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Maggio 2021. Riuniti in Portogallo, i leader dell’Unione Europea firmano la Dichiarazione di Porto per “garantire pari opportunità a tutti e non lasciare indietro nessuno”. È un passo importante per l’Europa che si appresta a lasciarsi alle spalle la pandemia e che vuole farlo rilanciando la sua dimensione sociale con il Pilastro europeo dei diritti sociali1.

Dicembre 2024. Dopo le elezioni europee di giugno che hanno rinnovato il Parlamento Europeo si insedia ufficialmente anche la nuova Commissione UE, guidata per la seconda volta dalla tedesca Ursula von der Leyen, espressione del Partito Popolare Europeo. 

Negli ultimi tre anni e mezzo che ne è stato dell’Europa sociale?
E, soprattutto, cosa ne sarà nei prossimi cinque anni?

“Dal 2021 ad oggi, spazio per l’Europa sociale ce n’è stato tanto” sostiene Francesco Corti, esperto di politiche sociali europee e da poco membro del gabinetto di Roxana Mînzatu, vice presidente esecutiva della Commissione UE per i diritti sociali e le competenze, i posti di lavoro di qualità, la preparazione. 

Ora però la situazione è molto cambiata. 

La nuova Commissione Europea, insediatasi lo scorso primo dicembre - Foto: European Union, 2024
La nuova Commissione Europea, insediatasi lo scorso primo dicembre – Fonte: Unione Europea, 2024

Rispetto alla Dichiarazione di Porto “siamo in un’epoca totalmente diversa” ragiona Sebastiano Sabato, senior researcher dell’Observatoire Social Européen. “La spinta del Pilastro europeo dei diritti sociali – continua – si è affievolita e con le elezioni le dinamiche politiche UE sono mutate”.

L’Unione oggi ha nuove priorità, la competitività e la difesa su tutte, e la dimensione sociale rischia di essere fortemente ridimensionata o, peggio, cinicamente sacrificata.

Questione di competenze

Per capire che cosa è successo e cosa potrà succedere, bisogna partire dal funzionamento stesso dell’Unione Europea. “L’UE ha competenze limitate in materia di questioni sociali, poiché la maggior parte di queste è di competenza dei governi nazionali”, spiega uno studio del Parlamento Europeo.

La responsabilità per l’occupazione e le politiche sociali infatti ricade principalmente sugli Stati membri e sui loro governi. Ciò significa che sono i Paesi membri – e non l’UE – a decidere su questioni come la regolamentazione dei salari, incluso il salario minimo, il ruolo della contrattazione collettiva, i sistemi pensionistici e l’età pensionabile, nonché i sussidi di disoccupazione.

Dopo Porto, l’Unione Europea sarà più sociale?

“Tuttavia – prosegue il documento –  nel corso degli anni l’UE ha lavorato sulle questioni sociali nel contesto del processo di integrazione europea, sviluppando una serie di strumenti nel settore sociale. Tra questi vi sono leggi dell’UE, fondi e strumenti per migliorare il coordinamento e il monitoraggio delle politiche nazionali”. Ma non solo. 

Un altro aspetto fondamentale è la cosiddetta governance economica UE, e cioè quel complesso sistema di norme comunitarie che definisce le possibilità di spesa degli Stati membri quando devono stilare i loro bilanci. E che, quindi, incide notevolmente anche sulle politiche di welfare realmente finanziabili e attuabili.  

Da Porto a La Hulpe

Da quando è stata approvata la Dichiarazione di Porto, molte cose sono successe sia per quanto riguarda le iniziative legislative Ue sia per quanto riguarda la governance economica. 

“La Commissione uscente ha prodotto una mole di provvedimenti significativa”, riprende Francesco Corti, che negli ultimi anni ha lavorato come consigliere del Ministro belga degli Affari sociali e della Sanità pubblica Frank Vandenbroucke e che, in quanto tale, è stato coinvolto nel semestre belga di presidenza dell’UE (conclusosi lo scorso giugno). 

I provvedimenti cui Corti fa riferimento sono la direttiva sui salari minimi adeguati, quella sui lavoratori su piattaforma e quella sulla protezione dei lavoratori dall’amianto, ma anche la direttiva relativa alla comunicazione societaria sulla sostenibilità e il regolamento sul lavoro forzato, che, per l’esperto “riguardano il mercato unico ma hanno conseguenze concrete sulla promozione di standard sociali elevati”. 

Tutte queste misure sono state prese in buona parte grazie al lavoro di Nicolas Schmit, politico socialista lussemburghese ed ex Commissario per il lavoro e i diritti sociali. Le competenze sociali erano affidate a lui durante la prima Commissione von der Leyen, mentre ora spetteranno alla socialista rumena Roxana Mînzatu. Mînzatu è una dei sei vice presidenti esecutivi della seconda Commissione von der Leyen, con deleghe appunto a Diritti sociali e competenze, posti di lavoro di qualità e preparazione. E, come detto, Corti è parte del suo gabinetto.

“Le priorità assegnate dalla presidente von der Leyen alla vice presidente Mînzatu sono, di fatto, quelle indicate nella dichiarazione di La Hulpe”, spiega Corti.

Il riferimento è all località di La Hulpe, alle porte di Bruxelles, dove lo scorso aprile è stata firmata la Dichiarazione sul futuro del Pilastro europeo dei diritti sociali. A siglarla sono stati la Commissione Europea, 25 Stati Membri (tutti, tranne Austria e Svezia), il Parlamento Europeo, il Comitato economico e sociale europeo, oltre numerosi rappresentanti delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile. È da qui che riparte il percorso dell’Europa sociale. Vediamo perché.

Il futuro del Pilastro europeo dei diritti sociali

I firmatari, si legge nella Dichiarazione, vogliono “perseguire “un’Europa sociale, con l’obiettivo di creare progresso sociale ed economico, garantire pari opportunità per tutti, posti di lavoro di qualità e condizioni di lavoro eque, ridurre la povertà e le disuguaglianze e favorire una transizione giusta ed equa verso la neutralità climatica”. Per farlo, nella Dichiarazione vengono proposte diverse iniziative che, come ci sottolinea Corti, sono ben visibili nelle responsabilità assegnate alla vice presidente Mînzatu.

Quest’ultima dovrà complessivamente far sì che i tre obiettivi decisi a Porto2 in materia di occupazione, formazione e povertà vengano raggiunti entro il 2030. E, per questo, dovrà impegnarsi su diversi fronti: upskilling, reskilling, Erasmus+, roadmap per posti di lavoro di qualità, la prima strategia europea contro la povertà, Long Term Care, Garanzia per l’infanzia e anche un contributo al piano per alloggi a prezzi accessibili.

Inoltre, a livello legislativo, Minzatu punta ad approvare nuove misure in diversi ambiti: dall’intelligenza artificiale sul posto di lavoro a lavoro da remoto e diritto alla disconnessione, dalla salute mentale in campo professionale al coinvolgimento delle parti sociali nella transizione giusta, dagli appalti pubblici sostenibili alla limitazione dei subbapalti. 

Povertà: l’Europa alle prese con l’eredità della pandemia

Molte di queste iniziative, come aveva anticipato von der Leyen a luglio presentando le sue linee guida politiche al Parlamento Europeo alla vigilia della sua conferma alla guida della Commissione, verranno inserite in una cornice unica. “Abbiamo bisogno di un nuovo impulso nelle aree in cui sono necessari maggiori progressi e inquadreremo questo lavoro in un nuovo Piano d’azione sull’attuazione del Pilastro europeo dei diritti sociali (il precedente era del 2021, ndr)”, spiegava la presidente della Commissione UE davanti agli europarlamentari. 

In quella occasione Solidar, una rete europea di organizzazioni della società civile, parlò di “un’ottima notizia”. . “Tuttavia – proseguiva il testo dell’organizzazione commentando le parole di von der Leyen – la qualità e l’ambizione di tale Piano dipenderanno dalle iniziative concrete associate e dai finanziamenti disponibili sia a livello dell’UE che nazionale”. Secondo Solidar, infatti, il discorso della Presidente non ha chiarito come la Commissione “garantirà la mobilitazione di investimenti sociali straordinari per affrontare le sfide eccezionali portate dalle transizioni verdi e digitali in corso, dato che l’approccio di austerità è stato riaffermato nella riforma delle regole di governance economica dell’UE”.  

La nuova governance economica UE

La preoccupazione di Solidar è condivisa anche dal ricercatore dell’Observatoire social européen Sebastiano Sabato. 

A suo parere, nella situazione politica europea attuale, le politiche sociali vengono viste solo come “un mezzo per contribuire alla crescita economica e a una maggiore competitività”, in una declinazione “più ristretta rispetto a quella originale del Pilastro europeo dei diritti sociali” che rischia di “prendere molto meno in considerazione la protezione sociale”. E, in questo, anche secondo il ricercatore ha giocato un ruolo la riforma della governance economica europea, il secondo e cruciale elemento sul quale costruire (oppure no) un’Europa davvero sociale.

Ursula von der Leyen celebra il voto del Parlamento Europeo in favore della sua Commissione - Foto: European Union, 2024
Ursula von der Leyen celebra il voto del Parlamento Europeo in favore della sua Commissione – Fonte: Unione Europea, 2024

Nell’aprile scorso, dopo un lungo negoziato, è infatti entrato in vigore il nuovo Patto di stabilità e crescita, il principale elemento della governance economica dell’Unione.  

“Le regole previste dal Patto di stabilità – spiega Il Postservono a far sì che ciascun Paese tenga i conti pubblici in ordine e non faccia troppo ricorso al debito, in modo da evitare problemi che possano ricadere sul resto dell’Unione”. Il Patto di stabilità era stato sospeso nella primavera del 2020 a causa della pandemia di Covid-19 e non era stato riattivato anche a causa dell’inizio della guerra in Ucraina e della conseguente crisi energetica. Quindi è arrivata la riforma, che si applica a partire dai bilanci degli Stati UE per il 2025. 

Per i critici del nuovo Patto di stabilità la sua impostazione è ancora troppo rigida: non abbastanza distante dall’austerità che ha caratterizzato l’Unione Europea durante la crisi economica del 2007-2008 e negli anni successivi, tagliando fortemente i fondi per le politiche sociali e occupazionali. 

Nel febbraio 2020, gli allora Commissari UE Valdis Dombrovskis e Paolo Gentiloni (a destra) presentano la proposta di riforma della governance economica europea - Foto: European Union, 2020
Nel febbraio 2020, gli allora Commissari UE Valdis Dombrovskis e Paolo Gentiloni (a destra) presentano la proposta di riforma della governance economica europea – Foto: Unione Europea, 2020

Alcuni cambiamenti però sono stati introdotti. Corti sottolinea come ora esista “la possibilità di includere investimenti e riforme sociali tra le misure eleggibili nell’estensione dei piani per una maggiore flessibilità di bilancio e debito”. La riforma, infatti, permette ai Paesi con un debito pubblico elevato, come l’Italia, di stabilire con la Commissione dei piani pluriennali per rientrare nei cosiddetti parametri di Maastricht. E in questi piani alcuni investimenti legati al Pilastro europeo per i diritti sociali sono autorizzati. 

Secondo Sabato, però, si tratta di misure ancora una volta “legate alla competitività”. “La prospettiva – sostiene – è sempre quella dell’austerità, poi viene concessa la possibilità di aggiungere qualche elemento sociale, ma questo non è sufficiente”. 

Competitività sostenibile? 

Il ricercatore dell’Observatoire Social Européen osserva anche in questo caso un cambiamento rispetto alla precedente legislatura europea. “Prima la parola d’ordine era sostenibilità competitiva, ora è competitività sostenibile. Sembra una sfumatura ma non lo è: significa che l’obiettivo è aumentare la competitività. Se lo si raggiunge in maniera sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale, meglio, ma la priorità è quella e non la sostenibilità”, dice Sabato.

Anche in questo contesto, però, secondo Corti è possibile agire per rilanciare i principi dell’Europa sociale, e questa occasione va colta soprattutto a livello nazionale: “La questione che rimane aperta è la possibilità effettiva di tradurre in pratica quello che è previsto dalla nuova governance economica, nell’implementazione da parte dei Paesi”. “Gli Stati Membri – conclude – hanno dei margini di discrezione. Sta a loro sfruttarli”

Lo spazio per un’Europa sociale, quindi, esiste ancora.
Ma si è notevolmente ristretto. 

La finestra di opportunità politica che a livello UE si era aperta con la pandemia, ora sembra essersi già quasi completamente richiusa. Bruxelles potrà prendere alcuni provvedimenti e, in tal senso, molto dirà il contenuto del nuovo Piano d’azione sul pilastro europeo dei diritti sociali, ma l’iniziativa sarà nelle mani dei singoli Paesi. Nei limiti del contesto che abbiamo descritto, infatti, saranno le azioni dei Governi nazionali a mostrare davvero chi vuole “garantire pari opportunità a tutti e non lasciare indietro nessuno”. E chi no. 


Note

  1. Durante la Commissione Juncker, nel novembre 2017, viene approvato il Pilastro europeo dei diritti sociali con i suoi 20 principi. Il Pilastro è sia un quadro di riferimento per i modelli di welfare nazionali sia una spinta ad aggiornare la legislazione europea in tema di politiche sociali e del lavoro. Per saperne di più, leggi qui.
  2. Durante il vertice di Porto, è stato approvato il Piano d’azione sul pilastro europeo dei diritti sociali che individua tre obiettivi principali da raggiungere entro il 2030: che almeno il 78 % della popolazione di età compresa tra i 20 e i 64 anni abbia un lavoro; che almeno il 60 % di tutti gli adulti partecipi ogni anno a attività di formazione; che il numero di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale diminuisca di almeno 15 milioni.
Foto di copertina: Da sinistra a destra, António Costa, Presidente del Consiglio dell’UE, Roberta Metsola, Presidente del Parlamento Europeo e and Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione UE - Foto: European Union, 2024