia in questa regione si sofferma la lettera dell’Assessore Marzocchi, allegata nei riferimenti), ve ne sono altre, per la maggior parte nel Meridione, in cui la percentuale non arriva al 10% .

Il mancato rifinanziamento della legge e l’assenza di interventi di “manutenzione”, o meglio, aggiornamento della stessa, sono del resto il segno di una persistente resistenza della politica nazionale a riconoscere fino in fondo l’importanza che lo sviluppo di una articolata rete di servizi per la prima infanzia riveste, nei confronti delle sfide sociali ed economiche che il paese ha davanti a sé. Questioni cruciali come la conciliazione tra lavoro e cura, l’occupazione femminile, il trend demografico e l’investimento nell’educazione precoce – senza dimenticare il fenomeno, in preoccupante crescita, della povertà infantile in Italia – sono destinate ad essere fortemente influenzate dalle risposte che i governi nazionali e locali formuleranno in futuro attorno al tema della promozione territoriale di servizi per la prima infanzia “accessibili e di qualità”. Questa è la ricetta che da più di un decennio suggerisce l’Unione Europea a tutti gli stati membri, anche attraverso l’individuazione di un target (il 33% di copertura entro il 2010) che, in Italia, è a portata di mano della sola Emilia-Romagna.

Il breve ma intenso biennio 2007-2008 – che ha visto lo sforzo delle istituzioni nazionali e locali nella direzione del potenziamento dei servizi per la prima infanzia, sotto la spinta del “Piano straordinario per lo sviluppo dei servizi socio-educativi per la prima infanzia” varato dal Governo Prodi con la finanziaria 2007 – è ormai esaurito. l’Italia fa così il suo ingresso in una fase estremamente critica sotto il profilo delle risorse disponibili per lo stato sociale, senza avere sfruttato adeguatamente lo slancio ideale della legge 1044/1971.

Il quadro deve indurre politici ed amministratori ad un confronto costruttivo su come impiegare in modo efficace ed equo “il poco” che nei prossimi mesi, o forse anni, sarà messo a disposizione di questo cruciale settore delle politiche familiari, indagando le soluzioni che oggi sono percorribili, nel nostro paese, al fine di costruire reti territoriali sinergiche tra soggetti pubblici e privati. L’obiettivo è certamente quello di disegnare servizi per la prima infanzia flessibili e modellati sulle esigenze conciliative dei padri e delle madri del nostro paese, senza rinunciare a quegli standard qualitativi di natura pedagogica ed educativa che sono oggi considerati l’imprescindibile fondamento di ogni intervento in questo settore. In questo quadro il Laboratorio sul secondo welfare può offrire uno spazio di riflessione attorno al tema dei servizi per la prima infanzia oltre che di valorizzazione e promozione delle best practices esistenti oggi in Italia.

Tornando all’incipit di questo approfondimento, ovvero i quarant’anni della legge nidi, abbiamo pensato di celebrare questo importante anniversario rievocando l’atmosfera di quell’evento. Lo faremo con l’aiuto di un documento storico che raccoglie gli atti di un importante convegno tenutosi a Bologna, il giorno immediatamente successivo all’approvazione in Senato della legge 1044. Il convegno, aperto da Mara Mereghetti, dell’Unione donne italiane (UDI), rappresentò una preziosa occasione di riflessione attorno al testo della legge e al contesto sociale e politico della sua approvazione. Del resto, tale iniziativa racconta anche del clima di fermento che già da tempo animava, su questi temi, l’amministrazione comunale di Bologna, pioniera in Italia dei servizi pubblici per la prima infanzia; un vero e proprio esempio di best practice. Gli atti del convegno, contenuti nel documento “Un asilo di tipo nuovo. Analisi di un’esperienza” [Bologna, documenti del Comune, 1973], sono stati messi a disposizione di “Percorsi di secondo welfare” dall’Archivio storico del Comune di Bologna. Cogliamo quindi l’occasione per ringraziare i responsabili dell’Archivio per il prezioso lavoro di “custodia” della memoria di quegli eventi.

Qui di seguito si riportano alcuni dei passaggi più interessanti degli interventi che politici, amministratori e rappresentanti delle forze sociali svolsero nel corso del convegno. Alcune immagini storiche corredano la rievocazione.

MARA MEREGHETTI
Unione donne italiane

Apriamo questo convegno in un momento particolarmente significativo della lunga lotta per gli asili nido: ieri sera finalmente il senato ha definitivamente approvato la legge sugli asili nido; si è così dato il via al piano per l’istituzione in Italia di 3.800 asili-nido comunali in cinque anni.
La piena applicazione di questa legge, conquistata grazie alla lotta articolata e unitaria condotta in primo luogo da migliaia di donne italiane, è destinata a mettere in moto un meccanismo innovativo nella società italiana, per il significato oggettivo che assumerà l’apertura in migliaia di comuni di un servizio chiave come quello degli asili-nido e per le conseguenze che ne deriveranno sul piano di una politica per l’infanzia, del rapporto famiglia-società, della questione dell’emancipazione femminile e dei poteri degli enti locali.
La formulazione della legge infatti contiene alcuni aspetti profondamente nuovi rispetto alla tradizionale concezione dell’assistenza all’infanzia. L’asilo-nido viene riconosciuto come un servizio sociale di interesse pubblico: viene quindi sancito il dovere di un intervento diretto dello stato in questo settore […]
La legge sugli asili-nido è frutto di una lotta unitaria delle donne e del movimento democratico. Quanti sforzi sia costata la sua approvazione lo sanno bene coloro che hanno speso le loro forze e il loro impegno in questa direzione: in primo luogo le donne dell’UDI che si sono fatte promotrici di centinaia di vertenze locali, provinciali e nazionali; molti amministratori che hanno coraggiosamente iniziato una azione anticipatrice, muovendosi in mezzo a mille difficoltà e in carenza legislativa; i lavoratori e i dirigenti sindacali che nelle fabbriche hanno concretamente posto le basi per impegnare i datori di lavoro al versamento dei contributi; infine, ma non ultimi, i parlamentari e le forze politiche che hanno validamente contribuito al raggiungimento di questi risultati[…]
[…] la lotta per gli asili-nido è sorta in Italia dopo un lungo periodo di vuoto legislativo o, meglio, dopo un periodo caratterizzato da un intervento nei confronti dell’infanzia visto come atto di pubblica beneficienza, delegato dallo stato a una miriade di enti privati […] Sui quasi cinquant’anni di gestione dell’ONMI è oggi superfluo ripetere giudizi già noti: basta dire che è di ieri la notizia della condanna e dell’allontanamento dai pubblici uffici della presidente dell’ente.
Il movimento per la conquista della legge sui nidi ha ormai una storia decennale: già nel 1960 l’UDI presentò al parlamento una proposta di legge per il trasferimento delle funzioni dell’ONMI alle amministrazioni comunali. Numerose iniziative seguirono questa proposta. Tra le più importanti il convegno del 1962 sul lavoro della donna e la tutela della prima infanzia e la proposta di legge di iniziativa popolare del ’65 per un servizio nazionale di asili-nido. A partire dal ’68, anno in cui fu presentata la proposta di legge unitaria dei tre sindacati, il movimento, centrato sull’apertura di una vertenza nazionale nei confronti dello stato e di centinaia di vertenze locali verso i datori di lavoro e gli enti locali, assunse un’ampiezza e un’articolazione tali da potersi considerare un modello esemplare di lotta unitaria […]
[…] il compito più complesso e più importante che ci sta di fronte è quello di far sì che il nuovo asilo-nido che dovrà sorgere abbia tutte le caratteristiche per essere veramente un elemento della costruzione di una società nuova, più giusta e profondamente diversa nella scala di valori che la governa […]
[…] organizzare un asilo di tipo nuovo significa affrontare in pieno il discorso dell’educazione del bambino nei primi anni di vita e del ruolo della famiglia nell’educazione del bambino, significa cioè rimuovere alcune concezioni tradizionali intorno al rapporto famiglia-società e anticipare nuovi modi di vivere e di convivere.
Strettamente connessa a questo tema è la questione del rapporto madre-bambino: se ne è discusso per lunghi anni in convegni e pubblicazioni che hanno visto gli studiosi schierarsi su posizioni opposte; ma anche al di fuori dell’ambito specialistico, è questo un problema sentito in prima persona da tutte le donne che si trovano quotidianamente a dover risolvere contemporaneamente il problema dell’allevamento e dell’educazione dei propri figli e il problema di vivere una vita socialmente impegnata. E’ chiaro oggi, e non solo al movimento femminile, che la questione dell’emancipazione della donna passa attraverso il superamento della tradizionale divisione dei ruoli tra maschio e femmina nella società e l’affermazione del valore sociale della maternità (anzi, per meglio dire, attraverso l’affermazione del valore sociale della maternità e della paternità).
Il bisogno affettivo di amore e di sicurezza del bambino nei primi anni di vita è stato spesso usato per riaffermare un inscindibile legame emotivo e istintuale tra madre e figlio con la logica conseguenza di lasciare per intero sulla donna quella che dovrebbe essere la responsabilità prima di ogni società: il rispetto, la cura e la valorizzazione dell’essere umano fin dal suo ingresso nella vita.
Il privilegiamento di questo rapporto è stato spesso funzionale da un lato alla conservazione di un tipo di struttura familiare, che, pur essendo già profondamente minata nelle sue fondamenta dalle trasformazioni urbane, economiche, lavorative, sociali degli ultimi decenni, si è voluto conservare chiusa, rifugio, compenso agli scompensi, e dall’altro alla conservazione di una figura di donna esclusa, immiserita in un orizzonte ristretto, schiacciata da mille difficoltà e incapace di misurarsi con i problemi del proprio tempo e di partecipare alla trasformazione della società.
Organizzare un asilo di tipo nuovo significa quindi anche proporre nuovi modelli educativi, saper creare nel nido un ambiente armonioso, ricco di stimoli, di rapporti affettivi e di occasioni di socialità e soprattutto un ambiente aperto alla comunità circostante, un ambiente in cui la madre possa vedere concretamente non una sua sostituzione spesso dolorosa e accettata forzatamente, ma un arricchimento del suo ruolo e una possibilità di confronto e di impegno comune […]
[…] desidero porgere a nome dell’UDI e anche, credo, di tutti i partecipanti a questo convegno, un vivo ringraziamento al Comune di Bologna per la sensibilità con cui ha accolto la proposta di ospitare il convegno, permettendoci di analizzare un’esperienza tra le più avanzate esistenti nel nostro paese. Riteniamo sia una fortuna per noi poter ascoltare dalla viva voce di esperti e operatori impegnati giorno per giorno nella realizzazione di un nuovo tipo di asilo-nido l’esposizione dei problemi che hanno dovuto affrontare, dei risultati cui sono giunti e delle difficoltà che sono ancora da superare […]

 

[…]

EUSTACHIO LOPERFIDO
Assessore all’igiene e sanità del Comune di Bologna

[…] il nido può configurarsi come un «rimedio necessario» oppure come momento di promozione dello sviluppo sociale, come principio di una svolta culturale. Nel primo caso esso si propone come modello assistenziale istituzionalizzato e istituzionalizzante, col rischio molto approssimato di servire da ricettacolo passivo dei bisogni […]Nel secondo caso il nido diventa una scelta politica consapevole ed attiva, dove la consapevolezza si riferisce all’inserimento del nido nel quadro storico del mutamento sociale di cui esso è il frutto, ma di cui deve essere anche il promotore. In tale dimensione il nido è si una risposta sociale ai bisogni ma è anche un momento attivo di confronto con le loro cause: che vuol dire confronto con le contraddizioni insite al mutamento sociale e pertanto controllo del mutamento stesso perché non passi sulle teste della maggioranza degli uomini come una fatalità su cui il privilegio di pochi ha fatto spingere il bottone d’avvio.
[…] Un primo problema che ci si pone e che dobbiamo affrontare con chiarezza è il seguente: il nido deve riprodurre, per essere «buono», lo schema di relazioni e di rapporti della famiglia? Domanda che possiamo formulare anche in altri termini: è giusto ed è possibile che il nido riproduca, nella sua impostazione, la famiglia, proponendosi così come sostituto transitorio di essa? Dirò subito che a mio parere apriremmo un grosso equivoco e daremmo corpo ad una grande mistificazione se rispondessimo affermativamente a questa domanda o, di più, se agissimo di fatto in tal senso senza rendercene conto. […] La realtà in questo caso è che il nido non è la famiglia, il luogo e gli arredi non sono quelli di una casa, le persone adulte non sono né la mamma né il papà,eccetera. […]
Si tratta cioè di creare una continuità educativa tra nido, famiglia e ambiente sociale […] Il principio di fondo, l’idea-guida a cui un nido si deve ispirare ci sembra sia quella della comunità articolata nei gruppi di pari (il gruppo dei lattanti, il gruppo dei 2-3 anni, il gruppo degli adulti). […] Nel nido il riferimento di fondo alla comunità come sistema di rapporti abbastanza costante, nonostante il mutare di alcune variabili al suo interno (il compagno assente, la «dada» di turno ecc.), costituisce la trama rassicurante su cui sono consentite esperienze diverse e coesistenti di correnti identificatorie: con i propri pari, con gli adulti che sono lì specificamente per dedicarsi ai bambini, con gli adulti-genitori che vogliono tanto bene al loro bambino ma hanno anche tante cose da fare che non riguardano i bambini. Esistono cioè i presupposti per cui ai bambini vengono offerte esperienze differenziate, molte delle quali alla loro portata di realizzazione, e un ambito notevolmente ampio di stimoli: cosa che può far correre il rischio della dispersione, ma può anche permettere un arricchimento notevole ed una più precoce conquista della autonomia e della indipendenza relativa.
Il fatto di non essere vincolati a rendere conto del proprio comportamento ad una figura fissa di adulto, ma di doversi invece confrontare con personaggi diversi, pure in funzione di norme che regolano la comunità o il gruppo, favorisce da un lato la possibilità di autorganizzarsi e dall’altra una più precoce apertura e disponibilità alla socializzazione. D’altra parte la dimensione comunitaria favorisce anche una struttura non autoritaria del ruolo dell’adulto nel nido: l’adulto infatti non si deve proporre come il deus ex machina di tutte le situazioni, l’organizzatore supremo, il risolutore, ma come membro della comunità, che collabora, per la sua parte, alla vita della comunità stesse dandole quella quota di sicurezza (rispetto ai «pericoli») che i «grandi» possono dare.
In una mia recente visita ad un nido di Bologna ho potuto constatare che tutte queste cose non sono postulati teorici ma cose realizzabili. Partecipando ad alcuni momenti della vita del nido mi sono reso conto che i bambini avevano acquisito un notevole livello di socializzazione, di libertà e di spirito comunitario.
[…] In una dimensione comunitaria del nido mi pare in conclusione che debbano trovare spazio tutte le iniziative miranti a far sì che il bambino metta in moto i meccanismi della creatività e acquisisca rapidamente l’attitudine a «far da soli», potendo mettere questa attitudine a servizio degli altri oltre che dei suoi bisogni. Far da soli e cooperare sono categorie che ogni membro della comunità deve cogliere attraverso occasioni della vita quotidiana in cui si verificano tutte le situazioni del «far da soli», del «far da soli insieme agli altri», del «fare insieme». In termini psicologici ciò significa porre il bambino in condizione di costruire l’identità personale e, al tempo stesso, l’identità sociale.


[…]

RICCARDO MERLO
Ufficio tecnico del Comune di Bologna

L’amministrazione comunale di Bologna ha elaborato e in parte realizzato alcune tipologie sperimentali di asili-nido, frutto della collaborazione degli architetti Gualdi e Merlo, dei tecnici dell’ufficio progetti e del personale insegnanti.
[…] La variante al PRG di Bologna ha adottato uno standard di 40 metri quadrati per bambino che, riferiti a istituzioni con un numero di bambini variabile dai 30 ai 70 (sono i valori entro cui è bene mantenersi per motivi di economicità e di buon livello di gestione), corrispondono a lotti variabili dai 1.300 ai 3.000 metri quadrati.
L’asilo-nido deve essere ad una distanza non superiore ai 300-500 metri dalle abitazioni; quando è possibile conviene che sia posto nelle vicinanze di centri commerciali o fermate di mezzi pubblici per poter dare alle madri la possibilità di far coincidere l’accompagnamento dei bambini con percorsi necessari in ogni caso […]
Il terreno deve essere esposto al sole in ogni stagione e avere favorevole possibilità di accesso tanto pedonale che carrabile per i mezzi di rifornimento. Il tipo di attrezzatura dell’area esterna deve essere semplice: bisogna rifuggire da tutte quelle sistemazioni di tipo rappresentativo o meramente decorativo che presentano lo svantaggio di una costosa manutenzione e, nella maggior parte dei casi, non corrispondono alle esigenze del bambino […] Una delle esigenze fondamentali del bambino e più qualificanti sul piano didattico-pedagogico è la disponibilità di spazio, che vuol dire soddisfare la necessità di muoversi senza costrizioni e la possibilità di svolgere le proprie attività in ambienti non affollati. Perciò quando le disponibilità finanziarie sono limitate non bisogna economizzare riducendo gli spazi didattici, ma usando materiali che siano economici e durevoli […]
Un problema importante è progettare gli ambienti interni secondo la scala del bambino. Il primo fattore è l’altezza dei vani. Regolamenti igienici prescrivono altezze non inferiori a tre metri. Gli psicologi consigliano ambienti raccolti, più intimi e favorevoli all’attività di gioco del bambino, per cui si potrebbe proporre un’altezza di m. 2,50. Naturalmente si possono combinare le esigenze igieniche con quelle psicologiche aumentando il ricambio d’aria negli ambienti. Nei progetti realizzati si è risolto il problema con fasce di colore a varie altezze che tendono ad abbassare l’ambiente e disponendo corpi illuminati a quote piuttosto basse per ottenere una sensazione più accogliente. Altra esigenza del bambino è quella di disporre di cavità, spazi concavi, in cui poter giocare […] Per i pavimenti è stato utilizzato gres rosso che garantisce una notevole durata, pulizia, facilità di manutenzione e un costo limitato. […] Le pareti sono lasciate il più possibile grezze per dare una sensazione di calore e avere un materiale che resista abbastanza efficacemente alle sollecitazioni dei bambini piccoli: quindi cemento a vista, pannelli in legno verniciato grezzo e non lucidato che possono essere supporto per disegni. I tramezzi in muratura sono intonacati e protetti con vernice lavabile.

[…]

OSCAR SERRI
Assessore ai servizi sociali della Regione Emilia Romagna

Occorre in via preliminare precisare che il carattere dell’asilo nido è per noi eminentemente educativo, di formazione e di socializzazione del bambino; va respinta ogni tendenza a collocarlo come struttura sanitaria per la prima infanzia […].
In rapporto alla famiglia il nido si pone come elemento integrativo e arricchente, non sostitutivo; non quindi intervento su una supposta inidoneità della famiglia, come postula qualcuno, giudicando come titolo di inidoneità la stessa condizione di lavoratrice della madre.
Questo ci porta da un lato a non accettare quale esclusivo punto di riferimento l’occupazione femminile, dall’altro a non far sì che l’asilo-nido si collochi obiettivamente in una logica di istituzionalizzazione minorile come strumento di emarginazione soprattutto dei diseredati e dei poveri. A questo proposito nel numero di maggio-giugno di quest’anno di «Maternità-Infanzia», rivista «scientifica» dell’ONMI, in un lungo studio dedicato ai nidi ritroviamo un passo particolarmente sciagurato. Alla domanda: «a chi serve l’asilo?» così si risponde molto semplicisticamente: «gli utenti dell’asilo-nido sono tutti quei bambini che per una qualsiasi causa sarebbero abbandonati a se stessi per mancanza della presenza degli adulti o più specificamente per quei bambini le cui madri esercitano un’attività lavorativa in quanto l’asilo-nido è da intendersi come un servizio avente carattere sostitutivo della famiglia»
[…] Evidentemente l’elaborazione di un piano per gli asili-nido comporta contestualmente una risposta alla necessità di personale qualificato sia sul piano quantitativo che qualitativo e un’indicazione dei contenuti e degli strumenti di questa formazione. Una diffusione capillare dei servizi gestiti socialmente comporta la disponibilità di operatori sociali di tipo nuovo […].
In armonia con tali indirizzi generali non è più possibile preparare il personale educativo dei nidi con i vecchi corsi per puericultrici e vigilatrici d’infanzia, di impronta esclusivamente sanitaria e protettiva. La regione, per rispondere oggi alle esigenze immediate, ha istituito una commissione di esperti e amministratori con il compito di elaborare i contenuti e i programmi di corsi di preparazione di alcuni mesi, diretti e gestiti dagli enti locali e rivolti a chi abbia già acquisito una base di qualificazione. All’inizio del 1972 la regione sarà in grado di sottoporre le risultanze di questa elaborazione agli enti locali e alle forze sociali interessate: tali iniziative dovrebbero consentire il soddisfacimento delle esigenze immediate che si porranno al termine del 1972; esse avranno un carattere transitorio perché, nel contempo. Regione, enti locali e mondo della scuola dovranno impegnarsi per dare corpo a quelle strutture formative a livello complessivo con i contenuti e le impostazioni nuove che prima richiamavo e all’interno delle quali dovrà collocarsi il personale dei nidi […]

[…]

 

ROBERTO RODOLFI
Sindacato postelegrafonici di Bologna

Sono qui come rappresentante del sindacato telefonici di Bologna: noi finalmente quest’anno andremo a rinnovare il contratto e per la prima volta abbiamo posto l’accento su problemi che escono dalla solita tematica contrattuale (inquadramento, qualifiche ecc.) e affrontano anche aspetti sociali; in particolare rilievo abbiamo posto il problema degli asili-nido. […] La nostra difficoltà è stata innanzitutto quella di non conoscere profondamente il problema degli asili-nido ma di avvertirlo soltanto, e, in secondo luogo, il carattere corporativistico delle rivendicazioni a cui sono abituate da sempre certe categorie di lavoratori, specie i telefonici […].
Come sindacato ci siamo proposti di sviluppare l’argomento, di provocare un certo movimento di pressione a sostegno di questa nuova legge che è stata approvata, con tutte le carenze che ha, e di sviluppare intorno ad essa un movimento di opinione. Innanzitutto dovevamo informarci, perciò ci siamo messi in contatto con l’UDI che gentilmente ci ha fornito tutte le informazioni necessarie; ora, proprio ad hoc è giunto questo convegno di studi al quale partecipiamo – non vi nascondo la mia meraviglia – con una delegazione unitaria dei tre sindacati che si è presa a cuore il problema.
Ovviamente altre difficoltà sorgeranno al momento di sviluppare questo movimento. Prepareremo del materiale e daremo la priorità a tutta la problematica degli asili-nido, mettendo l’accento soprattutto sulla loro dislocazione e ubicazione. Purtroppo da noi si sente dire molto spesso tra i lavoratori: «Vorremmo un asilo aziendale».
[…] Quello che ci proponiamo di fare è questo: dopo aver sviluppato la documentazione e averla distribuita in forma di volantinaggio, di opuscoli in mezzo ai lavoratori, cercheremo di creare una delegazione femminile e maschile (il problema è di tutti) che vada in visita ai nidi per vedere come sono gestiti; potrebbe prendere contatto, per esempio, con il collettivo del Palatini che ha già avuto esperienza di gestione sociale.
Altro sistema potrebbe essere – anche se è una forma già usata e strausata da chi c’è dentro da più tempo – quello di preparare e inviare all’azienda con le firme di lavoratrici e lavoratori bolognesi, una petizione nella quale si dica che quello dell’asilo-nido è un punto del rinnovo contrattuale. […]

[…]

RENATA BIANCHI
Unione donne italiane di Milano

Penso che questo convegno rivesta una grande importanza per la possibilità che ha dato a tutte noi che ci occupiamo dei problemi degli asili-nido di conoscere le realizzazioni di Bologna in questo campo e per la possibilità che ci offre di utilizzare queste esperienze anche nei nostri comuni di origine, adattandole alle nostre realtà locali.
Come rappresentante dell’UDI di Milano purtroppo non posso portare esperienze di gestione, come qui hanno fatto gli amici di Bologna, perché a Milano non esistono nidi comunali, ma soltanto pochi nidi dell’OMNI […]
Mi ha sollecitato ad intervenire la relazione dell’Assessore Tondi nella quale si afferma che la legge per i nidi, che è passata in questi giorni alla Camera e al Senato, non basta per istituire un reale servizio nazionale per tutti i bambini. Infatti in Emilia occorrerebbero 35 miliardi per realizzare un certo servizio e lo stato, invece, fornirà soltanto 5 miliardi. Questo vale, in una misura forse più grossa, anche per la Lombardia.
Pensiamo anche noi che la legge approvata sia un grosso successo politico, realizzato grazie alla lotta delle donne e dei lavoratori in generale, che fa passare il principio della maternità come fatto sociale, del diritto al lavoro per le donne, del nido come servizio sociale nazionale per la famiglia e per i bambini; ma il punto negativo è proprio nella insufficiente parte finanziaria. Occorre quindi continuare la lotta per portare miglioramenti in questo aspetto. La legge approvata lascia alle regioni la facoltà di reperire dei nuovi fondi nei modi che crederanno più opportuni; è necessario quindi, a mio avviso, fare pressione perché le regioni, e la regione Lombardia è su questa strada da diverso tempo, assolvano questo compito.
Dall’inizio della vertenza, che l’UDI ha aperto due anni fa, i sindacati hanno presentato una piattaforma rivendicativa che già superava il famoso 0,10 per cento a carico degli industriali previsto dalla legge. Infatti i sindacati chiedono 500 lire al mese a carico degli industriali per ogni dipendente, uomo o donna, per la gestione del nido e 10.000 lire per dipendente come cifra una tantum per la sua costruzione. Questa piattaforma è stata accettata da tutti i comuni della provincia di Milano e anche dal comune di Milano stesso e su questa stessa base, da un anno e mezzo a questa parte, noi stiamo andando avanti nelle nostre rivendicazioni.
Infatti già un comune, Cinisello Balsamo, ha ottenuto dei fondi dagli industriali (500 lire mensili per ogni dipendente) e ha aperto nel mese di settembre 2 nidi con questi soldi […].
Un fatto molto importante di questi ultimi mesi, precisamente ottobre, è che questa nostra battaglia, portata avanti assieme ai sindacati, alla popolazione di Milano e provincia, ha costretto l’ONMI provincia di Milano a passare ai comuni, col 1° di gennaio ’72, i 59 nidi che ha in gestione, Quindi fra un mese tutti i nidi dell’ONMI in provincia di Milano passeranno agli enti locali, insieme ai miliardi che l’ONMI di Milano prende dallo stato per la loro gestione.
[…] Secondo me in tutta questa azione, sia per la legge che è passata al Senato e alla Camera, sia per questa lotta che in Lombardia si sta conducendo per gli asili- nido, si è vinta soltanto una battaglia, non certamente la guerra […]

[…]

PAOLA ZOTTA
di Bari (a titolo personale)

Per me di Bari, venire qui a Bologna è stato molto utile. Noi non abbiamo esperienze da riportare, anzi esse sono tutte da importare dal Nord perché al Sud la situazione è molto grave. Noi non abbiamo affatto asili-nido comunali, quelli dell’ONMI sono sporadici. Vorremmo avere le vostre esperienze per portare avanti anche una nostra lotta politica, perché giù da noi non c’è neppure una presa di posizione politica da controbattere […].
Vorrei scusarmi per questo intervento fatto così alla buona; io porto proprio ciò che si può toccare con mano. Abbiamo quasi 60.000 bambini senza scuole materne, ci sono le mamme, che non possono assolutamente lavorare e inserirsi nella nuova vita sociale, perché non sanno dove lasciare i bambini. Oltre a questo, d’altra parte, non hanno neppure ancora compreso l’aiuto che può dare un asilo-nido, una scuola materna per la formazione del bambino. Quindi anche dal punto di vista della emancipazione femminile, la donna si trova a mal partito, si trova ancora ai primordi.
Vorrei il vostro aiuto, spunti, materiale da portare giù, per darci da fare, per darci una linea politica da poter seguire, perché siamo noi giovani adesso che stiamo cercando di portare avanti un discorso più valido. Non abbiamo l’aiuto dei sindacati, né l’aiuto della confindustria, anche se nel Mezzogiorno si stanno sviluppando alcune industrie. Nel mio paese, che si trova a sette chilometri di distanza da Bari, proprio nella zona industriale, ci sono la FIAT, la Verera, la Brema, ma mancano del tutto (siamo 22.000 abitanti) scuole materne e asili-nido. Molte donne lavorano in queste fabbriche, ma quando hanno il primo bimbo si ritirano, ritornano alla situazione di prima. Per questo chiediamo il vostro aiuto, finché si possa fare qualcosa.

[…]

LUCIANA VIVIANI
Unione donne italiane

Questo primo approccio al problema degli asili-nido credo sia stato estremamente utile perché ci ha dato già moltissima materia per riflettere.
E’ stata giustamente, da parte di alcuni, espressa la preoccupazione che, come altre leggi avanzate sul piano sociale, anche questa possa essere disattesa, applicata parzialmente o distorta nel corso dell’applicazione. Certo, se il movimento che ha conquistato la legge oggi considerasse terminato il suo compito, i pericoli che qui sono stati indicati sicuramente diventerebbero reali; noi siamo invece consapevoli che abbiamo svolto una parte del nostro compito, abbiamo raggiunto un primo traguardo e che questo movimento deve ora continuare ad operare, ed estendersi geograficamente, per raggiungere anche quelle zone del paese dove minore è la mobilitazione su questi temi. Bisogna evitare che la legge si applicata parzialmente, che sia distorta nel suo meccanismo e che sia resa operante soltanto in quelle zone d’Italia dove il movimento è più forte.
[…] Da parte di molti si sono avanzate in questo senso delle critiche alla legge, che consideriamo, invece, una delle migliori che, nel corso di questi ultimi anni, sono state approvate dal parlamento italiano. Non a caso è una legge voluta dal movimento popolare, sostenuto da una forte presenza di donne nelle lotte; e questo rafforza la nostra convinzione che, quando un problema è condotto da un movimento che riesce a trovare alleanze importanti, si superano le forti opposizioni politiche e i gravi problemi di incomprensione che certamente abbiamo trovato nella lunga battaglia condotta per questa legge.

Allegati:

Il testo della lettera dell’Assessore Marzocchi

Il testo della legge 1044/1971

La recente sentenza della Corte Costituzionale che ha riconosciuto la funzione educativa del nido

Il monitoraggio 2009 (l’ultimo e più recente esistente) del "Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza" sulla situazione dei servizi per la prima infanzia nel nostro paese

La Relazione della Commissione europea sulla realizzazione degli obiettivi di Barcellona riguardanti le strutture di custodia per i bambini in età prescolastica [COM (2008) 638]

 

Riferimenti:

Segnaliamo l’interessante articolo di Daniela Del Boca, Silvia Pasqua e Chiara Pronzato I nidi fanno bene a genitori e figli pubblicato su inGenere.

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