Rassegna Stampa
Rapporti / Primo rapporto 2W

La crisi e la sorpresa del Welfare (non di Stato)

Riproponiamo il commento di Dario Di Vico, pubblicato sul Corriere della Sera del 25 novembre, sul Primo Rapporto sul secondo welfare in Italia

In attesa delle riforme dall’alto conviene guardare a quelle che viaggiano dal basso. L’80% delle aziende italiane sopra i 500 addetti ha avviato esperimenti di welfare aziendale e ogni 150 euro investiti hanno portato un guadagno stimato in 300 euro tra risparmi effettivi e aumenti di produttività. In campo assicurativo ormai esistono in Italia 500 fondi integrativi negoziali e volontari e circa 2 mila mutue sanitarie che hanno erogato servizi a più di 5 milioni di persone. Solo le 15 fondazioni di comunità lombarde hanno superato i 22,5 milioni di euro di erogazioni che sono servite a finanziare oltre 2.300 progetti di utilità sociale. Lo scorso anno le fondazioni di origine bancaria hanno deliberato 22 mila interventi in favore dei propri territori per una cifra complessiva di 965 milioni.

Sono queste alcune cifre che servono a dimensionare il secondo welfare, il movimento – somma di iniziative associative e filantropiche, sperimentazioni di quasi mercato, intraprendenza dei corpi intermedi/territori – che ha svolto un ruolo importante nell’attutire le conseguenze della crisi. A fotografare le realizzazioni del secondo welfare arriva in questi giorni un Rapporto, curato da Franca Maino e Maurizio Ferrera, frutto di un lavoro che il Centro Einaudi di Torino ha portato avanti grazie a fondazione Cariplo, all’apporto di un gruppo di partner (aziende private, l’Ania) e in collaborazione con il Corriere della Sera.

Il secondo welfare, sostengono, ha già raggiunto una rilevanza economica, finanziaria e occupazionale di tutto rispetto e incide sulle condizioni di vita di milioni di persone. Le sperimentazioni avviate hanno dato vita a compiute realizzazioni che hanno dimostrato di saper far fronte in modo efficiente a bisogni non adeguatamente coperti dal welfare statale. Tutto si è concretizzato grazie a soluzioni innovative sul piano degli strumenti e dell’organizzazione e hanno riguardato anche Comuni e Regioni che hanno razionalizzato i propri modelli di spesa. Certo c’è ancora tantissimo da fare e non solo sul piano quantitativo: le disparità territoriali Nord-Sud sono evidenti, c’è la difficoltà di fare sistema, i meccanismi di monitoraggio e valutazione sono ancora troppo deboli e delle volte c’è il rischio di “un incastro distorto e opportunistico tra primo e secondo welfare” ovvero che lo sviluppo di iniziative dal basso divenga l’alibi per non ricalibrare lo Stato-previdenza, per non far rispettare i livelli minimi di servizio su tutto il territorio nazionale.

Come è noto i riformisti veri sono impietosi con se stessi e anche il Rapporto lo è, sottolineando limiti strutturali e soggettivi di queste trasformazioni. Guardando avanti e non solo in retrospettiva il lavoro del Centro Einaudi si focalizza poi sul contributo che può dare nel breve il settore assicurativo. L’83% della spesa sanitaria privata è sostenuto direttamente dalle famiglie e solo il 4% è intermediata dalle compagnie di assicurazione. Esiste, dunque, uno spazio molto ampio per l’innovazione sociale, la messa a punto di nuove formule e prodotti, una modernizzazione della tutela degli anziani che darebbe forti risparmi alle famiglie e un maggior numero di servizi e prestazioni a chi ne ha bisogno. Di segutio alcuni delle esperienze affrontate all’interno del Rapporto.


Il caso del Colorificio San Marco

Quando si parla di welfare aziendale il rimando a Luxottica è immediato ma anche piccole realtà come il Colorificio San Marco (due fabbriche e 141 dipendenti) si sono mosse. Da ottobre 2013 l’azienda offre ai propri collaboratori un sistema di servizi personalizzabili e accessibili tramite un portale online. Il contratto integrativo di secondo livello è il risultato di un confronto con le Rsu aziendali che ha portato alla disciplina del premio di risultato e all’istituzione del sistema welfare. I servizi si suddividono in cinque aree: istruzione, cultura e ricreazione, servizi sociali, salute e previdenza, shopping e convenzioni commerciali.

La prima area include il rimborso delle spese scolastiche per i familiari dall’asilo nido al master includendo corsi di lingue, campus estivi e il rimborso dei libri di testo. Per cultura e ricreazione si tratta di abbonamenti a palestre e corsi, ma anche cinema, teatro e viaggi. C’è poi l’opportunità di richiedere servizi socio-assistenziali per familiari a carico. In ambito sanitario i dipendenti possono disporre il pagamento della parte a loro carico del contributo al fondo sanitario di categoria oppure richiedere l’iscrizione al fondo per l’intero nucleo familiare. Per la previdenza i dipendenti potranno scegliere di destinare un contributo aggiuntivo al fondo pensioni Fonchim nei limiti della deducibilità fiscale. Infine i servizi commerciali comprendono buoni benzina, buoni spesa e convenzioni.


La Mutua Liguria

Per sperimentare nel sistema sanitario nuovi modelli di cooperazione tra pubblico e privato, con l’obiettivo di integrare le rispettive offerte, a marzo 2013 in Liguria è stato creato un Fondo sanitario mutualistico territoriale e integrativo, “Mutua Liguria”. E’ il secondo esempio in Italia dopo il PensPlan del Trentino Alto Adige e consentirà ai cittadini (in primo luogo anziani) di usufruire di prestazioni sanitarie integrative. La novità sta nel fatto che la mutua è aperta a tutti e non essendo orientata al profitto ha l’obiettivo di dotare i cittadini di una capacità negoziale collettiva nel rapporto con l’offerta dei servizi e delle prestazioni.

La partecipazione della Regione Liguria – resa possibile da una legge quadro regionale del Terzo settore – rappresenta un altro inedito e un traguardo importante: in virtù di questo riconoscimento, infatti, la mutua si atterrà alle linee guida e ai protocolli di qualità e sarà sottoposta al controllo in merito alle attività integrative. L’erogazione delle prestazioni sarà affidata a circa 130 strutture convenzionate che comprendono a loro volta 48 poliambulatori, 39 studi odontoiatrici, 12 case di riposo. Ci si avvarrà in particolare degli ambulatori Genova Salute nati per iniziative delle cooperative sociali che hanno costruito una rete sanitaria di qualità. Per i servizi alla persona e alla famiglia il soggetto principale è rappresentato dalla Fondazione Easy Care.


I social bond Ubi Comunità

Sono nati nel 2012 e si tratta di titoli obbligazionari che oltre a garantire un ritorno sugli investimenti effettuati offrono ai sottoscrittori la possibilità di sostenere iniziative caratterizzate da un alto valore sociale. Il primo tipo di social bond prevede la devoluzione ad associazioni, fondazioni, scuole, università e ospedali di una parte dell’importo collocato, normalmente lo 0,5%. I soggetti beneficiari devono essere realtà conosciute e radicate nei territori oltre a possedere la stabilità di cash flow e un adeguato merito creditizio. Il secondo modello dei social bond promossi da Ubi Banca prevede che tutto l’importo raccolto attraverso il prestito obbligazionario – e non solo una percentuale – sia usato per finanziare iniziative di imprenditoria sociale, preferibilmente collegate a realtà aggreganti e operanti in specifiche aree o settori.

Grazie alla vendita dei social bond è possibile costituire plafond destinati all’erogazione di finanziamenti a medio-lungo termine a condizioni competitive per consorzi, imprese e cooperative sociali. Fino all’agosto 2013 Ubi ha messo 30 social bond per un valore totale di 317 milioni di euro, che hanno permesso la devoluzione di contributi per 1,6 milioni a cui vanno aggiunti i 17,5 destinati al finanziamento di attività e progetti delle cooperative sociali del consorzio Gino Mattarelli. Diversi altri soggetti, ad esempio Banca Prossima, hanno lanciato iniziative analoghe.


L’housing sociale a Torino

Sharing Hotel Residence è un’innovativa struttura di housing sociale realizzata a Torino nel 2011 per rispondere alle esigenze di ospitalità temporanea in città, a costi calmierati, con un’attenzione particolare alla sostenibilità ambientale e all’efficienza energetica. Il progetto è stato realizzato grazie a una partnership tra diversi attori (Fondazione Crt, Sharing Srl, Oltre Venture, ecc.). Grazie a un’offerta commerciale altamente flessibileSharing riesce a dare risposta alle esigenze abitative più differenziate, che spesso non trovano risposta nel mercato immobiliare privato a causa della temporaneità della permanenza (ad esempio lavoratori e studenti fuori sede) o di problemi economici (25 appartamenti sono riservati al Comune che li destina a cittadini in emergenza abitativa). 

Una delle principali finalità del progetto è quella di creare una comunità tra gli inquilini, in modo che possano sostenersi vicendevolmente attraverso la condivisione di spazi comuni e di numerosi servizi (doposcuola, sportello lavoro, ecc.) spesso aperti anche agli abitanti del quartiere. Sharing è anche parte del progetto di riqualificazione urbana che coinvolge l’intero quartiere, Pietra Alta, una zona popolare alla periferia nord di Torino. Lo stesso edificio è un esempio di recupero edilizio: una ex foresteria delle Poste inutilizzata da 20 anni che difficilmente sarebbe potuta essere convertita a nuovo uso o venduta sul mercato immobiliare.

Questo articolo è stato pubblicato sul Corriere della Sera del 25 novembre (p.13) e su La Nuvola del Lavoro

 

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