In queste settimane si è parlato molto di didattica a distanza e il Decreto Cura Italia ha stanziato 70 milioni per garantire a bambini e ragazzi di disporre degli strumenti tecnici (pc, tablet, e connessioni) necessari a poterne fruire. Altri 80 milioni, destinati allo stesso scopo, sono in arrivo dalle risorse PON. Ma la didattica a distanza è davvero la soluzione? Le scuole come stanno spendendo queste risorse? E quali sono le difficoltà che caratterizzano questo tipo di didattica? Ne abbiamo parlato con Carla Bianchi, Segretaria Generale FLC CGIL Roma Centro Ovest Litoranea.
Siamo sulla strada giusta per garantire il diritto allo studio anche in questa fase di emergenza?
La didattica a distanza è un palliativo piuttosto che la soluzione anche se purtroppo in questa fase acuta è l’unico strumento di cui disponiamo per garantire, almeno in parte, la continuità delle attività didattiche. Tuttavia, la scuola ha bisogno di un edificio dove collocarsi, ha bisogno di aule, di laboratori, di spazi comuni (al chiuso e all’aperto) ha bisogno di un luogo dove gli studenti siano tutti uguali.
Uno dei compiti fondamentali della scuola è infatti quello di colmare le distanze, di restituire a tutti pari opportunità. Se la scuola si trasferisce nelle case, i ragazzi oltre ad avere un accesso diverso agli strumenti informatici hanno anche diverse situazioni familiari nelle quali la scuola si cala entrando nelle famiglie. Ci possono essere spazi angusti da condividere con più familiari, una scarsa dimestichezza con una piattaforma informatica. C’è il forte rischio che le distanze di partenza si amplifichino anziché colmarsi. Di certo non si garantisce pari accesso allo studio e alle opportunità.
Quindi si sta ledendo il diritto allo studio?
È proprio questo il punto. Mentre un edificio scolastico garantisce un diritto perché ciascuno studente ha comunque il suo banco, qui non è affatto detto che ciascun studente abbia il suo tablet o pc e questo aumenta inevitabilmente le disuguaglianze. E soprattutto qui la scuola perde il suo ruolo principale che è quello di colmare le distanze e promuovere l’uguaglianza dei bambini e dei ragazzi.
Con la didattica a distanza la scuola perde questa funzione, anzi direi che non solo la perde ma addirittura peggiora la situazione. Questo perché le diverse condizioni di partenza hanno un riflesso importante anche durante le lezioni che vengono proposte, vuoi per la mancanza di strumenti tecnologici adeguati, vuoi per condizioni familiari e abitative.
Quindi il problema non si supera semplicemente dotando tutti gli studenti di tablet o pc?
No. Va detto che ci sono tante iniziative positive da parte dei docenti e non solo (penso ad esempio a Raiscuola e Rai5); tuttavia se passa il messaggio che la scuola può ridursi a questo, allora proprio non ci siamo. Tutte le risorse che si stanno investendo sulla didattica a distanza fanno venire il dubbio che qualcuno si stia innamorando di questa possibilità e stia pensando che gran parte della didattica possa essere fatta in questo modo, ma questo è sbagliato.
È possibile che a settembre la situazione di emergenza sanitaria continui e mi spaventa che si possa essere affascinati dalla didattica a distanza e che essa possa essere considerata, al di là dell’emergenza, come una modalità, non dico ordinaria, ma comunque sostenibile nel medio-lungo periodo. Non si può pensare che ai giovani venga a mancare un luogo vissuto come proprio, dove mettersi in relazione con gli altri, dove scoprire con gli altri le proprie attitudini.
Nel dibattito attuale c’è sensibilità rispetto a queste questioni?
Nella situazione attuale la preoccupazione principale è incentrata su questioni formali: sulla validità dell’anno scolastico, sui problemi della valutazione, sugli scrutini e sui voti, ma la questione non si esaurisce qui. La scuola non è solo trasmissione di competenze, è un luogo di crescita personale e di incontro anche di realtà diverse dalla propria, la tolleranza, il rispetto, l’inclusione non si apprendono a distanza senza esperienza diretta.
Quali sono le principali difficoltà che stanno emergendo nella realizzazione della didattica a distanza?
Diciamo che nessuno era preparato a tutto questo, quindi inizialmente c’è stato un forte senso di smarrimento e i docenti hanno cercato di mantenere i contatti con gli studenti con gli strumenti di cui disponevano, ovvero le chat, i social e il telefono. Successivamente, i dirigenti scolastici hanno invitato i docenti a utilizzare il registro elettronico (uno strumento che già esisteva e che permette la comunicazione fra le scuole e le famiglie). In pochi giorni si è passati dall’improvvisazione del ricorso ai social e alle chat, alle classi virtuali attivate sui registri elettronici.
È chiaro che poi i docenti hanno iniziato a interrogarsi sullo strumento; chiedendosi ad esempio se un appello o una lezione fatta in questa modalità hanno o meno una loro valenza e un loro peso dal punto di vista formale. Diciamo quindi che i docenti si stanno ponendo delle domande sulla validità di questo strumento. Ha senso fare un’interrogazione in questo modo? Ha una validità effettiva? Lo studente o l’alunno che disertano le lezioni in piattaforma devono avere un cattivo voto in condotta o piuttosto bisogna indagare sul motivo? Non dimentichiamo che in questa circostanza sono colpite anche le famiglie: molti hanno perso il lavoro o sono in cassa integrazione, molti hanno parenti malati, molti vivono male in poco spazio e manca la valvola di sfogo dell’uscire, dell’andare fuori, le difficoltà di tanti studenti che prima potevano rimanere fuori dal portone della scuola, oggi possono seguire e incalzare lo studente anche durante le lezioni in casa. Se le condizioni erano precarie prima, lo sono ancora di più ora; anche per questo si rischia di allargare le differenze e approfondirle.
Poi ci sono altre difficoltà; con la didattica a distanza i docenti entrano di fatto nelle famiglie e ricevono le famiglie sul loro computer; non è una cosa semplice da gestire. Ad esempio qualcuno potrebbe avere delle remore a parlare davanti al computer sapendo che potrebbe essere ascoltato da una platea molto più grande rispetto all’aula. Alcuni insegnanti ci segnalano poi casi di genitori che si intromettono nelle lezioni dei più piccoli.
Le risorse stanziate sono sufficienti a garantire la fruizione della didattica a distanza da parte di tutti i ragazzi?
Se l’obiettivo è dare a tutti gli studenti un tablet o un pc, direi che (con le risorse attuali) non è attuabile. Ma se l’obiettivo è dare almeno uno strumento alle famiglie che ne hanno bisogno e che lo hanno richiesto, allora probabilmente questo obiettivo sarà raggiunto. Non ho dati su questo, lo dico a partire dalla percezione che ricavo dai contatti che, come sindacato, abbiamo con i docenti e con il personale amministrativo, che è quello che concretamente si è occupato di ricevere e distribuire gli strumenti.
Rimarranno comunque le difficoltà delle famiglie che hanno più figli e un solo strumento informatico. Al momento le scuole stanno cercando di garantire un tablet/pc a famiglia e le famiglie numerose sono quindi penalizzate. Giusto nel caso avessero figli in scuole diverse potrebbero infatti avanzare più richieste. In sostanza, dubito che si riesca a venire incontro a tutte le situazioni di difficoltà, servirebbero risorse troppo importanti.
Le risorse sono arrivate concretamente alle scuole? E le scuole come stanno procedendo nel concreto?
Le risorse sono arrivate nei conti correnti delle scuole nei primi giorni di aprile. Ma precedentemente le scuole avevano già ricevuto dal Ministero l’indicazione di mettere a disposizione delle famiglie anche gli strumenti informatici di cui disponevano ma in quel momento erano inutilizzati per via della chiusura. Le scuole hanno quindi iniziato ad attrezzarsi per distribuire queste risorse alle famiglie.
Ovviamente sono state previste delle procedure abbreviate per l’acquisto dei dispositivi. I criteri per la distribuzione degli strumenti sono poi stati definiti dai consigli di istituto e i dirigenti scolastici hanno emesso delle circolari attraverso il registro elettronico (che è lo strumento di collegamento fra la scuola e le famiglie). Una volta acquisite le richieste delle famiglie si sono predisposti gli elenchi, si sono convocate le famiglie e, rientrando questo fra le attività indifferibili, questi materiali sono stati distribuiti direttamente alle famiglie (di norma da parte del personale amministrativo della scuola) chiedendo loro di firmare un contratto di comodato d’uso.
Ipotizzando una riapertura, le scuole sarebbero oggi in grado di garantire il rispetto delle norme di sicurezza relative, ad esempio, alle distanze fra le persone?
Al momento no. Teniamo conto che in molti casi gli istituti non rispondono ai requisiti di sicurezza ordinari, ad esempio capita che le aule siano più piccole rispetto a quanto dovrebbero secondo le norme di sicurezza pre-emergenza. Le scuole quindi dovranno riorganizzare gli spazi e si potrebbe pensare di utilizzare luoghi diversi e che magari sino a ora erano dedicati ad altro. Si potrebbe ipotizzare una scuola più diffusa nel territorio e quindi anche di uscire dagli edifici tradizionali e andare in altri edifici pubblici. Ma quel che è certo è che il luogo fisico della scuola va ritrovato e assicurato, la scuola a distanza non può funzionare nel lungo periodo.
Si potrebbe ipotizzare anche di organizzare il ritorno in aula per piccoli gruppi di studenti, magari a rotazione?
Si possono avanzare ipotesi su “doppi turni” ma per realizzarli concretamente bisognerebbe accorciare di molto gli orari di lezione oppure reclutare nuovo personale docente. Su questo secondo punto però è chiaro che non c’è, da parte del Governo, la volontà di potenziare l’organico. Al momento sappiamo che entro fine aprile dovrebbero essere pubblicati i bandi per i concorsi rivolti ai docenti (uno riservato ai precari che abbiano già svolto almeno tre anni di servizio e per i quali la FLC ha chiesto invano di attuare una procedura semplificata e rapida, l’altro aperto a tutti) ma è chiaro che molto difficilmente le procedure saranno in grado di garantire il reclutamento per settembre e vedremo quindi aumentare in maniera esponenziale le supplenze, che già in questo anno scolastico sono state 187.865. A queste si aggiungeranno i 26.327 posti che si libereranno a seguito dei pensionamenti previsti per il primo settembre.
Non è certo il migliore inizio per un anno scolastico che si prospetta pieno di difficoltà ed è chiaro che siamo molto lontani da qualsiasi ipotesi di potenziamento dell’organico. Invece, sarebbe importante assicurare un organico adeguato e anche potenziarlo così da poter diminuire il numero di alunni per classe; oppure prevedere una diversa distribuzione oraria. Il tema delle classi pollaio non è una novità ma torna con drammatica attualità in questa circostanza. Poi rimane il problema enorme della scuola dell’infanzia, dove è difficile convincere i bambini a stare a un metro di distanza fra loro. Qui allora è davvero necessario pensare a un abbattimento dei numeri delle classi come anche al ricorso a spazi all’aperto.
Che messaggio possiamo mandare ai ragazzi che aspettano di rientrare in classe?
Nella scuola si parla di “debiti scolastici”: a noi, in questa fase, piace parlare di “crediti scolastici”; i ragazzi sono in credito con la scuola; la scuola ha un debito nei loro confronti di una formazione che non è stata data. In che modo potrà farvi fronte? Noi auspichiamo che si ritorni in classe a settembre con le distanze di sicurezza e tutte le misure che saranno necessarie.