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Secondo Welfare cura inchieste per Buone Notizie del Corriere della Sera in cui si approfondiscono i cambiamenti sociali in atto in Italia e le loro conseguenze sul sistema di welfare. Nel numero del 26 luglio 2022 ci siamo concentrati sul fenomeno della denatalità in Italia, di cui ci stiamo occupando da tempo con la serie Denatalitalia. Di seguito Ester Bonomi riflette sulle responsabilità della Politica e su come si possa invertire il trend negativo del nostro Paese. Qui, invece, Paolo Riva approfondisce la situazione italiana attraverso il contributo di diversi esperti.

Contesti (s)favorevoli

Scegliere o meno di avere figli è una decisione importante e personale, ma solo in parte è legata all’individuo: anche il contesto socio-economico condiziona molto la scelta di mettere al mondo un bambino. In questo senso sono numerosi gli studi che affermano che l’incertezza e la sfiducia verso il futuro derivanti dalla situazione politica e sociale (crisi economiche, guerre), ma anche da catastrofi naturali (come una pandemia), sono un deterrente per la natalità.

A fronte di un contesto incerto, la stabilità economica di una famiglia può comunque costituire la base per decidere se avere figli, ma oggi questa stabilità è spesso difficile da concretizzare. Soprattutto se all’interno di una coppia soltanto un membro lavora.

Proprio per questo una strada per affrontare la denatalità è quella di alzare i tassi di occupazione femminile: le donne dovrebbero lavorare se ne hanno la possibilità e, se diventate madri, riuscire a rientrare nel mercato del lavoro quanto prima. La correlazione tra occupazione femminile e natalità è nota da anni: nei Paesi OCSE in cui le donne lavorano di più il tasso di fecondità, cioè il numero medio di figli per donna, è più alto. Ma come si può favorire l’occupazione femminile? Un ruolo molto importante è giocato dalle politiche di conciliazione vita-lavoro, che però devono rivolgersi alla famiglia nel suo complesso, a madri e padri in egual misura.

Risorse, flessibilità e servizi: le soluzioni possibili

Queste politiche agiscono in tre modi. Il primo è l’ampliamento della disponibilità economica dei genitori, con trasferimenti o sgravi fiscali legati alla presenza dei figli. In questa direzione, la recente riforma sull’Assegno Unico Universale ha riordinato per la prima volta un sistema molto complesso e farraginoso. Da solo, però, non basta, perché non garantisce di per sé un maggiore equilibrio tra lavoro e famiglia.

Il secondo strumento è legato alla gestione del tempo, attraverso congedi od obblighi contrattuali relativi alla flessibilità lavorativa. Sotto questo profilo, nel nostro Paese finora è stato il privato ad agire molto più del pubblico: anche a fronte della recente introduzione del congedo di paternità obbligatorio di 10 giorni, molte aziende stanno proponendo come benefit congedi ben più lunghi di quelli previsti dalla normativa.

Il terzo e ultimo strumento di conciliazione è la presenza di servizi per la primissima infanzia. L’Italia ha sempre vissuto una grossa carenza di spazi educativi dedicati ai bambini sotto i tre anni rispetto ad altri Paesi europei e, nel corso degli anni, la domanda per questi servizi è aumentata più dell’offerta. Il pubblico fatica ad assumersi la responsabilità di fornire servizi di qualità per i più piccoli: lo si è visto coi recenti bandi del PNRR andati a vuoto. Per questo motivo, ancora una volta, sono privati e Terzo Settore a compensare queste mancanze attraverso nidi aziendali, spazi educativi e ricreativi.

Investire nel futuro

Intervenire in maniera efficace, cambiando il paradigma familistico che è sempre stato alla base delle politiche della famiglia italiane, implica un investimento economico sostanzioso. Bisognerà capire quanto si riuscirà a spendere complessivamente per il Family Act, in cui le politiche di conciliazione dovrebbero avere un ruolo centrale. Anche da questo dipenderà il futuro del Paese.

 

Questo articolo è stato pubblicato su Buone Notizie del 26 luglio 2022 ed è qui riprodotto previo consenso dell’autrice.