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Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, l’Inps e l’Istat hanno presentato il 13 febbraio scorso il secondo Rapporto sulla Coesione Sociale. Il rapporto è articolato in due volumi.
Il primo volume è una guida ai principali indicatori utili a rappresentare la situazione dell’Italia e la sua collocazione nel contesto europeo. L’obiettivo è quello di fornire le indicazioni di base per conoscere le situazioni economiche e sociali sulle quali intervenire per migliorare le condizioni di vita delle persone. Il secondo si compone di una serie di tavole statistiche che offrono dati, dove possibile aggiornati al 2010, articolati a diversi livelli territoriali per consentire comparazioni regionali e internazionali. A questo fine sono state utilizzate indagini statistiche ed archivi amministrativi nazionali (Inps, Ministero del Lavoro e Istat) e fonti internazionali (Eurostat e Ocse).
Dopo la prima edizione del rapporto, uscita nel 2010, questa seconda edizione sancisce la collaborazione istituzionale tra Ministero del Lavoro, Inps e Istat per garantire annualmente un volume articolato in due sezioni distinte: la prima di analisi delle politiche di coesione sociale e la seconda di tabelle statistiche che includano anche gli indicatori di monitoraggio previsti dalla strategia “Europa 2020”.

I dati sono organizzati in tre sezioni:
• contesti, che riporta tre quadri informativi di scenario sui contesti socio-demografico, economico e del mercato del lavoro;
• famiglia e coesione sociale, in cui vengono presentati alcuni fenomeni rilevanti: capitale umano, conciliazione tempo di lavoro e cura della famiglia, povertà.
• spesa e interventi per la coesione sociale, con dati sulla spesa sociale delle amministrazioni pubbliche, sulla protezione sociale, sulle politiche attive e passive del mercato del lavoro, sui servizi sociali degli Enti locali.

Il contesto socio-demografico

Continua ad aumentare l’aspettativa di vita della popolazione italiana, pari a 79,2 anni per gli uomini e a 84,4 per le donne, con un aumento di, rispettivamente, circa nove e sette anni in confronto a trent’anni prima. Il trend è crescente anche per le persone in età avanzata: un uomo di 65 anni può aspettarsi di vivere altri 18,4 anni e una donna altri 21,4 anni; un ottantenne altri 8,4 e una ottantenne 10,1 anni. A livello territoriale, l’area del Paese più longeva è quella del Centro-nord.
I bassi livelli di fecondità, congiuntamente al notevole aumento della sopravvivenza, rendono l’Italia uno dei paesi più vecchi al mondo. Al 1 gennaio 2011 si registrano 144,5 anziani ogni 100 giovani. E questo trend è destinato a crescere: secondo le previsioni attuali, nel 2050 ci saranno 256 anziani ogni 100 giovani.
L’indice di vecchiaia (rapporto percentuale tra la popolazione di 65 anni e più e la popolazione fino a 14 anni) è passato da 111,6 nel 1995 a 144,5 nel 2011 (fig.1). Questa tendenza proseguirà anche nei prossimi anni: secondo le stime, l’indice sarà pari a 205,3 nel 2030, a 256,3 nel 2050. Il Sud (Isole escluse) si conferma l’area territoriale più giovane del Paese: l’indice di vecchiaia è pari a 119,3, rispetto a 158,5 del Nord-ovest e 160,4 del Centro.

Figura 1. Indice di vecchiaia (*) al primo gennaio per sesso – Anni 1995-2011 e proiezioni al 2030 e 2050

Fonte: Rapporto sulla Coesione Sociale 2011, p. 7.

Cresce anche l’indice di dipendenza, misurato dal rapporto percentuale fra la popolazione in età non attiva (0-14 anni e 65 e più) e quella in età attiva (15-64 anni), che passa dal 45,5% del 1995 al 52,3 del 2011. Nel 2050 questo rapporto è destinato a salire a 84,7.

Capitale umano

Nel 2010, la quota di giovani tra i 18 e 24 anni che hanno abbandonano prematuramente gli studi o qualsiasi altro tipo di formazione è pari al 18,8%. Si tratta di un valore nettamente superiore a quello dell’Unione Europea a 25 paesi (13,9%) e ancora lontano dall’obiettivo stabilito dalla Strategia Europa 2020 della Commissione Europea, che intende portare gli abbandoni sotto la soglia del 10%.
Sebbene più contenuto nei valori assoluti, l’abbandono prematuro degli studi è relativamente più frequente nella popolazione straniera (43,8% contro il 16,4% di quella italiana). Il divario risulta ancora più accentuato per la componente femminile: abbandona gli studi il 42,1% delle giovani straniere contro il 12,7% di quelle italiane.
Al Sud, dei circa 400mila giovani fuori dagli studi, appena il 31,9% è occupato (contro il 43,8% della media nazionale e il 57,9% nel Nord-est), mentre il 49,3% risulta inattivo. C’è un forte legame tra l’abbandono degli studi da parte dei giovani e il grado di istruzione dei genitori. Appena il 2% dei figli di genitori laureati lascia gli studi, contro il 25,2% dei figli di genitori con licenza media e il 44,4% dei figli di genitori in possesso della licenza elementare.

Conciliazione delle funzioni di cura e della vita lavorativa

Nonostante il miglioramento avvenuto negli ultimi anni, le donne continuano ad avere maggiori difficoltà a conciliare i tempi di lavoro e di cura della famiglia: in media, giornalmente, guardando all’insieme del lavoro e delle attività di cura, la donna lavora 1 ora e 3 minuti in più del suo partner quando entrambi sono occupati (9 ore e 9 minuti di lavoro totale per le donne contro le 8 ore e 6 minuti degli uomini). Con riferimento al 2008-2009 per le coppie con figli il divario di tempo è salito a 1 ora e 15 minuti.
L’indice di asimmetria del lavoro familiare – ossia quanta parte del tempo dedicato al lavoro domestico, di cura e di acquisti di beni e servizi è svolta dalle donne – indica che il 71,3% del lavoro familiare delle coppie è ancora a carico delle donne. Nelle coppie con entrambi i partner occupati, il maggior grado di asimmetria si osserva tra le coppie con figli residenti al Sud (74,6%), in quelle in cui l’età del figlio più piccolo supera i 14 anni (74,6%) e quelle in cui la donna ha un titolo di studio basso (72,2% nel caso di licenza elementare o media).
Nel 2010, sono circa 380mila le lavoratrici dipendenti che hanno beneficiato dell’astensione obbligatoria per maternità. Fra le neo-mamme, il 91% ha un contratto a tempo indeterminato (e vive al Nord nel 58% dei casi), il 9% a tempo determinato (di cui il 52% concentrato nel Sud e nelle Isole).
I lavoratori dipendenti che hanno usufruito di congedi parentali (astensione facoltativa) ammontano a 286mila nel 2010. Di questi, il 93,5% ha un contratto a tempo indeterminato (nel Nord si concentra il 67% dei congedi parentali con contratti a tempo indeterminato). Fra i lavoratori che hanno beneficiato dei congedi parentali pur non avendo il posto fisso (6,5%), quasi i tre quarti (74%) sono concentrati al Sud e nelle Isole.
I congedi parentali continuano ad essere poco utilizzati dai padri. Basti pensare che ne ha usufruito appena il 10% dei lavoratori dipendenti, mentre, fra i lavoratori autonomi, le beneficiarie sono esclusivamente donne (100%).

Mercato del lavoro

In base al Rapporto, nel secondo trimestre 2011 gli italiani con un’occupazione erano 23 milioni 94mila, lo 0,4% in più dello stesso trimestre del 2010 (+87 mila unità). L’incremento riguarda esclusivamente la componente femminile. Il tasso di occupazione (15-64 anni) rimane stabile su base annua al 57,3%, dopo dieci trimestri consecutivi di flessione e il lieve incremento registrato nel trimestre precedente. Sempre nel secondo trimestre 2011 il numero dei disoccupati è stato pari a 1 milione 947mila unità. Il tasso di disoccupazione è al 7,8% (+0,5 punti percentuali rispetto al terzo trimestre 2010), quello giovanile (15-24 anni) si attesta invece al 27,4%, raggiungendo il 44% se riferito alle donne delle regioni del Sud.
Continua inoltre a crescere la popolazione che non cerca lavoro né è disponibile a lavorare. Il tasso di inattività si porta al 37,9%, quattro decimi di punto in più rispetto a un anno prima. Nel 2010, gli occupati a tempo determinato erano 2 milioni 182mila, il 12,8% dei lavoratori dipendenti. Si tratta in gran parte di giovani e donne. Gli occupati part-time erano invece 3 milioni 437mila, il 15% dell’occupazione complessiva. Anche in quest’ultimo caso prevale nettamente la componente femminile.
Sempre nel 2010, la retribuzione mensile netta è stata di 1.286 euro per i lavoratori italiani e di 973 euro per gli stranieri. In media gli uomini italiani percepiscono una retribuzione più elevata (1.407 euro) rispetto alle italiane (1.131 euro). Il divario retributivo di genere è più accentuato per la popolazione straniera, con gli uomini che percepiscono in media 1.118 euro e le donne soltanto 788 euro. Nel primo semestre 2011 sono stati attivati oltre 5 milioni 325 mila rapporti di lavoro dipendente o parasubordinato. Il 67,7% delle assunzioni è stato formalizzato con contratti a tempo determinato, il 19% con contratti a tempo indeterminato e l’8,6% con contratti di collaborazione. I rapporti di apprendistato sono stati il 3% del totale.

Povertà, esclusione sociale e deprivazione

Nel 2010, in Italia, le famiglie in condizione di povertà relativa sono 2 milioni 734mila (l’11% delle famiglie residenti), corrispondenti a 8 milioni 272mila individui poveri, il 13,8% dell’intera popolazione. Il 10,2% delle persone vive in famiglie a bassa intensità di lavoro, dove meno del 20% del tempo teoricamente disponibile è impiegato in attività lavorative. Questo dato si spiega anche con la prolungata convivenza con i genitori dei giovani (18-34 anni) in cerca di occupazione.
Nel corso degli anni la condizione di povertà è peggiorata per le famiglie numerose, soprattutto per quelle con figli minori e residenti al Sud, per le famiglie dove convivono più generazioni e per quelle con un solo genitore.
Nel 2010, l’incidenza della povertà relativa ha raggiunto il 28% fra i minorenni se questi vivono con i genitori e almeno due fratelli (è al 10,7% se si fa riferimento alla povertà assoluta), mentre supera il 33% (11,8% nel caso della povertà assoluta) se vivono in famiglie con membri aggregati. La povertà relativa mostra, invece, segnali di miglioramento fra gli anziani. Tuttavia, una vulnerabilità in termini economici permane soprattutto nel Mezzogiorno, dove l’incidenza della povertà relativa non scende al di sotto del 26% (7% per la povertà assoluta).
Guardando all’Europa, Spagna, Portogallo, Grecia, Italia, insieme al Regno Unito, sono i paesi caratterizzati dal maggior grado di disuguaglianza nella distribuzione dei redditi nell’Europa a 15. In base al rapporto fra la quota di reddito del 20% più ricco e quella del 20% più povero della popolazione, nel 2010 i paesi con la minore diseguaglianza nell’Europa a 15 sono invece i Paesi Bassi, l’Austria, la Finlandia e la Svezia.
L’indicatore sintetico “Europa 2020”, che considera le persone che a rischio di povertà oppure di esclusione sociale (perché vivono in famiglie materialmente deprivate o a bassa intensità lavorativa), nel 2010 è superiore al 22% in sei paesi dell’Europa a 15 (Grecia, Portogallo, Italia, Spagna e Regno Unito) mentre risulta più contenuto nei Paesi scandinavi, in Austria e nei Paesi Bassi.

I servizi socio-assistenziali

Nel 2008 i Comuni italiani, in forma singola o associata, hanno destinato agli interventi e ai servizi sociali 6 miliardi e 662 milioni di euro, un valore pari allo 0,42% del Pil. La spesa media pro capite è pari a 111 euro, ma le differenze territoriali sono significative: si va da un minimo di 30 euro in Calabria a un massimo di 280 nella provincia autonoma di Trento. Al di sopra della media nazionale si collocano tutte le regioni del Centro-nord e la Sardegna, mentre il Sud (escluse le Isole) presenta i livelli più bassi di spesa media pro capite (52 euro), circa tre volte inferiore a quella del Nord-est (155 euro).

Figura 2. Spesa per interventi e servizi sociali dei comuni singoli e associati per area di utenza e per regione – Anno 2008 (composizione percentuale per regione)

Fonte: Rapporto sulla Coesione Sociale 2011, p. 53.

Famiglia e minori, anziani e persone con disabilità sono i principali destinatari delle prestazioni di welfare locale. Su queste tre aree di utenza si concentra l’82,6% delle risorse impiegate.
Le politiche di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale incidono per il 7,7% della spesa sociale, mentre il 6,3% è destinato ad attività generali o rivolte alla “multiutenza”. Le quote residue riguardano le aree di utenza “immigrati e nomadi” (2,7%) e “dipendenze” (0,7%). Il 38,7% della spesa è destinato a interventi e servizi, il 34,7% a sostegno di strutture, il rimanente 26,8% ai trasferimenti in denaro.
Nelle regioni del Sud quote di spesa significative sono destinate alle politiche di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale: il 12,3% nel complesso dell’area, a fronte di una media nazionale del 7,7%, con un picco del 23,8% in Calabria. Al Nord un volume maggiore di risorse è impiegato per la cura degli anziani e, soprattutto nel Nord-est, dei disabili. La quota di spesa destinata a interventi e servizi per i disabili è elevata anche nelle Isole (29,1%). L’area di utenza “disabili” è anche quella che registra i livelli di spesa pro capite più elevati, in media 2mila 500 euro, valore che sale a 5mila euro nel Nord-est.
Con riferimento ai servizi per la prima infanzia, nel 2009 sono circa 193mila i bambini tra zero e due anni di età iscritti negli asili nido comunali, compresi quelli che frequentano gli asili nido convenzionati o sovvenzionati dai Comuni. Nonostante il generale ampliamento dell’offerta pubblica, la quota di domanda soddisfatta è ancora limitata rispetto al potenziale bacino di utenza: gli utenti degli asili nido sono passati dal 9,0% dei residenti tra zero e due anni dell’anno 2004 all’11,3% di quelli del 2009. Ammonta a circa 1 miliardo e 447 milioni di euro la spesa per gli asili nido, che include quella sostenuta dalle amministrazioni pubbliche e dalle famiglie. La quota di spesa a carico degli utenti è, nel complesso, pari al 18%. Tale quota si mantiene piuttosto stabile negli ultimi anni. La compartecipazione degli utenti alla spesa è più elevata nelle Marche e in Lombardia (rispettivamente 26,4% e 25%).

Pensioni, invalidità e assegno sociale

Alla fine del 2010 si contavano in Italia 16 milioni 708 mila pensionati. Di questi, il 75% percepisce solo pensioni di Invalidità, Vecchiaia e Superstiti (IVS), mentre al restante 25% vengono erogate pensioni di tipo indennitario e assistenziale, eventualmente cumulate con pensioni di tipo IVS.
Dal punto di vista geografico, il 27,5% dei pensionati risiede nel Nord-ovest, il 19,6% nel Nord-est, il 19,5% nel Centro, il 20,6% al Sud, il 9,9% nelle Isole. Quasi un pensionato su due (49,4%) ha un reddito da pensione inferiore a mille euro, il 37,4% ne percepisce uno fra mille e duemila euro, mentre per il 13,2% dei pensionati il reddito pensionistico è superiore a duemila euro.
Nel complesso il numero dei beneficiari di pensioni d’invalidità e assegni sociali ammontava, alla fine del 2010, a 4 milioni 480 mila. Si tratta di circa 2 milioni 115mila uomini e 2 milioni 365mila donne che vivono nel 15,9% dei casi nel Nord-ovest, mentre il 19,9% risiede nel Nord- Est, il 21% nel Centro, il 28,9% nel Sud e il 13,7% nelle Isole. Il 52,8% dei pensionati d’invalidità e assegni sociali percepisce un importo mensile inferiore a mille euro, il 26,3% gode di una pensione fra mille e millecinquecento euro, solo l’1,5% ne ha una sopra i tremila.
Nello stesso periodo sono circa 1 milione e mezzo le pensioni di invalidità previdenziale, di cui circa 680 mila percepite dagli uomini e 819 mila dalle donne, con un importo medio annuo rispettivamente di 9.267 e 7.689 euro. Le pensioni d’invalidità previdenziale sono erogate per il 16,7% nel Nord-ovest, il 14% nel Nord-est, il 21,1% nel Centro, il 32% nel Sud e il 14,6% nelle Isole. Il 90,6% delle pensioni d’invalidità previdenziale è sotto i mille euro mensili, mentre solo lo 0,9% è sopra i duemila. Il loro numero è in continuo calo: rispetto al 2008 sono diminuite del 12,6%.
Nel 2010 sono state erogate oltre 3 milioni 158mila pensioni di invalidità civile, circa 1 milione 240mila a uomini e 1 milione 918 mila a donne, che vivono nel 20,3% dei casi nel Nord-ovest, per il 15,2% nel Nord-est, per il 20,3% nel Centro, per il 29,9% nel Sud e per il 14,3% nelle Isole.
Sono circa 800 mila le pensioni e gli assegni sociali erogati nel 2010, circa 258 mila corrisposte a uomini e oltre 542mila a donne. L’importo medio annuo è di 4.952 euro. Sul territorio queste pensioni si distribuiscono per il 16,1% nel Nord-ovest, il 10,7% è nel Nord Est, il 20,3% al Centro, il 33,4 al Sud e il 19,5% nelle Isole. Rispetto al 2008 aumentano leggermente sia il numero delle pensioni e assegni sociali erogati nel 2010 sia il relativo importo medio annuo.

Figura 3. Prestazioni di protezione sociale secondo l’evento, il rischio e il bisogno per i paesi UE – Anno 2010

Fonte: Rapporto sulla Coesione Sociale 2011, p. 38.
 

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