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Post 2014, anno europeo dedicato al work-life balance (ne abbiamo parlato qui), l’Europa e gli stati membri hanno cominciato a dare vita a progetti di riforma, operando un generale investimento sul piano economico-sociale in una prospettiva di maggiore integrazione di genere nel mercato del lavoro. In quest’ottica lo scorso aprile la Commissione UE ha approvato una direttiva proprio per rafforzare le politiche di conciliazione vita-lavoro e, in particolare, i congedi e le azioni legate alla flessibilità lavorativa (vuoi saperne di più?) .

Tuttavia, nonostante gli sforzi e una diffusa ripresa economica, il gender gap a livello di work-life balance è ancora importante, piuttosto precario e sbilanciato a discapito della componente femminile. Ciò, come spesso sottolineato, è in parte dovuto alla persistenza di stereotipi di genere e al difficile superamento del modello del “male-breadwinner” (ne abbiamo parlato qui).


Quali sfide comuni per gli Stati europei sul tema della work-life balance?

Le politiche di conciliazione vita-lavoro sono importanti in quanto si pongono il macro obiettivo di ridurre il gap di genere nel mercato del lavoro, aumentando il tasso di occupazione femminile. Inoltre, cercano di rendere più equa la distribuzione del tempo impiegato in azioni di cura e per le quotidiane attività domestiche tra uomini e donne.

I genitori e le persone con responsabilità di assistenza hanno diritto a un congedo appropriato, modalità di lavoro flessibili e accesso a servizi di assistenza”.

Questi sono i principi della work-life balance e sono enunciati all’interno dei 20 pilastri europei dei diritti sociali del 2017 (ne abbiamo parlato qui). Le aree d’intervento di questa politica sono quindi tre e riguardano: l’organizzazione flessibile al lavoro, il sistema dei congedi e i servizi di assistenza. Ed è proprio da questi tre principi che un interessante rapporto “Conciliazione vita lavoro: sviluppo di policy” di ANPAL – Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro – propone una comparazione fra i vari stati dell’UE sul tema work-life balance.

Analizzando il documento la prima cosa che si nota è che i maggiori stati europei presi in disamina – Finlandia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Regno Unito – stanno avendo una crescente e comune attenzione verso il tema della work-life balance. C’è un generale aumento dell’investimento economico, legislativo e strategico programmatico su questo tema. Questo accade perché gli Stati si sono resi conto di dover affrontare alcune questioni cruciali al fine di equilibrare i pesi della bilancia nel tentativo di stabilire una maggiore eguaglianza di genere, specialmente in ottica occupazionale. La prima sfida comune guarda quindi al tasso di occupazione femminile che risulta essere più basso rispetto a quello maschile in tutti gli stati UE, come dimostrano i dati Eurostat del 2018 (figura 1).

Figura 1. Tasso (%) di occupazione per genere in UE28 nel 2018

Legenda: blu (uomini); rosso (donne)
Fonte. Rielaborazione personale su base dati Eurostat 2018

La disparità di genere nel mondo occupazionale aumenta soprattutto alla nascita di un figlio. A causa dell’elevato costo dei servizi per l’infanzia, spesso sono proprio le donne a dover rinunciare alla propria carriera; c’è poi un’ampia e generale diffusione del part-time fra le donne per andare incontro alle esigenze di cura dei figli soprattutto nei primi anni di vita.

Anche i congedi parentali per la cura dei figli e i congedi per cure familiari sono principalmente utilizzati dalle donne, così come l’assistenza informale ai familiari e le attività domestiche sono sempre maggiormente a carico della componente femminile. Questi sono i temi con i quali gli stati UE sono costretti a fare i conti: diviene quindi indispensabile promuovere politiche di work-life balance in grado di radicarsi in modo strutturale, permeando culturalmente la società.


Servizi di assistenza, sistema dei congedi e orari flessibili: uno sguardo comparato fra i maggiori stati europei

Partendo da questi presupposti, il rapporto realizzato da ANPAL ci permette di analizzare in modo comparato l’attuale stato dell’arte nei maggiori stati UE; questo viene fatto attraverso un’analisi generale sulla governance delle politiche sociali e proponendo una panoramica sui servizi di assistenza, sul sistema dei congedi e sull’organizzazione flessibile al lavoro. Di seguito alcuni spunti e riflessioni nel merito.

Servizi di assistenza

Il sostegno all’assistenza all’infanzia attraverso servizi di cura, oltre a palesare obiettivi d’istruzione e integrazione sociale dei bambini, ha un generale obiettivo di contrasto alla divisione del lavoro in base al genere, che troppe volte confina le donne tra le mura domestiche e nel lavoro di cura. In Europa è la Francia che spicca per una proposta articolata e ben strutturata di servizi di cura, sia collettivi che individuali, soprattutto per la fascia 0-3 anni. Anche la Finlandia si contraddistingue per un sistema piuttosto efficiente: qui, infatti, i bambini al di sotto dei 7 anni hanno diritto all’assistenza diurna comunale, cioè ad un servizio che permette alle famiglie di lasciare durante il giorno i propri figli all’interno di strutture paragonabili ai nostri asili comunali. Di contro, nel Regno Unito, i livelli di copertura sono ancora minimi e l’accesso ai servizi rimane critico; il principale ostacolo all’accessibilità ai servizi rimane l’entità dei costi finanziari e la scarsa disponibilità di strutture pubbliche per l’infanzia.

Sistema dei congedi

Congedo di maternità, di paternità, parentale e per assistenza ai familiari malati o disabili, tendenzialmente compongono il set basico dei sistemi nazionali di congedi al fine di agevolare una buona conciliazione tra le attività di cura e il lavoro. La sfida legata ai congedi è quella di equilibrarne l’uso tra uomini e donne. In quest’ottica è da menzionare il Regno Unito che, dal 2015, ha introdotto una forma di congedo parentale condiviso, il quale consente ai genitori di dividersi un periodo di permesso pari a 50 settimane a seguito della nascita o adozione di un figlio, entro il primo anno di vita dello stesso. Tuttavia c’è da dire che i tassi di ricorso a questo congedo sono bassi, stimati tra il 2% e l’8%, segno del fatto che non sono sufficienti questi interventi se le politiche non vengono accompagnate da un cambiamento culturale e informativo.

Anche in Germania e in Francia sono stati creati sistemi volti ad incentivare l’acquisizione da parte dei padri del congedo parentale, spesso poco utilizzato perché non sufficientemente retribuito. L’Olanda, la Germania, la Spagna e la Francia si contraddistinguono invece per la presenza di un congedo parentale non trasferibile da un genitore all’altro, in una logica di take it or lose it, il che dimostra come si voglia puntare ad una riduzione del divario generazionale su questo tema. La trasferibilità del congedo espone le madri al rischio che siano più spesso loro ad usufruirne rispetto ai padri. Il congedo di maternità appare particolarmente generoso nel Regno Unito dove può arrivare fino a 52 settimane. Negli altri stati presi in considerazione dal rapporto ANPAL la media si attesta invece attorno alle 15-16 settimane. In tutti i casi è retribuito e collegato al reddito percepito dalla lavoratrice madre.

Orari flessibili

La flessibilità oraria viene utilizzata come elemento all’interno delle politiche di work-life balance al fine di ridurre il gap di genere nel mondo del lavoro e di cura familiare. Tuttavia emerge una contraddizione legata al tema. Infatti, la flessibilità rischia di essere utilizzata maggiormente dalle donne – così come accade per i congedi – e questo minaccia di creare un “crash” tra intenzioni delle politiche ed effetti reali. I dati di Eurofound del 2017, pubblicati nel report “Working anytime, anywhere: The effects on the world of work” confermano quanto detto: la flessibilità si traduce troppo spesso per le donne in un aumento delle attività domestiche e di cura dei familiari, mentre per l’uomo in realtà sembra tradursi in un sovraccarico lavorativo.

Ciò accade soprattutto in Francia, Regno Unito e Paesi Bassi dove la flessibilità lavorativa viene soprattutto utilizzata dalle donne che, a causa dei ruoli di genere profondamente radicati in questi tre Paesi, vengono percepite come le principali responsabili nella cure verso i familiari (ANPAL 2019). In Europa solo in UK e nei Paesi Bassi esiste il diritto a richiedere orari di lavoro flessibili, ridotti e il telelavoro. Nel Regno Unito la “Flexible Working Regulations” dal 2014 prevede che tutti i lavoratori dipendenti, assunti da almeno 26 settimane, abbiano facoltà di richiedere al proprio datore di lavoro una soluzione di lavoro flessibile: richiesta che quest’ultimo può rifiutare solo per ragioni specifiche. Analoga la legge in Olanda. In Finlandia, grazie anche all’avvento nel prossimo gennaio della “New Working Hours Act”, la cultura del lavoro flessibile si conferma permeante, portando il Paese ad essere una tra le nazioni più evolute sul tema flexible work (ne abbiamo parlato qui).

Quale scenario in Italia?

Mentre l’Italia destina circa il 6% della sua spesa per il welfare a politiche rivolte alla famiglia e all’infanzia, la Germania ne investe l’11,2%, la Francia il 7,7%, il Regno Unito il 9,6% e la Finlandia il 10,3% (Razetti et al. 2019). Questo ci fa già intuire il ritardo d’investimento nel nostro Paese. Il tasso di occupazione femminile è il più basso tra quelli presi in esame (figura 1), così come il divario occupazionale di genere. “Rebalance” , un rapporto stilato dalla Confederazione europea dei sindacati nel 2019, mette in luce le strategie sindacali e le buone pratiche messe in atto nei maggiori Stati UE per promuovere la conciliazione tra tempi di lavoro e di vita. I dati riportati al suo interno ci dicono che le donne di mezza età in Italia si ritirano o riducono il lavoro per motivi legati all’assistenza di membri del nucleo familiare con una percentuale nettamente più alta rispetto ai paesi scandinavi e di Paesi come Francia e Germania.

Il congedo di paternità – incrementato grazie la Legge di Bilancio del 2019 (qui sono disponibili maggiori informazioni) – si limita a cinque giorni retribuiti al 100%: poco o nulla in confronto alla normativa finlandese, la quale prevede un congedo di paternità pari a 54 giorni sebbene finanziata al 70%. In Italia non ci sono limiti ai permessi per prestare assistenza ad un figlio malato di età inferiore ai tre anni. Il congedo di maternità invece supera la media degli Stati presi in considerazione dal report di ANPAL: sono infatti previste 20 settimane di congedo pagati all’80% dell’ultima retribuzione mensile. Tuttavia la percentuale retributiva del congedo risulta più bassa rispetto altri Stati: in Francia, Spagna, Olanda e Germania arriva fino al 100%. Sono poi previste 24 settimane, per ciascun genitore, di congedo parentale non trasferibile; in Francia arriva fino all’anno.

Per quanto riguarda il tema dei servizi per i bambini fascia 0-3 anni, la dotazione di posti disponibili nel nostro Paese non raggiunge la quota fissata come obiettivo strategico dell’Unione europeo allo scopo di promuovere l’occupazione femminile. Solo Spagna, Finlandia e Paesi Bassi sono riusciti a raggiungere la soglia del 33% prevista (ANPAL 2019). Infine, in materia di flessibilità si sottolinea che – fino al raggiungimento del 12° mese di età del figlio o in presenza di un figlio di età inferiore ai sei anni o disabile fino ai 18 anni – i genitori hanno il diritto legale di chiedere all’azienda un orario di lavoro flessibile (Rebalance 2019).

Alcune considerazioni finali

In conclusione, si può dire che la Finlandia e i paesi del Nord Europa come Olanda e Germania, con i dovuti limiti, si contraddistinguono positivamente per la loro offerta sul tema. La Finlandia, tra le priorità, ha messo il tema della conciliazione nel suo Piano d’azione per la parità di genere 2016-2019. Inoltre, come abbiamo visto, per gennaio 2020 è prevista una nuova legge sul tema della flessibilità.

Anche nei Paesi Bassi il tema appare piuttosto rilevante e, dal 2017 in poi, ci sono stati aumenti strutturali di bilancio nelle politiche familiari destinati ad incrementare pure nel 2020. Il rapporto ANPAL mette in evidenza anche come, dal 2015 in poi, in Germania, il tema della conciliazione sia diventato centrale nel dibattito delle politiche pubbliche e si stia puntando, attraverso l’introduzione di norme sia statali che sociali mirate, al dual earner-carer model: un modello che si sostanzia per una parità di genere nella gestione delle cure familiari e del lavoro (ANPAL 2019).

Anche l’Italia ha posto l’attenzione sul tema della conciliazione, come ci fanno notare i dati Eurostat. Questi rilevano una continua ascesa nella spesa per la protezione sociale a favore delle famiglie, passando da poco meno di 18 milioni nel 2008, a più di 30 milioni nel 2017 (Eurostat 2017). Tuttavia il nostro Paese è storicamente connotato per un’asimmetria nella divisione dei ruoli all’interno della coppia e, a differenza della Germania, la svolta culturale-sociale sembra piuttosto lontana. Questo a causa di un modello familista di welfare piuttosto radicato, caratterizzato per un’offerta di servizi pubblici di cura ridotta e l’attribuzione di responsabilità diretta alla famiglia (Da Roit & Sabatinelli 2005). Inoltre, l’Italia, si è classificata all’ 82° posto su 144 fra i Paesi presi in considerazione nel Rapporto globale sul gender gap del 2017 in merito alla parità di genere in ambito lavorativo, prodotto dal World Economic Forum, organizzazione internazionale per la cooperazione pubblico-privato.

Ad ogni modo, si può dire in generale che: in Europa, sia a livello comunitario sia nazionale, nonostante la strada da percorre sia ancora in salita soprattutto per alcuni Paesi, si sta sempre più cercando di porre l’accento sulla conciliazione e sul gender equality.

Riferimenti bibliografici

ANPAL (2019), “Conciliazione vita lavoro: sviluppo di policy analisi comparata internazionale”, Collana biblioteca ANPAL n.9, Roma

B. Da Roit, S. Sabatinelli (2005), “Il modello mediterraneo di welfare tra famiglia e mercato”, Stato e Mercato

Eurofound (2017), European Quality of Life Survey 2016: Quality of life, quality of public services, and quality of society, Publications Office of the European Union, Luxembourg

Eurofound & International Labour Office (2017), “Working anytime, anywhere: The effects on the world of work”, Publications office of the European Union (Lussemburgo) e International Labour Office, Ginevra

Eurostat (2017), “Tables by benefits – family/children function”

Eurostat (2018), Statistiche dell’occupazione

Nordiclaw, “New Working Hours Act of Finland enters into force I January 2020”

F. Razetti, F. Maino, V. Santoni (2019), “Una sfida quotidiana, un equilibrio instabile. La conciliazione famiglia-lavoro per le imprenditrici del terziario in provincia di Varese”, Percorsi di secondo welfare

Rebalance final report (2019) “Strategie sindacali e buone pratiche per promuovere la conciliazione tra tempi di lavoro e di vita”

World Economic Forum (2017), “The global gender gap report”, Ginevra