Come da promesse elettorali, il Reddito di Cittadinanza è stato abolito.
La povertà, invece, no. Anzi, rimane ampia e strutturata.
E, proprio per questo, in vista delle discussioni sulla prossima Legge di Bilancio, l’Alleanza contro la povertà ha lanciato oggi al Senato otto proposte concrete, di cui vi avevamo già dato anticipazione qualche settimana fa, per superare le criticità della legge 85/2023.
Le misure che sono andare a prendere il posto del Reddito di Cittadinanza mostrano diversi limite e, si legge nel position paper che presenta in dettaglio le proposte, è necessario tornare “a una misura universale, che sia rivolta in favore di tutti quei nuclei familiari che si trovano in una difficile condizione economica, indipendentemente dall’età dei loro componenti”.
“Riuscire a suddividere i poveri per categorie è improbabile. Eppure la legge 85 lo fa”, commenta il portavoce dell’Alleanza Antonio Russo, parlando con Secondo Welfare a margine della presentazione. “Quel di cui abbiamo bisogno, invece – prosegue – è una misura universale, che a mio avviso ha forti riferimenti nella nostra Costituzione, che è presente in quasi tutti i Paesi europei in qualche forma di reddito minimo e che anche la stessa Unione Europea ci chiede di avere”.
La distinzione attuate dalle nuove misure
Tra maggio e luglio, il Governo Meloni ha mantenuto la promessa elettorale di abolire il Reddito di cittadinanza, approvato per volere del Movimento 5 Stelle durante il primo esecutivo Conte, nel 2018. Il cosiddetto “Decreto lavoro” (Dl 48/2023) è infatti stato convertito nella legge 85/2023, che ha sostituito il Reddito di Cittadinanza con due nuove misure.
La prima è l’Assegno di inclusione (AdI) che, spiega il paper dell’Alleanza contro la povertà “è uno strumento di contrasto alla povertà e di sostegno all’inclusione sociale rivolto ad alcune categorie di famiglie. La seconda, invece, è il Supporto per la formazione e il lavoro che, continua il documento, “è un provvedimento diretto a chi versa in condizione di povertà nella fascia di età 19-59 anni, teso a favorire l’inserimento o il ritorno al lavoro attraverso percorsi di formazione e orientamento”.
Questa distinzione sulla base dell’età, secondo diversi esperti, è un problema. Anche perché esclude dalla nuova misura un numero importante delle famiglie che beneficiavano del Reddito di cittadinanza: il 42% secondo l’Ufficio Parlamentare di Bilancio e il 50% per le stime dell’Alleanza contro la povertà.
Il nuovo Assegno d’Inclusione (AdI), sottolinea ancora il position paper dell’Alleanza, “parte dal presupposto che le risorse finora destinate al Reddito di Cittadinanza fossero sovradimensionate e che la loro destinazione nei confronti di individui considerati per la loro età occupabili non fosse giusta, ma anzi determinasse un disincentivo all’offerta sul mercato del lavoro” e opera “sulla base dell’ipotesi che non occorra una misura di reddito minimo universale ancorché selettiva, bensì sia sufficiente un sostegno reddituale solo per le famiglie con componenti in situazione di fragilità”.
Per Russo, il rischio è che tutto ciò non sia affatto sufficiente: “la povertà è strutturale: abbiamo 6 milioni di persone in povertà assoluta e qualche milione in bilico tra povertà assoluta e povertà relativa”.
Le otto proposte per migliorare la legge
“Le associazioni che aderiscono all’Alleanza e che lavorano sul territorio – ci spiega ancora il portavoce – hanno la sensazione che chi vive in una situazione di povertà relativa potrebbe scendere verso il basso, verso quella assoluta”. Per evitare anche questo fenomeno nascono le otto proposte contenute nel documento.
- Reintrodurre la soglia reddituale di accesso differenziata per coloro che sono in locazione a 9.360 euro – Questa modifica comporterebbe un costo annuale aggiuntivo assai contenuto, pari a 150 milioni, a fronte di un aumento della platea degli aventi diritto non trascurabile (145 mila nuclei).
- Allentare il vincolo di residenza per gli stranieri da 5 a 2 anni – Questa riduzione, da una prima simulazione, potrebbe portare a un incremento di 15.000 famiglie beneficiarie, a fronte di un costo piuttosto contenuto pari a meno di 120 milioni annui.
- Rivedere la scala di equivalenza – La scala di equivalenza dell’AdI risulta a nostro parere inadeguata poiché esclude alcuni componenti dei nuclei familiari beneficiari. L’Alleanza propone che ogni maggiorenne senza carichi di cura ora escluso abbia invece un peso pari allo 0,25 e che contestualmente il te4o massimo della scala di equivalenza possa eventualmente essere innalzato. Si avrebbe così un aumento della platea dei percettori di 64 mila famiglie e un aumento dell’importo medio della prestazione di 300 euro annui. Il costo annuo dell’intera operazione ammonterebbe a circa 620 milioni.
- Indicizzare soglia reddituale e sostegno all’affitto – Per evitare che il valore dell’Assegno d’inclusione venga in futuro progressivamente eroso dalla crescita dei prezzi, l’Alleanza propone che almeno le due componenti dell’importo del beneficio, la soglia reddituale di riferimento ed il sostegno per l’affitto, vengano annualmente indicizzate sulla base dell’inflazione registrata a fine anno a par&re dal gennaio 2025. Stimiamo un costo per questa operazione pari a 190 milioni nel primo anno ai quali si aggiungerebbero 140 milioni in ogni anno successivo.
- Ridefinire l’offerta congrua – L’AdI basa il concetto di occupabilità esclusivamente su un criterio di età anagrafica. Particolarmente restrittiva è la modifica dell’offerta congrua. L’Alleanza propone di vincolare la condizione di “occupabilità” all’analisi multidisciplinare dei bisogni e delle competenze, da effettuare ex-ante. E che l’offerta congrua sia definita analogamente a quella prevista per percettori di Naspi.
- Migliorare la cumulabilità reddito-lavoro – Oltre a rispondere al principale obiettivo di contrasto alla povertà, la misura dovrebbe risultare per i componenti del nucleo beneficiario che possono essere aEva& nel mondo del lavoro come un vero e proprio in-work benefit. A tale scopo proponiamo che il reddito da lavoro, fino ad una soglia reddituale stabilita e aggiornata periodicamente, sia computato in misura rido4a (al 60%) nel calcolo dell’ammontare della prestazione, per evitare una “trappola di povertà” e permettere un’integrazione graduale del reddito minimo attraverso il lavoro.
- Più risorse umane e finanziarie ai Comuni – I Comuni, attraverso gli ambiti sociali, devono poter svolgere un vero e proprio ruolo di regia e a tal fine vanno rafforzati in termini di personale e risorse. Per questo è necessario prevedere sia un maggiore coordinamento tra servizi e tra amministrazioni attraverso dei protocolli operativi, sia un investimento straordinario di risorse finanziarie, strumentali e, soprattutto, umane, anche in deroga ai vincoli assunzionali.
- Garantire la volontarietà della partecipazione ai PUC – La partecipazione dei beneficiari dell’Assegno di Inclusione ai PUC (progetti utili alla collettività a titolarità dei Comuni o di altre Amministrazioni Pubbliche) deve essere volontaria, secondo una logica basata sulla conquista della consapevolezza di sé e capacitazione dei soggetti più fragili. Occorre inoltre che i Comuni, anche con il supporto degli ETS, siano messi nelle condizioni di ampliare quanto possibile la offerta di PUC, così da facilitare l’adesione a tali percorsi.
Un problema di soldi?
Per quanto il position paper dell’Alleanza contro la povertà stimi con precisione i costi delle proposte avanzate e, nel complesso, non si tratti di cifre astronomiche, uno degli ostacoli per realizzarle potrebbe essere proprio la mancanza di fondi a disposizione della Legge di Bilancio, che per il Governo si preannuncia complessa. Le risorse si preannunciano limitate, mentre i fronti critici -soprattutto in tema di welfare – appaiono numerosi.
Russo spiega che “per noi non è solo un problema di soldi, ma è chiaro che può diventarlo. La povertà è una questione multidimensionale. Non la si affronta solo dal punto di vista dell’assenza di lavoro”.
A suo giudizio, quindi, il problema non è solo che il Governo destinerà meno risorse per l’Assegno di Inclusione rispetto a quelle che sono state spese per il Reddito di cittadinanza, ma anche che non sono previsti incrementi di fondi in altri ambiti che contribuiscono alla lotta contro la povertà, come per esempio i servizi sociali. Dove ce ne sarebbe quanto mai bisogno.
Proprio per questo, l’Alleanza in apertura del suo documento fa notare come, con la sospensione del Reddito di cittadinanza per 160.000 famiglie circa avvenuta a partire dal primo agosto scorso, si avvii “una fase nuova, nella quale famiglie e persone che vivono in una condizione di povertà assoluta e fragilità sociale non avranno altri riferimenti, se non i Centri per l’impiego, i servizi sociali dei Comuni e le organizzazioni sociali e di volontariato”.