Nel quadro della pandemia, la crescita della povertà materiale si sta accompagnando a una deprivazione educativa e culturale senza precedenti che avrà effetti di lungo periodo sul nostro Paese.
La chiusura totale o parziale delle scuole e dei servizi educativi per la prima infanzia, ma anche di molte attività sportive e ricreative (come palestre, cinema, teatri e biblioteche), sta determinando un grave aumento della povertà educativa. Di fatto le misure di contenimento del virus limitano il diritto di bambini e ragazzi a un’istruzione e li privano dell’opportunità di sviluppare pienamente competenze di cui avranno bisogno da adulti.
In questo senso l’attuale crisi rischia di fungere da detonatore per la crescita della dispersione scolastica e del numero dei cosiddetti NEET: i giovani che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi formativi. In un Paese che già registrava tassi di dispersione superiori alla media europea (nel 2019 il 13,5% contro il 10,3%) assisteremo probabilmente a un ulteriore aumento; stessa cosa per l’esercito di 2 milioni 189 mila NEET, pari al 22,2% dei giovani, che ci pone all’ultimo posto in Europa. Dove quasi certamente resteremo.
In un quadro così complesso, tre sono le strategie che andrebbero adottate con decisione. La prima è considerare la scuola e i servizi educativi per la prima infanzia come “servizi essenziali” e garantirne quindi il funzionamento, in sicurezza, anche nelle fasi di maggiore recrudescenza del virus. Si tratta dell’unica strada percorribile per ridurre i costi di lungo periodo dell’attuale crisi e non penalizzare ulteriormente i più giovani. La seconda e la terza strategia mirano invece a contrastare la povertà materiale di bambini e ragazzi. Povertà materiale e povertà educativa tendono a rinforzarsi reciprocamente: i bambini che appartengono a famiglie svantaggiate spesso conseguono peggiori risultati a scuola e hanno meno opportunità di partecipare ad attività culturali e ricreative.
Nel breve periodo è allora necessario mettere in campo sostegni economici utili a garantire una vita dignitosa a tutti i minori che appartengono a famiglie indigenti. In primis agevolando l’accesso dei nuclei con minori al Reddito di Cittadinanza, che oggi fatica a intercettare proprio questa fascia della popolazione. In una prospettiva di più lungo periodo, poiché i bambini e i ragazzi che appartengono a nuclei in cui entrambi i genitori lavorano vedono significativamente ridursi il rischio di povertà, è invece necessario rafforzare le politiche di conciliazione famiglia-lavoro così da promuovere l’occupazione femminile peraltro fortemente penalizzata dalla pandemia. L’imperativo è fare presto.
Questo articolo è stato pubblicato su Corriere Buone Notizie del 9 febbraio 2021 con il titolo “Dopo il virus, emergenza bambini” ed è qui riprodotto previo consenso dell’autrice.