Con il "Terzo incontro nazionale per una riforma delle politiche sociali" che si terrà a Milano, venerdì 8 aprile, l’Associazione per la Ricerca Sociale (Ars) in collaborazione con l’Istituto per la Ricerca Sociale (Irs), intende rilanciare nuove proposte di riforma del welfare, basate su criteri di equità ed efficacia, presentando e discutendo i risultati di un percorso di ricerca durato oltre un anno sulla agibilità e sostenibilità di cambiamenti di tipo strutturale. L’ultima Legge di Stabilità e il successivo ddl del Governo prevedono per quest’anno specifici provvedimenti finalizzati alla razionalizzazione delle prestazioni, al riordino della normativa e all’introduzione in Italia di una misura di contrasto alla povertà. La congiuntura appare dunque particolarmente favorevole, forse come mai prima, per avviare una seria riforma del nostro sistema assistenziale, volta a costituire, con i livelli essenziali di assistenza, effettivi diritti anche in campo sociale.
Una diagnosi condivisa
Il nostro welfare sociale presenta forti e perduranti limiti: non è equo, non è efficace nel contrastare le situazioni di maggiore fragilità, è categoriale, è caratterizzato da un consistente e perdurante sbilanciamento verso i trasferimenti monetari, ha risorse troppe scarse sui territori per servizi e interventi.
La crisi economica dal 2008 a oggi ha prodotto un aumento delle diseguaglianze e una differenziazione dei bisogni di protezione sociale delle famiglie. Dal 2008 al 2014 la povertà assoluta è pressoché raddoppiata con oltre 4 milioni di persone (1 milione e 470mila famiglie) che non riescono a consumare un paniere di beni essenziali.
Il divario tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno si è allargato
La ricostruzione della condizione economica delle famiglie italiane secondo l’Isee ha evidenziato come i nuclei del primo decile (il più povero) possono contare mediamente su un reddito disponibile equivalente annuo di 7.014 euro, poco più di 500 euro al mese, quelle del secondo decile su 11.280 euro annui, meno di 600 euro al mese. Sono valori medi, che nascondono situazioni molto peggiori, per le forti differenze fra tipologie familiari e per distribuzione territoriale.
L’emergenza riguarda soprattutto le famiglie numerose e con figli minori
Si stima inoltre che nel nostro paese vi siano circa 2.800.000 persone anziane non autosufficienti e oltre 700.000 persone disabili, di età compresa fra 0 e 64 anni, che non godono di sostegni proporzionati ai loro bisogni di assistenza. Per fronteggiare sofferenze sociali quali quelle richiamate l’Italia ha impegnato nel 2014 oltre 72 miliardi di euro di spesa assistenziale pubblica, 4.5 punti del Pil. Un livello di spesa in linea con la media europea, non allocato però su politiche e interventi coerenti e funzionali, tali da massimizzare esiti di efficacia ed equità. Basti pensare che il 44% delle famiglie in povertà assoluta non riceve alcun sostegno monetario, così come il 24% di quelle in povertà relativa; analogamente possiamo dire che chi è in situazione di non autosufficienza o disabilità riceve come indennità di accompagnamento una cifra identica, senza quindi alcun rapporto con l’intensità del suo bisogno assistenziale o delle sue opportunità di vita attiva.
Contemporaneamente quasi 13 miliardi di euro vanno a beneficio di famiglie dei 4 decili superiori, quelli con Isee più elevato e con un reddito disponibile medio pro-capite ben superiore ai 2mila euro mensili. Famiglie quindi abbienti, certo non deprivate.
E’ indubbio che il sistema vada riformato
Le politiche sociali di oggi rappresentano l’esito frammentato e spesso obsoleto di retaggi storici e della pressione di interessi organizzati. Per correggere i limiti presenti va assunto un approccio sistemico e come criteri guida l’equità e l’efficacia: a uguali bisogni uguali sostegni, a maggiori bisogni maggiori sostegni. Per uno stato sociale abituato ad aggiungere senza cambiare ciò che c’è già si tratta di una sfida non da poco.
Le nostre proposte di riforma, frutto di un nuovo impegnativo lavoro di ricerca che abbiamo condotto con il sostegno di cinque Fondazioni bancarie, saranno presentate l’8 aprile al convegno “Costruiamo il welfare dei diritti”. Riguardano il contrasto della povertà, il sostegno alle famiglie con figli, alla disabilità in età giovane e adulta e alla non autosufficienza in età anziana. Un approfondimento su 7 territori, con conformazioni differenti (comuni singoli ed in forma associata di varia ampiezza) distribuiti tra 4 Regioni (Lombardia, Liguria, Piemonte ed Emilia Romagna) ci ha permesso di raccogliere ulteriori elementi di analisi utili alla riflessione sull’applicabilità delle riforme proposte, sugli spazi di potenziamento attivabili e sulle condizioni indispensabili per la sua effettiva perseguibilità a livello territoriale.
Per la povertà e le famiglie con figli minori
Un nuovo sostegno alle famiglie per il costo dei figli, non categoriale, progressivo in base alla condizione economica del nucleo, a partire da una razionalizzazione delle risorse esistenti, per quanto frammentate e carenti, appare imprescindibile e da molti invocato. Così come condivisa da tutti gli esperti, oltre che suggerita dalle istituzioni comunitarie, e non più rinviabile è una misura di reddito minimo per tutti coloro che non riescono a fuoriuscire dalla povertà.
Le due riforme sono fortemente interrelate negli obiettivi.
Si propone l’istituzione di un programma di contrasto della povertà assoluta abbinato a una riforma degli attuali trasferimenti destinati alle famiglie, entrambi sottoposti ad Isee. La riforma dell’Assegno ai minori o figli conviventi con età inferiore a 25 anni, se impegnati in percorsi educativi, dovrebbe sostituire le detrazioni fiscali per figli a carico e gli assegni al nucleo familiare, mentre rimangono inalterate le altre detrazioni (per coniuge e per altri familiari a carico). E’ stato concepito a parità di spesa rispetto agli istituti vigenti e con lo scopo primario di incrementare le risorse a favore dei nuclei con minori, generando un miglior effetto redistributivo: esso garantirebbe una prestazione media, per l’insieme dei beneficiari, pari a 2.270 euro annui, del 51% più elevato della media delle prestazioni sostituite.
La realizzazione di un unico assegno ai minori consentirebbe a molte famiglie di lavoratori poveri di uscire dalla povertà e la messa a regime di un Reddito minimo di inserimento richiederebbe un minor impegno di spesa, stimabile tra gli 8 e i 6 miliardi di trasferimenti alle famiglie, a seconda del take up, a cui andranno aggiunte le risorse per i servizi territoriali che dovranno gestire la misura.
La nuova misura costituirà un livello essenziale delle prestazioni di tutela di base, si ispirerà ai principi dell’universalismo selettivo, sarà impostata a livello centrale nelle sue caratteristiche imprescindibili e nei suoi ‘obiettivi minimi’, ma verrà opportunamente declinata ai diversi livelli di governo: i Comuni (in forma associata), si occuperanno degli accessi, prese in carico e attivazione dei percorsi di inclusione sociale e lavorativa dei beneficiari, di concerto con gli altri soggetti territoriali, a vario titolo coinvolti, terzo settore in primis; l’Inps si occuperà delle erogazioni economiche alle famiglie e dei controlli amministrativi sulla condizione economica dei dichiaranti; infine le Regioni avranno una funzione di raccordo tra il livello centrale e quello locale, regoleranno e promuoveranno lo sviluppo dei sistemi di servizi territoriali, dei sistemi informativi e di monitoraggio degli interventi, eventualmente compartecipando al finanziamento della misura, elevando i livelli essenziali previsti dallo Stato.
Per la disabilità e la non autosufficienza
Segna il passo il welfare dei servizi. Quello per le disabilità in età giovane e adulta e per la non autosufficienza degli over 65enni. Una rete di aiuti in affanno che stenta a seguire i ritmi di crescita della domanda, in particolare quella della terza età. Una rete di aiuti che continua a essere disconnessa e sovrastata dal welfare solitario della moneta su richiesta, dei trasferimenti economici alle famiglie.
L’Italia è inoltre l’unico paese con una misura di sostegno alla non autosufficienza – l’indennità di accompagnamento, misura per cui lo stato nel 2014 ha speso 13,5 miliardi di euro – corrispondente a una cifra fissa: 512 euro mensili. In tutti i paesi dell’Ocse, l’ammontare dei cash benefits dipende dalla gravità del bisogno e segue una valutazione dell’autonomia. In alcuni paesi, tipicamente la Germania, il beneficiario può scegliere tra ricevere soldi o servizi, secondo valori mensili compresi tra 200 e 1.900 euro, cifra variabile in base alla gravità del bisogno, alla scelta tra ricevere prestazioni in denaro o in natura, all’abitare a casa propria o in casa di riposo. In altri paesi come in Austria, Francia e alcuni paesi dell’Europa dell’Est sono previsti solo trasferimenti monetari. Per quanto riguarda la situazione economica dei beneficiari, in Belgio, Spagna, Francia, Olanda i contributi sono legati anche al reddito. Per esempio la Francia prevede livelli diversi che oscillano tra 440 euro e 1.100 euro mensili.
In Europa quindi tutti i contributi economici sono variabili a seconda del livello di autonomia e delle esigenze specifiche, mentre solo in alcuni paesi sono legati ad un test dei mezzi, ossia alla relativa situazione economica.
Per la disabilità e la non autosufficienza serve una nuova misura: la “Dote di cura”, che riassorbe e riforma l’indennità di accompagnamento. Una misura che aumenti finalmente il benessere delle persone disabili e non autosufficienti in modo coerente con le loro condizioni specifiche: il suo valore economico si differenzia per gradi diversi di disabilità e non autosufficienza, nella nostra proposta tra 300 e 800 euro mensili.
La Dote di cura dà la possibilità di scegliere tra un contributo economico senza vincoli e un voucher, ossia un budget utilizzabile per fruire di servizi pubblici o privati accreditati: nel caso degli anziani parliamo di assistenza a domicilio, centri diurni, assistenti familiari accreditate e così via. Per la disabilità in età giovane e adulta servizi riabilitativi, educativi, di socializzazione e sostegno alla vita indipendente. L’utilizzo sotto forma di voucher potrà avrà ripercussioni occupazionali importanti e in termini di emersione del lavoro di cura dal mercato nero.
Una indennità di accompagnamento riformata può rappresentare il vero volano di cambiamento, nella misura in cui viene utilizzata per fruire di servizi. L’esperienza tedesca ci dice che questa possibilità può essere inizialmente meno preferita rispetto a contributi economici senza vincoli, ma che nel tempo può crescere nelle preferenze come dimostra il caso tedesco e questo dipende molto da quanto i territori sono in grado di infrastrutturare la rete dei servizi.
Che cosa distingue la proposta di ARS e IRS
Due elementi caratterizzano le proposte che discuteremo l’8 aprile.
Primo: usiamo un approccio sistemico, non categoriale. Riteniamo infatti che per riformare le attuali politiche e misure socio assistenziali, da tutti ritenute parcellizzate e incoerenti, occorra assumere un approccio più ampio e integrato, che parta da una stima delle risorse già disponibili e riutilizzabili e quelle aggiuntive che occorrono, delineando una strategia a più tappe per confermare, riconfigurare gli interventi in atto, o sostituirli con nuove misure. Proporre di affrontare ancora una volta un singolo problema con una specifica nuova misura, senza riconsiderare e rivedere le misure esistenti nel loro complesso è certo più facile, ma è anche l’ennesima rinuncia all’opportunità di cominciare a migliorare il sistema nel suo insieme, in termini di equità, efficacia, economicità. Inoltre, la concomitante riforma in più ambiti può generare un “effetto domino” virtuoso, benefici collegati ed economie di spesa molto rilevanti.
Secondo: si tratta di una riforma non astratta, sia in termini di sostenibilità economico-finanziaria, sia soprattutto in termini istituzionali e organizzativi. Per la prima volta infatti proposte di riforma del welfare sono accompagnate da una valutazione della agibilità dei cambiamenti prefigurabili nei territori, della capacità di assumere e gestire funzioni e risorse che verrebbero trasferite a livello locale. Per questo abbiamo lavorato con la collaborazione di diversi contesti locali, soppesando opportunità e criticità, cercando di capire come il cambiamento di misure nazionali può fare sistema con quanto già avviene nei territori, con l’innovazione che attraversano, o con i vincoli che li frena. Cercando di capire che cosa c’è e che cosa manca e va sviluppato, sul piano delle dotazioni, delle competenze, delle prassi di lavoro, della governance del sistema degli interventi.
Il programma e le modalità di iscrizione al convegno dell’8 aprile