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Giovedì 15 ottobre saranno presentati al Cnel, in videocollegamento, i risultati dell’indagine “Gli italiani e i corpi intermedi” svolta da Ipsos Italia: l’indagine rappresenta la terza parte di un grosso lavoro di ricerca su “Ruolo, problemi e compiti oggi dei corpi intermedi nella società e nella democrazia italiana” promosso dalla Fondazione Astrid e dalla Fondazione per la Sussidiarietà con la partecipazione del Cnel. Si tratta di una riflessione ampia e approfondita, tuttora in corso, coordinata da Franco Bassanini, Tiziano Treu e Giorgio Vittadini che si sono avvalsi della collaborazione di oltre quaranta autori tra docenti universitari ed esperti dei vari capitoli della ricerca e di un selezionato gruppo di istituzioni (tra cui Percorsi di secondo welfare, ndr). 

Certamente quando nacque la nostra Costituzione il ruolo e il valore dei corpi intermedi era riconosciuto unanimemente tanto che l’articolo 2 attribuisce alle “formazioni sociali” l’essere il luogo dove si svolge la personalità dell’uomo. Tra lo Stato impersonale e l’individuo singolo era chiaro che esisteva un insieme di soggetti (associazioni, cooperative, sindacati, parrocchie, circoli, partiti, ecc.) che potevano aggregarsi liberamente in gruppi per sviluppare la personalità di ciascuno, per rispondere ai bisogni di molti e per partecipare alla vita democratica del Paese

Alla casa delle formazioni sociali che è il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) venne addirittura riconosciuta – unico organo costituzionale ad averla – con l’articolo 99, la possibilità dell’iniziativa legislativa, la cui funzione piena è esclusivamente propria di Camera e Senato collettivamente. La visione dei nostri padri costituenti, che riconosceva nel principio di sussidiarietà il perno del rapporto Stato-cittadini, non ha avuto però, negli anni seguenti, un grande seguito nella cultura e nella vita del nostro Paese. Il principio di sussidiarietà, nonostante la riforma amministrativa del 1997 e quella costituzionale del 2001, che con l’articolo 118 lo ha introdotto nella Costituzione (senza dimenticare il Trattato europeo di Maastricht del 1992), ha ceduto il passo a una concezione sempre più statocentrica molto lontana da quella emersa dall’Assemblea Costituente. 

Oggi l’evidenza del disegno costituzionale di allora non è più così chiara e il dibattito ruota intorno alla disintermediazione, al tramonto della rappresentanza dei corpi intermedi da una parte e al farfugliare, dall’altra, di chi vagheggia paradisi terrestri – che non esistono – dove regnerebbe la democrazia diretta assoluta. A ciò si aggiunge che alla fatica della ricerca della condivisione con e tra le parti sociali più rappresentative, le Istituzioni e i Governi preferiscono percorrere la strada molto più semplice del moltiplicare task force, comitati e gruppi di esperti vari il cui contributo serve da sbandierare mediaticamente sul momento, ma finisce poi inevitabilmente dimenticato sui binari morti anche perché questi contributi rappresentano unicamente chi li propone. 

Diventa quindi fondamentale ripensare oggi il ruolo dei corpi intermedi: sono solo il segno di una gloriosa storia passata che è alle spalle oppure possono essere ancora fondamentali per la costruzione del bene comune? E che esempi possono essere mostrati di contributi positivi alla crescita della persona da parte delle formazioni sociali come recita l’articolo 2 della nostra Costituzione? Queste domande con alcune ipotesi di risposta sono il contenuto della ricerca. 

 

Questo articolo è stato pubblicato su IlSussidiario.net e qui riprodotto previo consenso dell’autore