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Il virus è per sua natura "democratico": colpisce gli individui indipendentemente da fattori come reddito, provenienza o status. I suoi effetti però non lo sono altrettanto: i gruppi sociali sono infatti esposti in maniera diversa ai rischi socio-economici, diretti o indiretti, che il virus porta con sé. Ne riflette Luca Cigna in questo articolo, pubblicato sul sito di Fondazione Feltrinelli.


Nel 1973, Horst Rittel e Melvin Webber formularono il concetto di wicked problems (che potremmo tradurre come “problemi scellerati”): si tratta di problemi la cui risoluzione è estremamente complessa e che tendono a generare o acuire altri problemi. I wicked problems sono associati a informazioni incomplete, ambigue o contraddittorie; una diversità di prospettive sulla natura del problema e sulle possibili soluzioni; un livello di gravità e intrattabilità alto o addirittura molto alto; la natura sfaccettata e interconnessa del problema.

La pandemia del Covid-19 riflette molte di queste caratteristiche: nelle prime settimane, i cittadini hanno ricevuto informazioni ambigue o contraddittorie, causate anche da una certa diversità di vedute tra i diversi livelli di governo (stato e regioni in primis); la risoluzione della crisi sarà inevitabilmente lenta ed esiste la possibilità di ricadute nei prossimi mesi; ogni intervento mette in luce nuove facce del problema, con ripercussioni negative che possono protrarsi nel tempo. Data l’originalità del problema, non esistono buone pratiche consolidate, cosa che ha colto i policy-makers (italiani e non) di sorpresa. Un “problema scellerato” tende a generarne altri: dalla crisi epidemica si passa facilmente alla crisi finanziaria, alla recessione, alla crisi sociale. Non esiste una soluzione univoca al problema, se non la prevenzione del problema stesso, e qualsiasi policy adottata per contrastarlo rischia di danneggiare alcuni gruppi o categorie.

Se un virus è per sua naturademocratico”, colpendo gli individui indipendentemente da fattori come reddito, provenienza o status, alcuni gruppi sociali sono esposti in maniera diversa ai rischi diretti o indiretti che il virus porta con sé. A differenza di altri paesi europei, l’Italia giunge alla “sfida” della pandemia dopo anni di stagnazione, e di riforme del mercato del lavoro che hanno compresso i salari e ridotto gradualmente le tutele per chi lavora. Dal 2008 a oggi, i dipendenti a termine sono cresciuti di 760mila unità, registrando un aumento complessivo del 33%. Il nostro paese è al primo posto in Unione Europea per l’incidenza del lavoro autonomo: i lavoratori autonomi sono oltre 5 milioni, ovvero un quinto della nostra struttura occupazionale. Gruppi demografici come giovani e donne tendono a essere particolarmente esposti alla precarietà lavorativa e reddituale: il 27% dei giovani è disoccupato, il 30% si sostenta con meno di 800 euro lordi al mese e il 23% vive in condizioni di povertà lavorativa.

Se una parte tra gli occupati nel settore dei servizi può lavorare a distanza attraverso lo smart working, i segmenti più periferici del mercato del lavoro subiscono o subiranno importanti perdite dal punto di vista economico, e al contempo rischiano di vedere violati diritti e tutele. Negli ultimi giorni sono arrivati i primi licenziamenti e mancati rinnovi dei contratti a termine per effetto del virus; alcuni lavoratori sono stati costretti a utilizzare ferie o congedi per durante il periodo di pausa. La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro stima che 3.6 milioni di persone (il 16% dei lavoratori) sono occupati in settori “a rischio chiusura”. I lavoratori autonomi saranno tra i più penalizzati dall’epidemia: molti tra i lavoratori con partite IVA, nel settore dello spettacolo, della cultura, del turismo, dello sport riportano l’annullamento o la sospensione di eventi, iniziative, cicli, commissioni di qualsiasi tipo. Secondo un recente sondaggio di Acta, il 75.9% dei lavoratori autonomi intervistati si aspetta che le proprie commesse vengano cancellate o rinviate; il 57.6% cita la sospensione di commesse, e il 47.3% ha visto le proprie commesse del tutto cancellate.

Un discorso a parte va fatto per coloro che proseguiranno regolarmente le loro attività lavorative nonostante l’emergenza. L’ultimo decreto del Governo sancisce che i lavoratori nei servizi a domicilio e della logistica debbano continuare a lavorare, insieme a coloro che sono occupati nella produzione industriale e, ovviamente, nel settore sanitario. Molti mettono in discussione l’equità di queste norme, che sotto-tutelerebbero i lavoratori industriali e a domicilio rispetto agli altri cittadini. Negli ultimi giorni sono stati indetti scioperi a Genova, Pistoia, Milano e provincia, con proteste isolate in Emilia-Romagna, Veneto, Abbruzzo e Molise: i sindacati che operano in questi settori chiedono diritti e tutele pari agli altri cittadini, vista la violazione delle prescrizioni sanitarie e di sicurezza (ad esempio, in molte aziende la distanza minima tra gli addetti non viene rispettata). In un’intervista su Repubblica, Francesca Re David (FIOM CGIL) spiega: “Succede perché il governo ha delegato alle aziende le decisioni”. Sabato 14 marzo si è finalmente raggiunto un accordo tra il governo e le parti sociali sul protocollo di sicurezza che dev’essere adottato dalle aziende.

Per venire incontro alle richieste di protezione, il Governo ha emanato nuove misure, tra cui l’estensione degli ammortizzatori sociali e la garanzia di congedi parentali per i genitori, per un totale di 25 miliardi di euro. Tra le diverse voci, il decreto “Cura Italia” approvato lunedì 16 marzo prevede un nuovo trattamento di cassa integrazione ordinario e una nuova cassa di integrazione salariale in deroga. Il decreto introduce anche dei congedi speciali pari al 50% della retribuzione della durata di due settimane e un bonus babysitter di 600 euro per chi ha figli a casa. I professionisti, le partite iva, i co.co.co., i lavoratori dello spettacolo e chi è iscritto alla gestione separata Inps beneficeranno di un’indennità una tantum di 500 euro, mentre i lavoratori dipendenti riceveranno un premio di 100 euro rapportati ai giorni di lavoro svolti durante il mese di marzo. Il pagamento di imposte e contributi è rinviato e i licenziamenti sospesi. Nei giorni scorsi, il Ministro Catalfo ha assicurato che “Nessuno perderà il lavoro per il coronavirus”.

Marta Fana, PhD in Economics a Sciences Po e autrice del libro "Basta salari da fame!" (Laterza, 2019) ha recentemente condiviso alcune proposte di policy per tutelare i lavoratori: bloccare i licenziamenti e reintegrare chi è stato licenziato; garantire la continuità di reddito e la piena retribuzione dei congedi; vietare l’imposizione di ferie e permessi; fermare tutte le produzioni di beni che non siano “di prima necessità” e aumentare le misure di sicurezza di chi lavora; estendere gli ammortizzatori sociali e stabilire turni di sei ore in tutti i settori. Tenendo fede alle promesse del Governo, alcune di queste proposte sarebbero parzialmente o completamente soddisfatte. Sarà abbastanza per contrastare gli effetti della crisi su chi lavora, e ad evitare che siano proprio gli atipici e i precari a pagare il prezzo più caro?

Questo articolo è stato pubblicato sul sito di Fondazione Feltrinelli e qui riprodotto previo consenso dell’autore.