ActionAid Italia è un’organizzazione indipendente, impegnata in progetti internazionali e nazionali a sostegno dei diritti fondamentali dell’uomo. Da sempre, la Onlus realizza importanti progetti per il contrasto a ogni forma di povertà. A questo riguardo, con lo scopo di approfondire quali saranno le sue priorità nel prossimo futuro, abbiamo intervistato Marco De Ponte, Segretario Generale di ActionAid.
Da dove nasce l’esigenza di elaborare una strategia decennale? Quali sono le principali novità rispetto alle precedenti strategie? Su quali basi avete elaborato la nuova strategia?
Per elaborare la strategia “Agorà2028” ActionAid ha rivolto il proprio sguardo sia all’interno che all’esterno dell’Organizzazione. In primo luogo, ci siamo interrogati sulla strada percorsa in questi anni, sul nostro lavoro, su quanto costruito insieme alle persone e agli interlocutori che abbiamo conosciuto sul nostro percorso. Ci siamo interrogati su quanto fatto e abbiamo cercato di individuare quanto di buono c’era: l’avvio del nostro lavoro sul territorio italiano, l’attivismo, la dimensione internazionale che si intreccia indissolubilmente con quella nazionale, l’impegno accanto alle persone in tanti contesti differenti affinché siano empowered e sappiano lottare per i propri diritti. Poi abbiamo osservato il mondo esterno, dove sta andando, quali grande sfide ci pone davanti, e abbiamo capito che per coglierle, per realizzare davvero un cambiamento, è necessario avere coraggio, capacità di vedere oltre il proprio naso e di progettare a lungo termine.
Per questo, ActionAid ha scelto una strategia decennale, che ci permette di immaginare il mondo che vorremmo e ci dà il giusto tempo per lavorare alla sua realizzazione. Un mondo più equo e giusto per tutti, che costruiremo insieme a chi vorrà unirsi a noi con coraggio, indipendenza, integrità, empatia, solidarietà, cercando di essere sempre inclusivi e far sì che lo siano anche altri. Realizzare questo cambiamento significa lavorare, in fondo, sulla qualità della democrazia: solo in una democrazia vera e non formale le persone risultano vere protagoniste, a partire da quelle più escluse. Ci vuole tempo, non si fa in una settimana o un mese, ma trasformando gli automatismi e le percezioni che caratterizzano il vivere comune, con pazienza e determinazione, modificando le norme, le allocazioni di spesa pubblica ma anche l’autopercezione che individui e comunità sviluppano, invitandole a partecipare, andando oltre il momento della conta elettorale, per contare davvero.
La Strategia di ActionAid si pone l’obiettivo di migliorare la qualità della democrazia, come mai? Potrebbe spiegarci come ActionAid definisce il collegamento tra democrazia e contrasto alla povertà?
Abbiamo scelto di mettere al centro della nostra nuova strategia le persone e le comunità che vivono in condizioni di marginalità, con la profonda convinzione che esse possano essere protagoniste del cambiamento. Migliorare la democrazia significa semplicemente fare in modo che il potere sia davvero del popolo, delle comunità che dialogano e prendono decisioni nell’interesse comune. Il contrasto all’esclusione sociale non va “collegato” alla democrazia; piuttosto, minore diseguaglianza ed esclusione “sono” una manifestazione di un maggior potere reale delle comunità, “sono” democrazia maggiormente compiuta!
Perché questo accada è necessario che individui e gruppi divengano sempre più consapevoli dei propri diritti, che siano aiutati ad organizzarsi e trovare spazi in cui costruire il cambiamento desiderato. La lotta alla povertà, come tante altre sfide, si costruisce partendo dal dialogo e dall’analisi condivisa dei problemi che ne deriva, non attraverso le alchimie di policy-maker isolati. Nei prossimi dieci anni, abbiamo scelto di essere un’organizzazione che lavora per promuovere e animare spazi di partecipazione ovunque, in Italia e nel mondo; vogliamo coinvolgere persone e comunità nella tutela dei propri diritti; vogliamo collaborare a livello locale, nazionale e internazionale per realizzare il cambiamento; così faremo crescere l’equità sociale in maniera sostenibile e non occasionale o solo in situazioni specifiche.
Solo grazie ad una democrazia pienamente vissuta e non esercitata esclusivamente nel momento elettorale, infatti, è possibile raggiungere uno sviluppo sostenibile di comunità, popoli e individui. Dal piccolo villaggio indiano a Reggio Calabria, lavoreremo per ridurre il divario di potere fra le persone e lo faremo insieme a loro, di fatto battendoci per la nostra democrazia, per contare evitando di accontentarci di contarci nell’urna.
Agorà 2028 si incardina su tre pilastri programmatici: “diritti”, “redistribuzione” e “resilienza politica e sociale”. Nel “pilastro” relativo ai diritti si indica come prioritario l’ambito di lavoro riguardante la violenza nei confronti delle donne. Quali sono le implicazioni di questa scelta rispetto al più generale impegno sull’esclusione sociale?
I tre pilastri su cui si regge la costruzione del cambiamento che vogliamo produrre si sostengono reciprocamente: i diritti di individui e comunità non possono essere soddisfatti senza reale redistribuzione del potere (e dunque delle risorse, delle conoscenze, dell’accesso ai mezzi di creazione della ricchezza in generale) e continueranno a essere minacciati senza il rafforzamento degli spazi di resilienza di comunità in cui le persone abbiano davvero la possibilità di esprimersi e concorrere a migliorare la società. Il diritto a una vita libera da violenze rientra senza dubbio nell’interesse di tutti. La violenza sulle donne è un problema trasversale e che, nel nostro lavoro, incontriamo in tanti Paesi diversi e sotto varie forme: la violenza fisica di ragazze sottoposte a mutilazioni genitali, ad esempio, è solo una delle forme che prende la battaglia universalmente combattuta sul corpo e sulla psiche delle donne.
Secondo un’indagine realizzata nel quadro del nostro programma “WE GO!”, l’82.5% delle donne intervistate vittime di violenza ha un basso livello di autonomia economica, spesso è loro proibito di lavorare, frequentare amici o anche semplicemente fare una passeggiata. La violenza è una forma di esclusione. Lavoreremo ancora per permettere che migliaia di donne si riapproprino dei propri diritti: lo continueremo a fare con loro in molti modi. Lo faremo insistendo sulla consapevolezza del potere che esse stesse hanno di ridurre il rischio di subire violenza; lo faremo provando a cambiare la percezione dell’intera comunità nei confronti della violenza e degli stereotipi di genere; lo faremo cercando di convincere le istituzioni, affinché elaborino efficaci politiche pubbliche di prevenzione e contrasto alla violenza sulle donne in Italia, focalizzandoci sulla raccolta dati per la stima del fenomeno sommerso almeno ogni 5 anni, per valutare con continuità l’efficacia dei servizi e per favorire la trasparenza sull’uso delle risorse a livello nazionale e regionale.
In che modo intendete favorire l’armonizzazione tra politiche migratorie e politiche di cooperazione internazionale allo sviluppo, come indicato nel secondo ambito di lavoro del pilastro "diritti"?
Oggi il nostro Paese non promuove una cittadinanza inclusiva. Il dibattito e le lungaggini parlamentari sullo Ius soli ne sono solo una minima e triste testimonianza. La migrazione è una realtà universale e strutturale ormai anche in Europa, che non può essere più trattata come un’emergenza. Vivere una cittadinanza inclusiva dovrebbe poter significare che tutte le persone che risiedono, soggiornano o transitano in un paese siano titolari di diritti come indicato nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, indipendentemente da origine, censo, età, genere, orientamento religioso.
ActionAid ha deciso di lavorare con i migranti che arrivano nel nostro paese così come in altri angoli del mondo, per restituire innanzitutto a loro consapevolezza dei loro diritti; lavoriamo con la comunità nazionale nella sua interezza, per cambiare la percezione che si ha del fenomeno migratorio e dello “straniero”; lavoriamo con le istituzioni, affinché mettano in campo politiche orientate alla persona, superando la logica meramente securitaria e repressiva che risulta spesso più “facile” da far passare.
E’ assolutamente necessario superare la retorica dell’“aiutiamoli a casa loro” per agire sulle cause profonde delle migrazioni riconoscendo il fenomeno per quello che dovrebbe essere: una scelta di vita tra altre. La semplificazione “più sviluppo nei Paesi di provenienza, meno migrazioni”, che si ritrova anche nelle ultime politiche europee, si basa sull’assunto che siano sempre i più poveri e affamati i soggetti con la maggiore propensione a migrare. In realtà, nel breve termine, un maggiore sviluppo può mettere in condizioni di muoversi persone con maggiore accesso a risorse rispetto ai più poveri. La cooperazione allo sviluppo – non perché lo dica ActionAid, ma per accordo tra gli Stati, anche in ambito europeo – deve essere orientata alla riduzione e allo sradicamento della povertà nel medio-lungo termine e non al contrasto del fenomeno migratorio, come invece sembrano scivolare a fare molti governi europei, tra cui quello Italiano. Per ripristinare una certa coerenza tra obiettivi dichiarati e pratiche agite dalla cooperazione pubblica, ActionAid continuerà a lavorare con le istituzioni, affinché integrino in modo appropriato la dimensione migratoria all’interno delle politiche di sviluppo e di sicurezza alimentare e nutrizionale.
Nel pilastro relativo alla “resilienza sociale” la strategia di ActionAid si pone l’obiettivo di favorire iniziative di co-progettazione di partenariati pubblico-privati. In particolare quali progetti ActionAid spera di promuovere in questo ambito?
Mentre i pilastri "Diritti" e "Redistribuzione" guidano ActionAid nel capire "cosa" fare, dandoci delle priorità, attraverso il pilastro "Resilienza sociale" abbiamo cercato di individuare “come” lavoreremo. Possiamo quindi dire che tutti i progetti e programmi che svilupperemo saranno incentrati da un lato sulla partecipazione dei cittadini e dall’altro sulla responsabilità sociale e politica delle istituzioni ma anche del settore privato. Continueremo a promuovere l’accountability di chiunque controlli le leve del cambiamento sociale, il che significa che esigeremo trasparenza delle loro scelte e insisteremo nel favorire la partecipazione attiva delle comunità e degli individui, attraverso la fruizione di dati e l’accesso dei cittadini alle informazioni, la costruzione di reti con media indipendenti e, naturalmente, sviluppando competenze sempre maggiori sul piano delle opportunità di coinvolgimento di tutti sul piano digitale.
Come cambierà l’operato di ActionAid ora che è stata concordata la strategia “Agorà2028”?
Credo che sia fondamentale che noi stessi innanzitutto ci appropriamo fino in fondo della comprensione di quali siano gli elementi fondanti di una democrazia vera, reale, vissuta ogni giorno. ActionAid non esiste per eseguire centinaia di progetti “tematizzati”, lasciando intatto il quadro in cui i ben intenzionati possono “far del bene” senza mai toccare gli squilibri di potere esistenti. No, ActionAid, come pochi altri attori civici, intende svolgere un ruolo pienamente politico, trasformativo. Non intendiamo lenire le storture della società ma contribuire a cambiarla nel profondo, rendendola più giusta e cooperante. Se i nostri soci, attivisti, staff, donatori e anche i nostri simpatizzanti non si appropriano a fondo dell’ambizione a svolgere un ruolo profondamente politico, non ci sarà alcuna speranza che il mondo possa cambiare poco o tanto.
Noi tutti dunque, operando, dobbiamo sempre sforzarci di chiederci quale mutamento profondo riusciremo a produrre con il nostro impegno, quale risultato otterremo insieme ad altri, dopo aver eseguito una lista di “buone azioni”. E dovremo essere anche severissimi con noi stessi e chi ci segue. La cooperazione come sottoprodotto delle democrazie liberali occidentali o manifestazione postcoloniale non ha alcun senso. Quel che invece ha senso oggi e lo continuerà ad avere sarà uno sforzo incessante per migliorare tutte le società, nel nostro paese, nel nostro quartiere, in Italia, nel mondo. Cercheremo di fare la differenza mettendo le persone al centro del nostro impegno, lavorando sul loro empowerment per consolidare potere dal basso. I nostri interventi saranno innovativi e sostenibili, cioè orientati al raggiungimento del massimo impatto possibile con le risorse politiche, intellettuali ed economiche disponibili.
In particolare potrebbe specificare gli attori che avete già individuato come partner chiave o che pensate di coinvolgere a livello programmatico per l’esecuzione della strategia?
Il cambiamento si produce assieme attraverso un dialogo continuo, magari acceso, ma aperto e informato, oltre che ragionevole. Lo scorso 13 dicembre al MAXXI di Roma, nella prima occasione in cui abbiamo spiegato come vogliamo evolvere, abbiamo condiviso con tanti interlocutori le cose che ci siamo detti anche ora: eravamo in tanti, pronti a credere e impegnarci per realizzare il cambiamento. Sicuramente i nostri principali “alleati” sono i cittadini che non possono non essere i veri protagonisti della trasformazione sociale: attenzione però, i cittadini, singoli ed organizzati, non sempre spingono nella direzione del “bene comune”; lo possono fare se aiutati, abilitati dal contesto e dalle istituzioni che a garantire il bene comune sono preposte.
Fondamentale interlocutore di ActionAid dunque è lo Stato con le varie istituzioni nazionali e locali: noi di ActionAid non intendiamo fornire servizi in sostituzione allo Stato sollevandolo da responsabilità che la comunità intera ha affidato ad esso, né vogliamo mettere in campo solo buone pratiche di solidarietà che finiscono per essere confinate al livello “testimoniale”. Il nostro desiderio è che, sempre più, le politiche pubbliche siano espressione reale delle esigenze delle comunità e possano essere monitorate periodicamente in modo da renderle più efficaci. Intendiamo lavorare con le aziende e gli altri soggetti del settore privato che sempre più, negli ultimi anni, si sono mostrati sensibili alle sfide del mondo che abbiamo deciso di cogliere.
Non da ultima, importantissima è la collaborazione con altri attori civici con i quali formiamo reti tematiche, associazioni di scopo e altre aggregazioni. Certamente lo spazio politico per gli attori civici si va stringendo nel mondo in generale. In Italia, dopo gli attacchi poco lungimiranti di certuni all’operato di alcune ONG, l’ambiente appare davvero poco abilitante per una sana azione civica di soggetti desiderosi di lavorare nell’interesse generale (cosa peraltro prescritta dalla riforma legislativa sugli enti di cosiddetto “terzo settore”). Purtroppo, la maggior parte delle realtà di cittadini organizzati, in questo quadro, preferisce ritirarsi a svolgere un ruolo meramente sostitutivo del welfare pubblico o meramente solidaristico; ActionAid, con pochi altri, crede invece che proprio ora sia necessario reclamare spazio democratico, evitando di concentrarci su alcuni output effimeri, lavorando piuttosto sull’aggiornamento del “software” della democrazia, per renderla migliore e più reale.
In svariati passaggi Agorà2028 cita, strumenti, strategie, normative che operano in coerenza con gli obiettivi di ActionAid a livello nazionale e internazionale (Agenda 2030, Reddito d’Inclusione Sociale ecc). Concretamente quali affinità ci sono? Attraverso quali canali e strumenti le diverse strategie potranno convergere?
ActionAid valorizza il ruolo dello Stato, portatore ultimo di doveri verso le persone aggregate nelle comunità nazionali. Di conseguenza, valorizza evidentemente anche le aggregazioni di Stati che, attraverso trattati o convenzioni, “per accumulazione progressiva”, usus ed opinio juris, creano diritto positivo, compreso il diritto internazionale dei diritti umani. Solo facendo riferimento a quanto man mano gli Stati, (compreso quello italiano) concordano, si può “costringere” chi esercita la rappresentanza a rispettare norme che dovrebbero essere per definizione articolate nell’interesse comune (o a cambiarle se così non è).
ActionAid, dunque, si muove per rammentare continuamente allo Stato i propri doveri verso i cittadini ma collabora anche fattivamente con esso per proporre sviluppi basati sull’esperienza e capacità di analisi. Lo Stato (e la comunità degli Stati), infatti, siamo noi, i cittadini che ad esso delegano l’esercizio dell’uso della forza; una parte del “potere” che è nostro, esseri umani teoricamente nati liberi ed eguali e malauguratamente, in pratica, sempre meno uguali a seconda di dove e come nasciamo.