La riforma delle politiche attive del lavoro è stata descritta da molti commentatori attraverso la metafora della "terza gamba del Jobs Act" (la prima è quella relativa alla liberalizzazione dei contratti di lavoro, la seconda alla riforma degli ammortizzatori sociali), segnalandone da un lato la salienza, dall’altro il rischio di disequilibrio del sistema qualora tale "terza gamba" non dovesse svilupparsi o risultasse eccessivamente debole.
A due anni dall’introduzione dei contratti a «tutele crescenti», il cambiamento delle politiche attive del lavoro in Italia appare ancora lontano dall’essersi realizzato. Al di là degli annunci, la concreta realizzazione delle norme adottate presenta infatti un ritardo significativo. Le novità introdotte sembrano comunque rilevanti.
L’assegno di ricollocazione per la disoccupazione
Prima fra queste – soprattutto per via del suo carattere simbolico – è il cosiddetto Assegno di ricollocazione (Adr). Introdotto dal decreto legislativo 150 nell’autunno 2015, l’Adr ha dovuto attendere i primi mesi del 2017 affinché la sua sperimentazione venisse avviata. Tale assegno prevede che i disoccupati da più di 4 mesi, percettori dell’indennità di disoccupazione (Naspi), possano spendere un voucher per l’acquisto di servizi di assistenza alla ricollocazione presso un centro per l’impiego (Cpi) o un’agenzia privata accreditata a livello regionale o nazionale.
L’ammontare dell’assegno non è fisso, ma dipende dal profilo del beneficiario e dell’esito finale delle misure di attivazione e di ricerca di occupazione. In caso di collocamento del disoccupato, l’assegno riconosce al prestatore dei servizi selezionato un importo variabile a seconda della tipologia contrattuale del nuovo rapporto di lavoro posto in essere (a tempo indeterminato o a termine) e del profilo di «occupabilità» della persona assistita. Questo ultimo viene individuato tenendo in considerazione un insieme di caratteristiche sia individuali, sia territoriali associate alla persona in cerca di occupazione che sono elaborate attraverso un software (profilazione quantitativa) e successivamente affinate grazie a una valutazione qualitativa (un colloquio) ad opera di un operatore del centro per l’impiego. Il coefficiente di occupabilità può variare da zero, quando la persona appare facilmente collocabile nel mercato del lavoro, a uno nei casi di maggiore difficoltà ed è aggiornabile ogni tre mesi.
L’importo dell’assegno di ricollocazione in caso di successo occupazionale è determinato da una specifica formula che soppesa il valore specifico dell’indicatore di occupabilità con il tipo di contratto di lavoro attivato. A titolo esemplificativo si riportano gli importi minimi e massimi dell’assegno (tabella 1).
Tabella 1. L’ammontare dell’assegno di ricollocazione – valori in euro
Tipologia contrattuale | Importo minimo Adr (profilo elevata occupabilità) | Importo massimo Adr (profilo bassa occupabilità) |
Contratto a tempo indeterminato (compreso apprendistato) | 1.000 | 5.000 |
Contratto a termine ≥ sei mesi | 500 | 2.500 |
Contratto a termine tra tre e sei mesi (solo per le regioni "meno sviluppate") | 250 | 1.250 |
Fonte: Anpal.it
Come è possibile osservare nella tabella 1, l’ammontare dell’assegno varia da un minimo di 250 euro a un massimo di 5000 euro. Ricollocare una persona con un contratto a tempo indeterminato piuttosto che a termine accresce del doppio il valore del voucher, mentre per le regioni "meno sviluppate" (vale a dire Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia) è comunque riconosciuto ai servizi un compenso anche a fronte di ricollocazioni tramite contratti a termine di breve durata (tra i tre e i sei mesi). Viene inoltre presa in considerazione anche la durata effettiva del rapporto di lavoro posto in essere. Se un contratto di lavoro è infatti avviato, ma il rapporto viene reciso prima della durata minima richiesta (pari a un anno per i rapporti a tempo indeterminato e sei mesi o tre mesi per i contratti a termine), è previsto il recupero del totale (se meno di tre mesi) o di una parte (tra il 75 e il 50 per cento dopo il quarto mese) delle somme erogate dal voucher.
L’orientamento di fondo è dunque quello di favorire la remunerazione a risultato, premiando il raggiungimento dell’obiettivo occupazionale e non la sola erogazione di un servizio, come già previsto per l’implementazione della Garanzia Giovani. È comunque riconosciuta una quota del valore massimo di circa 106 euro per utente anche nel caso di mancata ricollocazione (sistema denominato "FEE4services"). L’importo è tarato sulla base di un presunto carico lavorativo di almeno 3 ore per un costo orario di 35,5 euro (parametro già utilizzato nel programma Garanzia giovani con riferimento all’orientamento specialistico). Tale importo non viene erogato automaticamente, ma solo a seguito del superamento di una soglia minima di successi occupazionali che la singola sede operativa di un servizio pubblico o privato deve aver raggiunto nei precedenti sei mesi. Anche tale soglia è flessibile e si adatta alle caratteristiche di contesto dal momento che è pari al 110% della quota di percettori della Naspi che per provincia hanno trovato una nuova occupazione nell’intervallo di tempo tra i 5 e gli 11 mesi di fruizione dell’indennità di disoccupazione (per le regioni meno sviluppate i criteri di superamento della soglia sono meno elevati).
In sintesi, il meccanismo di remunerazione del voucher, sulla scorta dell’esperienza della Garanzia giovani, della dote lavoro lombarda e di alcuni esempi stranieri, è stato tarato al fine di contenere effetti di scrematura tali per cui l’attenzione dei servizi al lavoro si concentra solo sulle persone più facilmente inseribili nel mercato del lavoro, nonché per evitare che le risorse dell’assegno finiscano con il finanziare solo «attività d’ufficio» prive di qualche concreta e positiva ricaduta.
La gestione dell’assegno
I destinatari dell’assegno non saranno tutti i disoccupati, ma una platea più ristretta di beneficiari della Naspi da almeno 4 mesi. Il fatto che l’assegno non venga rilasciato immediatamente al titolare di un assegno di disoccupazione è comprensibile alla luce del fatto che le risorse per l’assistenza intensiva dovrebbero essere indirizzate verso quegli utenti che presentano maggiori difficoltà e per i quali il protrarsi di una situazione di disoccupazione aumenta il rischio di rimanere intrappolati in tale condizione. Allo stesso tempo, la scelta di riservare la misura ai soli percettori della Naspi esclude di fatto coloro i quali non possiedono sufficienti requisiti contributivi perché non possono vantare precedenti esperienze lavorative (ad esempio i lavoratori più giovani o con limitate esperienze) o perché hanno esaurito la possibilità di usufruire dell’assegno di disoccupazione (la cui durata è tarata in funzione dei contributi versati).
Dal punto di vista operativo, il percettore della Naspi che può utilizzare l’assegno dovrà fare domanda presso il Cpi competente, scegliendo contestualmente la sede operativa del soggetto pubblico o privato che realizzerà il servizio di assistenza alla ricollocazione. Il Cpi una volta ricevuta la richiesta presentata in via telematica ha sette giorni di tempo per effettuare le opportune verifiche ed eventualmente negarlo. Trascorso tale termine l’Adr è rilasciato automaticamente all’interessato (principio del silenzio-assenso) e viene definita una data di appuntamento tra il lavoratore e il soggetto erogatore dei servizi. Questo ultimo, entro quattordici giorni dal primo appuntamento, dovrà individuare un tutor ed elaborare un "programma di ricerca intensiva" sospendendo il patto di servizio personalizzato eventualmente già sottoscritto con il Cpi dal lavoratore. Il programma di ricerca intensiva e l’insieme delle attività previste devono obbligatoriamente essere registrate sul sistema informativo unitario che ne permette la verifica e la stampa. Il servizio di assistenza intensiva si intende concluso trascorso il termine di 180 giorni fatte salve eventuali proroghe. Il beneficiario può inoltre decidere di cambiare il soggetto erogatore una volta sola durante la fase propedeutica e di predisposizione del programma di ricerca intensivo (ma non dopo che tale programma è stato perfezionato).
I soggetti erogatori, come abbiamo precisato, possono essere anche privati accreditati a livello nazionale per i servizi di assistenza intensiva alla ricerca di un’occupazione e, in via sperimentale, a livello regionale. Inoltre nelle regioni "meno sviluppate" e in quelle "in transizione" possono essere creati da parte gli operatori accreditati a livello nazionale degli "sportelli temporanei territoriali" che, a fronte della predisposizione di postazione attrezzata per l’accesso ai servizi telematici e la privacy degli utenti, potranno erogare servizi di ricevimento e di assistenza intensiva. Lo scopo di tale disposizione è allargare la platea dei soggetti erogatori proprio in quelle regioni in cui la presenza di servizi privati appare più limitata seppur a fronte di maggiori criticità del contesto economico e sociale.
L’Anpal e la sperimentazione di misure nazionali di politica attiva
Due ulteriori novità connesse all’introduzione dell’assegno di ricollocazione sono degne di attenzione. La prima è che tale assegno si configura come misura di politica attiva del lavoro che potenzialmente interessa l’intero territorio nazionale e dunque non come una delle numerose iniziative di attivazione avviate solo da qualche territorio. L’assegno è gestito dalla neo-istituita Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal) che ha il compito di coordinare la gestione delle politiche attive del lavoro "fornendo alle regioni strumenti comuni […], nonché la capacità dell’amministrazione centrale di monitorare e valutare le performance territoriali, innescando meccanismi di competizione virtuosa e prevedendo la possibilità di azioni di accompagnamento per i territori meno competitivi" (sito Anpal).
Sulla scorta di quanto il governo aveva cercato di realizzare con la Garanzia giovani (programma ben più complesso dell’assegno di ricollocazione che avrebbe dovuto essere coordinato a livello centrale da una «struttura di missione» compartecipata dalle regioni), anche in questo caso si tratta di un tentativo di dare maggiore sistematicità e uniformità agli interventi di politica attiva da realizzare sull’intero territorio nazionale. L’esito del referendum costituzionale che, se approvato, avrebbe comportato la ri-centralizzazione delle politiche attive del lavoro come competenza esclusiva in capo allo Stato, ha inciso sul contesto in cui l’Anpal deve operare. L’Agenzia si ritrova infatti, a detta di molti commentatori, in una situazione che rende complessa la possibilità di assicurare un’efficace regia di funzioni, quali il governo dei servizi per l’impiego e delle politiche di attivazione, che continuano a spettare sostanzialmente alle regioni, senza il cui consenso non è possibile di fatto operare. Allo stesso tempo, l’Anpal nei suoi primi mesi di vita sembra volere comunque proseguire la missione di uniformizzazione e accentramento delle politiche attive che aveva ispirato, al di là del dato normativo, la sua nascita. Ne sono un esempio il parziale favor riservato agli operatori accreditati a livello nazionale (novità introdotta assieme all’Anpal dal decreto 150/2015), la messa a punto di un sistema di profilazione dell’utenza e di gestione delle informazioni unico a livello nazionale (come già suggerito dall’esperienza della Garanzia giovani), nonché il fatto che la nuova Agenzia gestisca le principali risorse finanziarie per la realizzazione delle politiche attive del lavoro precedentemente poste in capo al Ministero del lavoro. In altre parole, ciò che è possibile osservare perlomeno in nuce è un fenomeno di "agenzificazione" e "centralizzazione" delle politiche attive del lavoro italiane.
Una seconda novità riguarda il fatto che l’introduzione dell’assegno di ricollocazione avverrà su base sperimentale, riservandolo in una prima fase a un campione di circa 30.000 disoccupati estratti a sorte a partire da uno stock di potenziali destinatari comunicati dall’Inps. L’aspetto positivo concerne la possibilità di realizzare una vera e propria valutazione controfattuale al fine di testare e possibilmente affinare uno strumento di policy (una pratica che dovrebbe avere maggiore diffusione in Italia).
Ciò nonostante, l’avvio di tale sperimentazione potrebbe essere dovuta anche alla penuria di risorse investite, circa 32 milioni per 20.000-30.000 persone, a fronte di una platea di 1.127.000 percettori di Naspi da più di 4 mesi, secondo le stime dell’Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro riferite al 2015. L’aspetto più preoccupante non è comunque solo il limitato investimento nei confronti di uno strumento che si vuole ancora sperimentale, quanto le scarse risorse che vengono destinate ai servizi per l’impiego nel loro insieme. A fine 2016, lo Stato e le regioni hanno trovato un accordo sul riparto delle spese stanziando per il 2017 un totale di 255 milioni (di cui 85 milioni da parte delle regioni) per far fronte alla copertura degli oneri di funzionamento. Si tratta di una cifra superiore a quella messa a disposizione nel precedente biennio 2015-16 (210 milioni di euro), ma pur sempre molto lontana dagli standard nazionali di Germania o Francia.
Il "nodo" delle risorse
Il problema della mancanza delle risorse è stato al centro anche di recenti mobilitazioni da parte dei sindacati confederali che già nello scorso autunno lamentavano la situazione di «tracollo» che interessa questo importante servizio pubblico. Tra gli aspetti più rilevanti si segnala soprattutto la mancata stabilizzazione del personale a tempo determinato che da tempo lavoro presso per i Cpi, il cui ruolo appare indispensabile anche a fronte degli accresciuti compiti e dell’accresciuta utenza dei servizi pubblici per l’impiego in questi ultimi anni.
In conclusione, il nodo delle risorse umane e finanziarie rimane centrale. La stessa Anpal nelle sue azioni future si propone di realizzare per gli anni 2017-2020 un piano per il rafforzamento dei servizi per l’impiego al fine di concorrere al raggiungimento dei livelli essenziali delle prestazioni. Tale piano prevede il reclutamento di 1.000 persone aggiuntive, che verranno possibilmente assunte sulla base di esperienze professionali sviluppate nel settore, alla quale si sommeranno anche 600 operatori destinati alle azioni di inclusione sociale. Si tratterebbe di un piccolo passo in avanti, anche se non sufficiente e dalla realizzazione ancora incerta. Se non si pone rimedio a questa situazione, i disoccupati si troveranno nella situazione paradossale di dover richiedere l’erogazione dei nuovi servizi di assistenza intensiva per la ricerca di un lavoro a un personale di centri per l’impiego composto da numerosi precari.
Nel frattempo si cerca di colmare gli inadeguati investimenti nei servizi pubblici aprendo ai privati e cercando di estendere la rete degli operatori. Tale apertura può innescare dinamiche positive e logiche di sana sinergia o anche competizione tra attori. Sullo sfondo rimane però il serio rischio di una dequalificazione della componente pubblica, a fronte di un eventuale sviluppo di quella privata che, in ogni caso, difficilmente potrà avvenire senza l’apporto di un consistente capitale pubblico, come mostra l’esempio di alcune esperienze internazionali.