Il sostegno alle disabilità in ambito economico, sociale e culturale costituisce uno dei presupposti per la realizzazione di uno Stato inclusivo e moderno. Per favorire adeguate riforme in questa direzione, lo scorso marzo l’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità ha presentato il primo Programma d’Azione Biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità, di cui si è discusso anche in occasione della IV Conferenza Nazionale sulle politiche della disabilità svoltasi a Bologna il 12 e 13 luglio.
La IV Conferenza Nazionale sulle politiche della disabilità
Si è svolta a Bologna il 12 e 13 luglio la IV Conferenza Nazionale sulle Politiche della disabilità, un’occasione di confronto fra le istituzioni e le organizzazioni rappresentative della società civile e del privato sociale che esplicano la loro attività nel campo dell’assistenza e della integrazione sociale delle persone con disabilità.
La Conferenza, prevista dall’art. 41-bis della Legge 104 del 1992, ha rappresentato un’opportunità per una riflessione sul lavoro svolto negli ultimi anni dall’Osservatorio Nazionale e soprattutto, un momento molto atteso ai fini della più ampia condivisione del primo Programma d’Azione Biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità. Nell’ambito dei compiti assegnati dalla Legge n° 18 del 2009 all’Osservatorio, lo scorso mese di marzo l’organismo ha, infatti, concluso il processo relativo alla predisposizione di un programma di azione biennale in attuazione della legislazione nazionale e internazionale. Si è trattato di un processo partecipato, realizzato grazie all’attività di sei gruppi di lavoro interni all’Osservatorio ed aperti anche al contributo di ulteriori esperti ed esponenti del mondo dell’associazionismo e che ha tratto frutto dall’intensa attività che ha portato, alla fine del 2012, alla redazione del primo Rapporto sull’ implementazione in Italia della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (Convention on the Rights of Persons with Disabilities, CRPD).
Aprire una discussione ampia e partecipata sulle misure previste per l’attuazione del Programma d’Azione Biennale è stato quindi l’obiettivo principale della Conferenza, il cui slogan, non a caso, era “partecip…azione”. “È il principio del nulla su di noi senza di noi che abbiamo voluto far nostro coinvolgendo nella costruzione dell’evento le federazioni rappresentative delle persone con disabilità”, ha precisato il Vice-ministro, Maria Cecilia Guerra, durante la conferenza stampa di presentazione dell’evento di Bologna.
Il piano biennale
“Il Programma d’azione rappresenta, senza dubbio, un primo fondamentale contributo alla definizione di una complessiva azione strategica da parte dell’Italia sul tema della disabilità – ha commentato il Vice-ministro Guerra – in accordo col nuovo quadro delle Nazioni Unite e pienamente coerente con la Strategia europea sulla disabilità 2010-2020, per promuovere la progressiva e piena inclusione in tutti gli ambiti della vita sociale, economica e culturale”. La ratifica italiana della Convenzione ha infatti aperto un nuovo scenario di riferimento giuridico, culturale e politico. Da questo momento le persone con disabilità non devono più chiedere il riconoscimento dei loro diritti, bensì sollecitare la loro applicazione e implementazione, sulla base del rispetto dei diritti umani, la cui garanzia è compito dello Stato. Si dovrebbe, così, attuare il passaggio da un modello medico/individuale, che vedeva nelle persone con disabilità “dei malati e dei minorati” a cui doveva essere garantita solo protezione sociale e cura, ad un modello biopsico-sociale della condizione di disabilità basato sul rispetto e sulla valorizzazione delle diversità umane e che attribuisce una crescente importanza al contesto in cui la persona vive come fattore in grado di incidere considerevolmente sulla sua autonomia e inclusione sociale.
Il Programma di azione prevede sette linee d’intervento (revisione del sistema di accesso, riconoscimento/certificazione della condizione di disabilità e modello di intervento del sistema socio-sanitario; lavoro e occupazione; politiche, servizi e modelli organizzativi per la vita indipendente e l’inclusione nella società; promozione e attuazione dei principi di accessibilità e mobilità; processi formativi ed inclusione scolastica; salute, diritto alla vita, abilitazione e riabilitazione; cooperazione internazionale) che coprono trasversalmente, in un’ottica di mainstreaming, gli aspetti più importanti per la realizzazione della piena inclusione nella vita sociale delle persone con disabilità.
Ognuna di esse è caratterizzata da un obiettivo di azione e uno specifico percorso atto a conseguirlo. L’illustrazione del programma d’azione biennale introduce infatti, a seconda della tipologia di azioni previste per ogni tematica presa in considerazione, l’opportunità di individuare indicatori di processo e risultato che consentano di definire la linea operativa e di concretizzare il contenuto di quanto espresso a livello programmatico. Per ogni intervento si individua quindi l’obiettivo prefigurato e il tipo di azione necessaria a conseguirlo.
Sulla base di quanto definito, gli indicatori di processo devono individuare i passi necessari e tutto ciò che nella pratica è congruo fare per costruire le operazioni utili al conseguimento del risultato previsto. Gli indicatori di risultato rappresentano la controparte empirica di quanto raggiunto attraverso l’intero processo e, quindi, di quanto auspicato a livello di programmazione teorica.
Al fine di supportare l’azione di monitoraggio del processo di inclusione sociale delle persone con disabilità e di migliorare la conoscenza generale sulle condizioni di vita e di salute di queste persone si auspica inoltre il potenziamento delle attività di integrazione delle basi dati disponibili nel nostro Paese. L’introduzione di definizioni e strumenti di valutazione della disabilità ispirati ai contenuti della Convenzione è molto importante in quanto, ad oggi, il sistema italiano di welfare è di fatto ancorato ad una visione medico-legale caratterizzata da una mancanza di indicazioni metodologiche e fortemente differenziata e frammentata a livello territoriale.
Tra le attività dell’Osservatorio, significativo è stato quindi lo spazio dedicato alla raccolta di dati e informazioni statistiche utili per la policy, grazie a una convenzione con l’Istat finalizzata a ricostruire, per la prima volta, il quadro delle condizioni di vita e dell’accesso ai servizi delle persone con disabilità, oltre che il suddetto sistema di indicatori per il monitoraggio dell’inclusione sociale, coerente con le indicazioni dell’ONU. Un’attività fondamentale per la definizione delle politiche i cui risultati saranno disponibili nel 2014.
Le sette linee di intervento
Le linee di intervento sono articolate nei sei punti illustrati di seguito.
1) Revisione del sistema di accesso, riconoscimento/certificazione della condizione di disabilità e modello di intervento del sistema socio-sanitario: ai fini di un’applicazione coerente e rigorosa dei principi della Convenzione ONU nel nostro ordinamento e nel nostro sistema di welfare non è sufficiente proporre una semplice sostituzione di termini – ad esempio da handicap a disabilità – ma si pone, piuttosto, la necessità di introdurre definizioni e modelli di valutazione e intervento sulla disabilità ispirati ai contenuti della Convenzione stessa. Questa considerazione suggerisce una riforma del welfare che sappia profondamente innovare e ricondurre ad unità la frammentazione della normativa esistente.
Per quanto riguarda le modalità di accertamento della condizione di disabilità adottate nel nostro Paese, infatti, sono evidenti gli aspetti di complessità e inefficienza indotti da un sistema normativo stratificato e complesso, caratterizzato dalla sovrapposizione di molteplici responsabilità istituzionali, luoghi e modi di valutazione, che rendono talvolta difficile il rapporto tra cittadino e sistema di welfare, oltre a produrre alti costi di gestione.
Il sistema italiano di welfare tende inoltre a non considerare che i condizionamenti e i fattori ambientali hanno una notevole influenza sulla salute e sul benessere della persona e pongono, di conseguenza, seri problemi di equità e diseguaglianze su base territoriale. La revisione dei criteri di accertamento della disabilità pone quindi la necessità di un cambio di prospettiva nel modo di organizzare le politiche e i criteri di allocazione delle risorse pubbliche.
2) Lavoro e occupazione: il lavoro rappresenta un elemento essenziale dell’inclusione sociale. La legislazione italiana con la legge 68/1999 ha introdotto la metodologia del collocamento mirato che inserisce la persona giusta al posto di lavoro appropriato, sostenendola con adeguati incentivi e facilitazioni.
Inizialmente il rapporto tra il numero delle iscrizioni alle liste di collocamento e il numero di avviamenti risultava piuttosto elevato. Tuttavia, l’aumento della disoccupazione generale causato dalla crisi economica, si sta riflettendo anche sulle persone con disabilità, il cui trend di assunzioni risulta pesantemente diminuito: da 28.306 avviamenti registrati nel 2008, agli inizi della crisi occupazionale, ai 22.023 del 2011 (-22,2%). Per le donne con disabilità permane inoltre la discriminazione di genere, essendo occupate solo 4 donne su 10. L’obiettivo è quindi di favorire il mainstreaming della disabilità all’interno delle politiche generali per il lavoro e nella raccolta dati, ad oggi di qualità e quantità carente e aggiornare la legislazione in vigore così da renderla più efficace nell’offrire occasioni di lavoro, in particolare attraverso un miglior funzionamento del collocamento mirato di cui alla legge 68/1999.
3) Politiche, servizi e modelli organizzativi per la vita indipendente e l’inclusione nella società: l’articolo 19 della Convenzione sancisce il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone. Gli Stati devono, quindi, assicurare che le persone con disabilità possano scegliere autonomamente dove e con chi vivere e non siano costrette a una particolare sistemazione. Inoltre devono garantire che abbiano accesso a una determinata serie di servizi a domicilio o residenziali e ad altri servizi sociali di sostegno, compresa l’assistenza personale necessaria per vivere nella società e impedire che i disabili siano isolati o vittime di segregazione. E’ quindi necessario contrastare le situazioni segreganti e le sistemazioni non rispondenti alle scelte o alla volontà delle persone e verificare che abbiano a disposizione gli stessi servizi e strutture sociali destinate a tutta la popolazione, eventualmente adattate ai loro bisogni.
4) Promozione e attuazione dei principi di accessibilità e mobilità: l’accessibilità è un “pre-requisito” per consentire alle persone con disabilità di godere pienamente di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa va quindi garantita con riferimento ad ogni ambito della vita di una persona, non soltanto all’ambiente fisico, urbano e architettonico, alle strutture ed edifici, ma altresì ai beni, ai servizi, all’informazione e alla comunicazione. L’accessibilità riguarda quindi: (a) edifici, viabilità, trasporti e altre strutture interne ed esterne, comprese scuole, alloggi, strutture sanitarie e luoghi di lavoro; strutture turistiche e sportive; (b) servizi di informazione, comunicazione e altri, compresi i servizi informatici e quelli di emergenza.
Se l’obiettivo di lungo periodo deve riguardare necessariamente la razionalizzazione, l’aggiornamento e l’adeguamento dell’impianto complessivo della normativa italiana alla dimensione culturale e operativa promossa dalla Convenzione ONU in materia di accessibilità, quello più vicino da perseguire riguarda l’adozione dei regolamenti attuativi secondo quanto già elaborato a livello tecnico (“Schema di Regolamento per la eliminazione delle barriere architettoniche”). Il Piano si propone, inoltre, di attuare pienamente i Regolamenti europei in materia di trasporto delle persone a mobilità ridotta (PMR), riservando particolare attenzione al tema della partecipazione delle persone con disabilità ai processi di implementazione, monitoraggio e valutazione; incidere profondamente nel sistema educativo formativo attraverso l’inserimento nei curricula scolastici ed universitari delle tematiche relative all’accessibilità e allo universal design; promuovere con maggior forza l’attuazione del diritto all’accesso alle tecnologie e ai media, anche attraverso un impegno specifico dell’Agenzia per l’Italia Digitale; promuovere la cultura del turismo accessibile.
5) Processi formativi ed inclusione scolastica: nel campo dell’istruzione scolastica esiste una legislazione articolata finalizzata ad assicurare l’inclusione nel sistema generale d’istruzione a tutti gli alunni e studenti con disabilità ed è importante vigilare affinché i principi trovino ovunque reale e convinta applicazione. Negli ultimi anni si è registrata una progressiva estensione delle forme di tutela: si tratta di un fenomeno considerevole, con significativi e concreti interventi innovativi sia dal punto di vista normativo che culturale, nonché nella reale pratica scolastica.
A questo scopo il Piano intende potenziare l’inclusione scolastica degli alunni con BES (Bisogni Educativi Speciali); attivare reti di supporto, formazione e consulenza, valorizzando le professionalità disponibili; prodigarsi al fine di offrire la garanzia, in termini organizzativi e/o normativi, della continuità del rapporto docente di sostegno/alunno. Questo tema non si esaurisce alla formazione primaria e secondaria, ma include anche l’istruzione per adulti e la formazione continua lungo tutto l’arco della vita. Il termine originale inglese “education” definito nell’art. 24 della Convenzione ONU ha infatti un significato più ampio della mera istruzione scolastica, comprendendo anche la formazione professionale e il life long learning, cioè un processo di apprendimento lungo l’intero arco di vita, non solo quindi per conseguire un titolo di studio ma anche per far fronte ai continui cambiamenti della società.
Nel campo dell’istruzione degli adulti infatti il MIUR dal 1997 assicura nei Centri Territoriali Permanenti la piena integrazione delle persone in situazione di handicap. Tuttavia tale diritto è demandato al livello regionale e locale, e non esistono standard definiti a livello nazionale o meccanismi di monitoraggio atti a verificare l’effettivo accesso degli adulti con disabilità a percorsi di educazione e formazione continua.
6) Salute, diritto alla vita, abilitazione e riabilitazione: questo “diritto” si articola in due sottocategorie. Innanzitutto si riferisce al sostegno alla fase prenatale e neonatale – finalizzato a supportare le madri che, in caso di anomalie o malformazioni del concepito, decidano di continuare la gravidanza ma di non tenerlo con sé – accogliendo quindi in contesti adeguati i bambini con disabilità abbandonati in culla o nella prima infanzia. Inoltre, si punta a fornire servizi di supporto ed orientamento per le madri che decidono invece di portare a termine una gravidanza a rischio, attraverso la promozione di servizi per il bambino che vanno, così, a tutelarne i diritti e bisogni sin dalla nascita.
L’altro versante è quello delle politiche sulla salute delle persone con disabilità. In questo ambito si cercherà di promuovere l’integrazione socio-sanitaria, ad esempio istituendo un Punto unico di Accesso ai Servizi che possa favorire il superamento delle criticità dovute alla frammentazione dei servizi, alla scarsa conoscenza dei percorsi socio-sanitari da parte dei cittadini, nonché della complessità dei percorsi amministrativi per l’erogazione dei presidi, delle cure e altri servizi di supporto.
Particolare rilievo assume la figura del Disability&Case Manager, che dovrà essere in grado di esaminare le esigenze e la situazione individuale e di relazionarsi direttamente con il cittadino, per strutturare con questo una risposta adeguata ai bisogni. Inoltre il Case Manager potrebbe fungere anche da facilitatore, da veicolo per un’informazione corretta sulla salute, nel momento in cui il cittadino si trovi di fronte a scelte di cura e presa in carico particolarmente complesse. Questa azione potrebbe eliminare alcune barriere rispetto all’accessibilità dell’informazione. Ulteriori vantaggi potrebbero essere identificati nella riduzione dei tempi di attesa per le prestazioni, in una tempestiva risposta nell’assistenza sanitaria e/o sociale, in un indirizzamento verso gli attori del SSN (sul territorio o in ospedale) che possano garantire una identificazione precoce delle patologie e l’attuazione immediata di un piano di trattamento e presa in carico individuale.
Tutto questo richiede un sistema di gestione dei servizi sanitari moderno, efficace ed efficiente, che supporti il lato clinico della gestione di una condizione di salute, ma che sappia anche creare momenti di gestione condivisa delle attività di presa in carico e soprattutto coordinate a livello di servizi di comunità. Le politiche per la non autosufficienza dovrebbero quindi sostenere e garantire un sistema di “long term care” alle persone con disabilità e necessità di sostegno intensivo paragonabile a quello dei principali paesi europei.
7) Cooperazione internazionale: nel novembre del 2010 la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo (DGCS) del Ministero degli Esteri ha approvato le “Linee Guida per l’introduzione della tematica della disabilità nell’ambito delle politiche e delle attività della cooperazione italiana” redatte sulla base degli standard internazionali e, in particolare, della “Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità”. Tali Linee Guida prevedono la redazione di un Piano di Azione per le persone con disabilità per la loro applicazione.
Nel 2011 è stato costituito un “Tavolo di lavoro per la redazione del Piano di Azione” MAE, in stretta sinergia con lo sviluppo delle attività previste nel presente programma, a cui partecipano rappresentanti della società civile della Rete Italiana Disabilità e Sviluppo. L’obiettivo è la formulazione di un Piano di azione per le persone con disabilità della Cooperazione Italiana DGCS/MAE. Tra le azioni proposte la promozione, la valorizzazione e lo scambio di conoscenze ed esperienze con le istituzioni italiane, con le agenzie di cooperazione che si occupano di aiuto allo sviluppo e con le Commissioni per i Diritti Umani presenti nei Paesi partner; la definizione di una strategia di intervento nei tavoli europei ed internazionali che includa la disabilità e promuova un sistema di monitoraggio delle azioni e dei progetti sulla base dell’esperienza acquisita.
Un Piano, in conclusione, che il ministro Giovannini ha definito “una montagna di 140 azioni, che io mi sento impreparato a scalare e della quale dovremo imparare a distinguere le cose importanti da quelle urgenti, altrimenti ne ricaveremmo solo un senso di frustrazione”. Ma anche un documento che per lo stesso Giovannini costituisce una “pietra miliare” e che è “intriso di concretezza”, tanto da “darlo per approvato” già a Bologna, nonostante debba ancora sottostare al passaggio della Conferenza Stato-Regioni per poi diventare, se non ci saranno ostacoli, un decreto del Presidente della Repubblica.
Riferimenti
Il comunicato stampa della conferenza
Il sito della conferenza
La convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità
Il Programma di Azione Biennale
Osservatorio nazionale sulle ersone con disabilità
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