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L’Ires Piemonte ha pubblicato lo studio Innovazione nei servizi per la prima infanzia 0-2 anni, sui sistemi dei servizi educativi per la fascia 0-2 anni, in Europa e in Italia.

A grandi linee, si possono distinguere nella tradizione europea sistemi cosiddetti “familistici” – come quello italiano o tedesco – in cui i nuclei familiari sono considerati centrali e responsabili primi del benessere degli individui – e sistemi (come quello scandinavo o francese) che puntano invece a sollevare le famiglie dagli oneri legati ai processi di cura. Al di là dei diversi modelli, comunque, quasi ovunque in Europa si registra di recente una crescita dell’offerta dei servizi in grado di coprire la domanda della fascia di bambini con meno di 3 anni (Figura 1).


Figura 1. Copertura della fascia di età 0-2 anni con servizi (pubblici e privati) nei principali Paesi UE e Oecd
Utenti su totale abitanti in età 0-2 anni.

Fonte: Eurostat

Nel settore dei servizi per la fascia 0-2 anni – seguendo una più generale tendenza in atto nei sistemi di welfare occidentali – vanno crescendo forme miste di organizzazione e di gestione, che coinvolgono diverse istituzioni pubbliche, insieme ad attori privati e del terzo settore.

Con riferimento ai maggiori Paesi europei, si va da casi – come in Francia, in Svezia o nella stessa Italia – in cui il rilievo del settore pubblico rimane largamente dominante a situazioni, come nel Regno Unito, in cui al prevalente intervento pubblico si associa un notevole rilievo dei privati for profit (sia come società che sotto forma di libera professione); in Germania, invece, la maggioranza dei servizi per la prima infanzia è gestita dal terzo settore, con una quasi totale assenza dei privati profit. Nel resto del mondo, secondo i dati di Education International, la quota di servizi per la prima infanzia offerti dal settore pubblico è decisamente bassa: negli Stati Uniti, ad esempio, è attorno al 10%, in Canada poco di più; in diversi stati africani e asiatici corrisponde a circa un quarto dell’offerta complessiva (Figura 2).

Anche in Italia il rilievo del settore pubblico sta declinando da un paio di decenni. Nel 2010, circa un terzo dei posti disponibili sono ormai erogati da strutture private, per due terzi gestite dal settore profit (raramente convenzionate col settore pubblico) e per un terzo da cooperative e associazioni (che per la quasi totalità gestiscono servizi pubblici messi a bando da enti pubblici).


Figura 2. Modalità di gestione dei servizi per la prima infanzia in alcune nazioni – 2012

Fonte: Eurostat

In alcune regioni italiane, come Emilia, Lombardia e Toscana, i nidi comunali hanno continuato a espandersi in modo molto significativo. In una sola tra le grandi regioni – la Puglia – si registra una diminuzione. Il numero di posti disponibili negli altri tipi di servizi educativi (diversi dai nidi comunali) risulta in crescita negli ultimi anni in buona parte delle regioni, eccezion fatta per la Liguria, la Toscana e per alcune regioni meridionali.
Nel complesso, la rilevanza del settore pubblico rispetto all’offerta complessiva, si è considerevolmente ridimensionata soprattutto in Lombardia, in Lazio e in Sardegna; l’offerta privata è ormai paritetica in Lombardia, superiore a quella pubblica nelle due altre regioni. Nel Mezzogiorno, viceversa, il rilievo dei servizi educativi risulta particolarmente cresciuto negli ultimi anni.

I dati relativi ai costi di gestione evidenziano differenze molto rilevanti tra le regioni italiane e tra tipi di servizi (Figura 3). In termini generali, il nido d’infanzia a tempo pieno risulta in assoluto il più caro in termini gestionali; ciò dipende dal fatto che è il servizio più strutturato, ma anche organizzativamente “rigido”. Mediamente in Italia un nido d’infanzia costa agli enti pubblici cinque volte tanto (in termini di spesa media per utente) rispetto agli altri tipi di servizi educativi; ma vi sono regioni dove tale differenza risulta più contenuta (come in Toscana, in Sardegna o in Calabria, dove il costo è triplo) e, all’opposto, altre (come il Piemonte, il Friuli o la Puglia) dove i costi sostenuti dagli enti locali per i nidi comunali sono di ben nove volte superiori rispetto a quelli relativi agli altri servizi educativi.

In termini di costi medi per utente, nel caso dei nidi pubblici i livelli di spesa più contenuti si riscontrano in Calabria, Sardegna, Lombardia, Friuli; all’opposto, si spende molto in Lazio, Sicilia, Campania, Liguria e in Piemonte. Per quanto riguarda invece gli altri tipi di servizi educativi, il Piemonte si colloca tra le regioni che spendono meno per utente, subito dopo Friuli, Puglia e Lombardia; i maggiori costi di gestione di questi servizi si registrano, di nuovo, nel Lazio e in Campania, oltre che in Toscana e in Emilia.

Anche la compartecipazione alla spesa da parte delle famiglie risulta alquanto variabile: si va da regioni, come la Sicilia o la Campania, nelle quali le famiglie contribuiscono minimamente, sia nel caso dei nidi comunali sia degli altri servizi educativi, a regioni come la Toscana o il Veneto in cui le famiglie coprono tra un quinto e un quarto dei costi medi per utente.


Figura 3. Costi di gestione di nidi comunali e altri servizi educativi, nelle principali regioni italiane – 2010

Fonte: Eurostat

In sintesi, in Italia, l’offerta quantitativa di servizi per la fascia 0-2 anni risulta oggi di livello intermedio rispetto all’Europa. Il Piano nazionale straordinario, finanziato dal Governo nel 2007, ha prodotto effetti positivi, superiori alle attese, migliorando la dotazione media di posti disponibili a livello nazionale di oltre il 40%. La dotazione di posti è cresciuta in modo molto significativo soprattutto in Campania e in Sardegna (che partivano però da valori molto bassi); tra le regioni settentrionali, gli aumenti più importanti si sono registrati soprattutto in Lombardia, quindi in Liguria e in Friuli. In genere, nelle regioni settentrionali s’è ampliata soprattutto l’offerta privata, nel Sud quella pubblica.

I nuovi servizi educativi (diversi dai tradizionali nidi comunali) hanno permesso notevoli risparmi di denaro pubblico, in quanto costano molto meno rispetto ai nidi d’infanzia. La gestione diretta comunale risulta economicamente più onerosa rispetto all’affidamento in appalto (che riduce del 25-30% i costi di gestione) o al convenzionamento con nidi privati (meno 30-35%); ciò soprattutto per i diversi livelli retributivi del personale. I nuovi tipi di servizi educativi, inoltre, permettono di soddisfare una domanda sociale che di solito non si rivolge ai nidi d’infanzia e si caratterizzano in genere per un positivo clima “familiare”; possono però rischiare un certo isolamento rispetto al contesto territoriale.

Per approfondire il tema dei servizi per l’infanzia, l’Osservatorio sugli effetti sociali della crisi, nato dalla collaborazione fra Ires Piemonte e Centro Einaudi, organizza il seminario “I servizi per la prima infanzia: le risposte di policy fra crisi e innovazione”, che si terrà giovedì 21 Novembre, dalle ore 9,30 alle 13,00 presso la Sala Conferenze dell’Ires Piemonte, via Nizza 18, Torino.

 

Riferimenti

Innovazione nei servizi per la prima infanzia 0-2 anni, Silvia Crivello e Luca Davico, Ires Piemonte

 

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