Ad un anno dall’inizio della pandemia, la fio.PSD – Federazione Italiana degli Organismi per le Persone Senza Dimora – ha incontrato i suoi soci per fare il punto su quanto sta accadendo nei servizi rivolti alle persone senza dimora, quali sono stati i cambiamenti più importanti e gli apprendimenti per il futuro.

L’emergenza socio-sanitaria che stiamo vivendo ha messo a dura prova la capacità di risposta dei servizi di accoglienza, a cui si è aggiunto l’arrivo dell’inverno e dell’ondata di gelo che ha causato diverse vittime tra i senza dimora. Dopo una prima fase di spiazzamento, le organizzazioni hanno cominciato a mettere in campo tutte le risorse a loro disposizione, con uno sforzo organizzativo e un pensiero strategico che ha portato anche a mettere in pratica soluzioni innovative. Emerge come il settore dei servizi alla homelessness non abbia conosciuto sosta, sia stato capace di ripensare se stesso e le proprie attività in risposta alle misure emergenziali imposte a livello nazionale e in funzione del contenimento della pandemia.

Dall’indagine realizzata da IREF Acli e fio.PSD, in collaborazione con Caritas Italiana, seguita da un follow up sulle risposte all’emergenza freddo, sugli impatti della pandemia sui servizi per le persone senza dimora, è emerso come i cambiamenti in atto nell’accoglienza vadano verso tre direzioni che diventano sfide organizzative: accoglienza diffusa; servizi capacitanti; coordinamento pubblico-privato.

Accoglienza diffusa 

Allo scoppio della pandemia, la prima esigenza dei servizi è stata quella di mettere in sicurezza gli ospiti, gli operatori e le strutture stesse, tentando di accogliere più persone possibile. Piuttosto che grandi spazi in cui ospitare molte persone contemporaneamente, soluzione non più sostenibile vista la necessità di garantire il distanziamento sociale tra le persone, in diverse città sono state adottate nuove soluzioni e organizzate micro-accoglienze diffuse sul territorio, mettendo a disposizione piccoli appartamenti, moduli abitativi mobili in cui accogliere persone con esigenze particolari, ad esempio chi aveva animali al seguito, ex uffici adibiti a stanze per isolamento preventivo, camere in bed and breakfast. Housing First si conferma il miglior approccio di contrasto alla homelessness anche durante la pandemia grazie alla sicurezza fisica e all’accompagnamento costante degli operatori.

Questa nuova modalità di accoglienza ha avuto il merito di fornire soluzioni che vanno incontro alle preferenze delle persone accolte. I responsabili e gli operatori intervistati hanno infatti raccontato innanzitutto del rammarico “delle persone rimaste fuori” (il triste in-out dei servizi resosi necessario per tutelare le persone accolte) e dei continui tentativi di offrire soluzioni alternative che potessero incontrare maggiormente i desiderata di persone particolarmente fragili o che fanno fatica ad andare in dormitorio.


Servizi capacitanti
 

Durante i mesi di lockdown, le strutture di accoglienza hanno rimodulato i propri orari di apertura, trasformandosi in H24 e sospendendo la turnazione delle persone accolte. Questo cambiamento, apparentemente solo organizzativo, ha avuto dei risvolti inattesi molto importanti per il lavoro di accoglienza dei senza dimora. Da una parte, la possibilità di osservare da vicino e per un tempo prolungato i propri ospiti ha reso più evidente la presenza di un disagio sociale e sanitario complesso che rimaneva invisibile con i tempi delle accoglienze tradizionali. 

Dall’altra, l’accoglienza prolungata ha mostrato quella funzione capacitante che i servizi di accoglienza devono avere, stimolando fin da subito l’autonomia delle persone e facendo venire fuori risorse individuali che solitamente rimangono nascoste agli operatori. Di fatto e piuttosto naturalmente, le strutture H24 si sono trasformate in “luoghi protetti e meno anonimi” per la maggior parte delle persone accolte, per altre sono rimaste “una gabbia”. Diverse organizzazioni hanno raccontato come le persone abbiano contribuito attivamente alla gestione della struttura, degli spazi condivisi, degli orari e dei servizi, ad esempio collaborando alla distribuzione dei pasti. Inoltre, avere un numero minore di persone accolte e conoscerne in modo più approfondito la storia e le capacità ha permesso agli operatori di promuovere percorsi di accompagnamento più mirati.


Coordinamento pubblico-privato

La “gestione” dell’emergenza è essa stessa stata un’emergenza, complessa e caratterizzata da un coordinamento debole. Anche in questo caso si sono configurati diversi scenari. Laddove la rete è stata attivata, ha funzionato e si è potuto contare sul coordinamento pubblico-privato, la qualità dell’accoglienza e del lavoro degli operatori è stato un risultato visibile. Nei territori in cui invece le amministrazioni locali si sono mostrate più in difficoltà e meno partecipative, il terzo settore ha agito in solitudine (la tipica “delega in bianco”) potenziando il lavoro di rete tra enti non profit e con la cittadinanza stessa, che si è resa protagonista di una straordinaria solidarietà.

Un discorso a parte meriterebbe l’integrazione tra sociale e sanitario che la pandemia ha “stressato” ulteriormente. La gestione delicata delle quarantene, isolamenti preventivi, tamponi e soluzioni tempestive da offrire alle persone estremamente esposte a rischio, è stata caratterizzata da continui cortocircuiti. L’eterno dilemma sulle competenze e sulle risorse a disposizione ha continuato, anche durante la crisi pandemica, a mancare l’appuntamento della consapevolezza che l’homelessness è prima di tutto una questione sociale collettiva.


Prospettive

La pandemia ha fatto da lente di ingrandimento mostrando i limiti del sistema di accoglienza ma allo stesso tempo è stata un acceleratore per la costruzione di risposte e soluzioni organizzative nuove che si ispirano a un pensiero diverso. Si è trattato, come abbiamo detto, in alcuni casi di soluzioni autogestite da chi offre i servizi, ma in altri si sta assistendo a una metamorfosi che merita a nostro avviso di essere approfondita. Gli apprendimenti maturati sulle tre direttrici descritte, possono a nostro avviso essere una leva di riorganizzazione più profonda e con obiettivi di lungo periodo che guardano con strategia alle ingenti risorse economiche di cui beneficerà l’Italia, sia grazie al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), sia grazie alla Programmazione Europea 2021-2027 (relativa al Fondo FSE+).