“Garantire pari opportunità a tutti e non lasciare indietro nessuno”. Nella Dichiarazione di Porto che i leader UE hanno firmato lo scorso maggio c’è anche questo impegno, tanto retorico quanto cruciale. Non è la prima volta che i capi di Stato e di Governo dei Paesi dell’Unione Europea approvano un documento con queste parole o altre simili. Eppure, l’occasione potrebbe rivelarsi particolarmente importante. Il condizionale è d’obbligo, ma diversi osservatori ritengono che il passo formale compiuto in Portogallo possa portare questa volta ad azioni concrete. Dopo anni di austerità, il cammino verso un’Europa sociale partito nel 2015 potrebbe ora riprendere e, complice la pandemia, procedere più veloce e deciso.
A Porto, infatti, è stato approvato il Piano d’azione sul pilastro europeo dei diritti sociali proposto dalla Commissione UE che, in particolare, individua tre obiettivi principali da raggiungere entro il 2030:
- che almeno il 78 % della popolazione di età compresa tra i 20 e i 64 anni abbia un lavoro;
- che almeno il 60 % di tutti gli adulti partecipi ogni anno a attività di formazione;
- che il numero di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale diminuisca di almeno 15 milioni.
Così facendo, secondo Joost Korte, il messaggio che i leader europei hanno mandato è chiaro: “in tempi di grandi cambiamenti, dobbiamo rafforzare i diritti sociali”. Korte è a capo della Direzione Occupazione, affari sociali e inclusione della Commissione UE, che si occupa proprio del piano d’azione. “I diritti sociali – spiega a Secondo Welfare – devono essere un elemento fondamentale della ripresa dalla crisi del coronavirus e della spinta dell’Unione verso una transizione digitale e verde equa”.
Sebastiano Sabato, senior researcher dell’Observatoire social européen, concorda su questa linea. “Il vertice sociale di Porto e la dichiarazione dei leader legano il Pilastro europeo dei diritti sociali alla transizione verde e digitale”, sostiene, riprendendo un concetto che aveva già condiviso con noi qualche mese fa. “Non solo. Dal momento che il Pilastro era stato adottato nel 2017 dalla Commissione Juncker, il summit è stato anche un modo per legittimare la dimensione sociale anche nel contesto attuale”, aggiunge il ricercatore.
Secondo Maurizio Ferrera, docente di Scienza Politica all’Università degli Studi di Milano, Porto è un momento chiave dell’integrazione europea. Per il professore, che per cinque anni si è dedicato al progetto Reconciling Economic and Social Europe (REScEU), “a livello politico, il summit suggella una svolta sociale dopo un decennio di risposte tardive alla crisi finanziaria e alla recessione economica”. Un’occasione per l’Unione di ripartire dalle preoccupazioni più concrete dei cittadini, come confermato anche da un recente sondaggio dell’Eurobarometro.
Obiettivi mancati
Per la verità, come ha scritto l’European Trade Union Institute (Etui), “non è la prima volta che l’UE ha mostrato un forte senso di impegno nel rafforzare i diritti sociali e del lavoro. Il primo Piano d’azione sociale è stato lanciato nel 1973”. Altri piani sono seguiti nel corso degli anni, fino a che nel 2000 è stata lanciata la strategia di Lisbona che, spiega ancora Ferrera, “mirava a completare il quadro dell’Unione economica e monetaria con un coordinamento aperto nei campi dell’occupazione e dell’inclusione sociale”.
Poi, però, è arrivata la crisi finanziaria del 2007-2008, che ha colpito in modo diverso gli Stati europei e in maniera particolarmente dura i cosiddetti PIGS: Portogallo, Italia, Grecia, Spagna e, successivamente, anche Irlanda. Il passo successivo è stata la crisi del debito sovrano europeo o della zona Euro, con i piani di salvataggio, i forti tagli alla spesa pubblica, le lunghissime trattative tra gli Stati UE e i decisivi interventi della Banca Centrale Europea. In quegli anni, prosegue Ferrera, “le politiche macroeconomiche hanno virato verso l’austerità, sotto la sorveglianza di un Patto di stabilità e crescita rafforzato mentre le politiche sociali e occupazionali sono diventate di fatto una variabile di aggiustamento, soprattutto negli Stati membri più deboli”.
Il risultato è che gli obiettivi della successiva strategia Europa 2020, lanciata nel 2010, non sono stati mai raggiunti: il tasso di occupazione nella fascia di età 20-64 anni si è fermato al 73% (anziché al 75) e il numero di persone a rischio di povertà ed esclusione sociale è passato da 73 a 69 milioni anziché ridursi di 20 come previsto. Tutto ciò a livello di Unione, senza contare le enormi disparità interne, a tutto svantaggio degli Stati più colpiti come l’Italia.
Da Göteborg a Porto
In questo quadro di crescenti disuguaglianze, nel 2014, diventa presidente della Commissione Jean Claude Juncker che, nel suo discorso di insediamento, auspica che l’UE conquisti anche la “tripla A del sociale”, accanto a quella economico-finanziaria. Tre anni dopo, nel novembre 2017, nel corso del vertice sociale di Göteborg, viene approvato il Pilastro europeo dei diritti sociali con i suoi 20 principi.
“Ho partecipato sia al summit di Göteborg sia a quello di Porto e in Svezia la sensazione era molto diversa da quella provata quest’anno”, ricorda Valeria Ronzitti, segretario generale di SGI Europe, che è un’associazione europea di rappresentanza delle imprese dei servizi di interesse generale ed è una delle tre parti sociali intersettoriali riconosciuta dalla Commissione UE. “Nel 2017, l’appetito degli Stati membri per i dossier sociali era molto basso. Oggi, invece, per gli stessi temi c’è molto più interesse. E il fatto che il vertice sia stato ospitato dal Portogallo è stato un segnale forte perché il Paese è stato capace di uscire dalla crisi del 2008 facendo investimenti in infrastrutture fisiche e sociali”.
Rispetto al passato, secondo Laura de Bonfils, Porto è stata importante anche per un’altra ragione. “Per la prima volta, i negoziati hanno visto la società civile coinvolta allo stesso livello delle parti sociali. È un unicum, che speriamo si ripeta presto”, dice de Bonfils, che è Policy & advocacy coordinator di Social Platform, una rete di reti di organizzazioni del Terzo Settore europeo. “Se vogliamo davvero un’UE sociale – aggiunge – è fondamentale che anche la società civile sia coinvolta”.
Il futuro del Pilastro
Per quanto complessivamente giudicato in maniera positiva da molti, il Piano d’azione sul Pilastro europeo dei diritti sociali desta anche diverse perplessità. Di merito e di metodo. ETUI, per esempio, sottolinea come “gli obiettivi quantitativi del piano d’azione appaiano piuttosto ambiziosi”. L’Institut Jacques Delors aggiunge che diversi stakeholder avrebbero preferito “più iniziative legislative – giuridicamente vincolanti per gli Stati – mentre la maggior parte delle azioni sono basate sul coordinamento, il sostegno e la guida alle politiche nazionali”.
“Le limitate competenze dell’UE in materia sociale e le difficoltà che solitamente incontra nell’adottare proposte legislative in questo settore hanno molto probabilmente smorzato lo slancio della Commissione e l’hanno portata a preferire la fattibilità all’ambizione”, conclude l’istituto. L’Unione Europea ha le competenze cui gli Stati membri hanno deciso di rinunciare per metterle in comune. In alcuni ambiti, come l’economia, queste competenze sono maggiori. In altri, come l’immigrazione o le stesse questioni sociali, sono nettamente inferiori e quindi la Commissione ha meno possibilità di incidere direttamente.
Korte, che della Commissione UE è funzionario, spiega la sua posizione: “il nostro ruolo è principalmente sostenere e completare le attività a livello nazionale, regionale e locale. Possiamo aiutare, per esempio, fissando il quadro per un’azione comune, coordinando le politiche e stabilendo un campo di gioco equo. L’UE, inoltre, fornisce importanti fondi per sostenere l’occupazione, l’istruzione, la formazione e le politiche sociali negli Stati membri”. L’iniziativa spetta quindi ai singoli Paesi, che devono trasferire gli obiettivi continentali a livello nazionale e agire di conseguenza. Per questo, secondo de Bonfils, “ora è fondamentale che ciascun Stato fissi i suoi target per i tre temi principali, ma anche per i sottotemi, anch’essi decisivi. Poi, altrettanto fondamentale sarà il ruolo del social scoreboard”.
Il social scoreboard è il Quadro di valutazione della situazione sociale che la Commissione Juncker ha creato e abbinato al Semestre europeo. Dal 2010, ogni anno la Commissione effettua un’analisi dettagliata del documento programmatico di bilancio, delle sfide macroeconomiche e delle necessità di riforme strutturali di ciascuno Stato membro, quindi propone ai governi dell’UE raccomandazioni specifiche per i successivi 12-18 mesi. Inizialmente, il semestre riguardava solo gli aspetti economici e finanziari, ma ora copre anche quelli sociali e quindi avrà un ruolo di verifica del raggiungimento degli obiettivi fissati a Porto per il 2030.
In conclusione, secondo Ferrera, “il Pilastro europeo dei diritti sociali sarà il motore centrale della nuova Europa sociale e funzionerà in parallelo con il motore dell’unione monetaria ed economica”. Il punto è quella sarà la relazione tra questi due propulsori e se uno dei due finirà per prevalere sull’altro. Con la pandemia, le rigide regole del Patto di stabilità e crescita sono state sospese, ma il dibattito tra chi le vuole reintrodurre tali e quali e chi le vuole cambiare è già cominciato. Sabato concorda: quanto deciso a Porto condizionerà fortemente la dimensione sociale dell’Unione, ma “il ruolo dell’UE nelle politiche sociali dipende, è dipeso e dipenderà da quello che viene deciso in materia di budget, deficit e debito”. “Dopo gli anni dell’austerità – sostiene il ricercatore – servirebbe uno sforzo egualmente forte, ma di segno opposto”.
Per capire meglio l’Unione Europea che verrà
Quindi cosa dobbiamo aspettarci? Nelle prossime settimana proveremo a capirlo meglio andando a vedere se e come gli obiettivi fissati a Porto potranno concretizzarsi nelle politiche comunitarie e, a cascata, in quelle nazionali. Lo faremo attraverso le voci di esperti, membri delle istituzioni e protagonisti della politica europea, che ci aiuteranno ad approfondire i macro-obiettivi su occupazione, formazione e povertà che sono al centro del Piano di azione. Segui #EuropaSociale per saperne di più.
#EuropaSociale
Questo approfondimento è parte del ciclo #EuropaSociale curato da Paolo Riva per Secondo Welfare. Il suo obiettivo è cercare di comprendere se e quanto la dichiarazione di Porto, che ha rimesso al centro del dibattito il Pilastro europeo dei diritti sociali, sarà importante per definire il futuro dell’Unione Europea.