L’European Institute for Gender Equality (EIGE) è l’organismo autonomo dell’Unione Europea che vuole contribuire a rafforzare e promuovere la parità di genere. A questo scopo ogni anno pubblica un report apposito sul tema che ricorre al Gender Equality Index (GEI).

Qusto indice sulla parità di genere che attribuisce a ogni Paese europeo un punteggio complessivo da 1 a 100 basandosi su sette macro-dimensioni: potere, partecipazione al mercato del lavoro, salute, tempo, violenza, educazione e ricchezza. Un punteggio pari a 100 rappresenterebbe il raggiungimento della piena parità tra donne e uomini.

Nel Report pubblicato quest’anno, i Paesi UE mostrano un punteggio superiore ai 70 punti per la prima volta dalla nascita dell’indice, con una crescita di 1,6 punti rispetto al 2022. L’Italia, nonostante la crescita, si posiziona al di sotto sia della media europea che di tutti i Paesi europei appartenenti ai vertici G7 e G20. Vediamo i principali dati.

Il contesto

In Europa, le disparità di genere hanno registrato un aumento nei contesti economici, nel tempo dedicato alle attività sociali, nello stato di salute e nell’accesso ai servizi sanitari. Al contempo, si osserva un certo avanzamento nella parità di genere per quanto riguarda il tempo dedicato alle attività di cura, la segregazione e la qualità del lavoro, nonché nella partecipazione alle decisioni nel settore economico e nel conseguimento e coinvolgimento nell’istruzione.

Immagine 1. Modelli di convergenza nell’indice sull’uguaglianza di genere, da parte degli Stati membri dell’UE, 2010-2021. Fonte: Gender Equality Index 2023.

Nonostante un andamento complessivamente positivo per l’Unione Europea, si evidenzia una mancanza di uniformità nei risultati. Alcuni paesi, come Finlandia e Francia, hanno sperimentato una stabilizzazione o addirittura un calo nei loro punteggi, dimostrando che i progressi finora raggiunti non possono essere considerati automatici né definitivi. Al contrario, invece, in nazioni come Italia, Portogallo, Lussemburgo e Malta, si sono registrati miglioramenti significativi nell’arco degli ultimi 10 anni, sebbene i punteggi rimangano al di sotto della media europea.

Economia e lavoro

Tonando ai dati complessivi, per quanto riguarda l’ambito del denaro viene evidenziato uno spaccato della situazione finanziaria e del rischio di povertà cui uomini e donne sono esposti in virtù delle disuguaglianze retributive. Con un punteggio di 82,6 si conferma un ambito in cui si è raggiunto, in media, un elevato grado di parità di genere. Nonostante ciò, le ripercussioni legate agli effetti della pandemia da COVID-19 si palesano attraverso una diminuzione di 0,4 punti nella situazione economica di uomini e donne, sollevando preoccupazioni concrete circa i possibili impatti a lungo termine sulle disparità di genere nei redditi.

Il settore lavorativo, invece, ha registrato un lieve miglioramento e occupa la terza posizione con un punteggio GEI di 73,8. Tuttavia, le disuguaglianze di genere nel mercato del lavoro persistono e la segregazione femminile (orizzontale e verticale) ne rimane una caratteristica distintiva. Le donne, infatti, continuano a occupare posizioni in settori che si contraddistinguono per livelli retributivi più bassi, prospettive di carriera ridotte e limitate opportunità di formazione professionale.

Società e lavoro di cura

Più degli uomini (25%), sono le donne (34%) che partecipano quotidianamente alle attività di assistenza non remunerate ad altre persone, sia in generale che prendendo in esame diversi gruppi di appartenenza.

Secondo il report di EIGE, le disparità più pronunciate emergono nello svolgimento di attività culinarie e faccende domestiche, dove il 63% delle donne afferma di occuparsene ogni giorno contro il 36% degli uomini. Non sorprende che la percentuale più elevata di persone coinvolte in lavoro di cura e domestico è riscontrabile nel gruppo di età compreso tra i 25 e i 49 anni, visto che questo rappresenta il segmento della popolazione più incline ad avere uno/a o più figli/e.

La partecipazione all’istruzione, formale o meno, subisce una netta diminuzione all’aumentare dell’età. Nella fascia 15-24 anni, sia le donne (74%) che gli uomini (69%) sono attivamente coinvolti in percorsi educativi; tali cifre, tuttavia, si riducono rispettivamente al 15% e al 13% per la fascia 25-49 anni e diminuiscono ulteriormente per le fasce d’età più anziane. Inoltre, le donne e gli uomini stranieri (rispettivamente 15% e 14%) presentano una minore partecipazione all’istruzione continua e alla formazione rispetto alle loro controparti nate nel paese (rispettivamente 19% e 18%).

La transizione ecologica

Il progresso verso la transizione verde rappresenta il motore dell’innovazione e del cambiamento strutturale, un’evoluzione che contribuirà alla creazione di un’economia e una società più sostenibili dal punto di vista ambientale. Tuttavia, costi e benefici, oneri e vantaggi di qeusto adeguamento rischiano di essere distribuiti in modo disomogeneo (ne abbiamo parlato qui).

Pensiamo, ad esempio, alle previsioni che riguardano le nuove opportunità occupazionali connesse alla transizione ecologica. Si stima, infatti, che la maggior parte di esse si presenteranno nei settori attualmente a predominanza maschile poiché l’innovazione verso un’economia a basse emissioni di carbonio richiede competenze tecniche avanzate che solo le materie STEM (scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche) possono offrire. Nonostante i progressi nel dominio della conoscenza, tuttavia, le donne sono ancora sottorappresentate nelle discipline STEM e ciò riduce esponenzialmente la loro probabilità di sfruttare le emergenti opportunità nel mercato del lavoro legate alla transizione verde.

Per evitare di accentuare le disparità tra uomini e donne, è allora fondamentale che la transizione ecologica faccia propria e promuova una prospettiva sensibile al genere. Solo così potrà veramente aspirare ad essere equa e socialmente sostenibile.

 

Foto di copertina: Alissa de leva, Unsplash