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Rivista Solidea, pubblicazione curata dall’omonima Società di Mutuo Soccorso, a gennaio del 2019 ha pubblicato un numero speciale in cui alcuni autori ed esperti propongono il loro punto di vista su tematiche di massima attualità come il lavoro, la cooperazione, le migrazioni, la mutualità, i beni comuni. Di seguito vi proponiamo il contributo scritto da Giovanni Ferrero, presidente ISMEL, il quale propone alcuni spunti da cui partire per affrontare uno dei maggiori problemi del nostro Paese: la disoccupazione giovanile.

Siamo, in Europa, uno dei Paesi con il più basso tasso di giovani laureati, e con il più alto tasso di disoccupazione tra i laureati. Nel Mezzogiorno, il tasso di occupazione delle donne laureate è analogo a quello del Nord; ma quando si comparano le persone dotate di diploma, al Sud le cose vanno un po’ peggio. La differenza diventa drammatica quando si comparano le donne con basso livello di scolarità: la loro possibilità di trovare lavoro nel Mezzogiorno d’Italia è vicina allo zero. Inoltre, il rapporto di lavoro è incerto, carente di prospettiva o si svolge in ambiti estranei al processo formativo.

Lo spostamento degli occupati dal settore industriale a quello dei servizi non è in sé negativo. Si tratta, però, per lo più di terziario a basso contenuto di qualificazione, che è da un lato sottoposto a continua concorrenza da parte del lavoro svolto nei Paesi in via di sviluppo, e dall’altro ritenuto accettabile soltanto per i nuovi immigrati.


Leggere e raccontare una crisi

Il Nord-Ovest, la città di Torino, vive questo fenomeno con particolare drammaticità, simile a quanto avviene nel Mezzogiorno d’Italia. Dati aggiornati sono frutto di un importante lavoro di ricerca voluto e coordinato da Mauro Zangola. Disponibile a questa pagina, cliccando su Ricerca. È un documento che merita una attenta lettura e riflessione. Molti giovani trovano lavoro qualificato all’estero, ma non si assiste a un analogo flusso di competenze da altri Paesi europei verso l’Italia. Il calo demografico, il crescente invecchiamento della popolazione, è solo parzialmente compensato dall’arrivo di giovani immigrati dall’Est Europa e da Paesi extraeuropei.

È sensazione diffusa che i giovani immigrati costituiscano un grave problema; in realtà siamo uno dei Paesi in Europa meno coinvolti da flussi migratori, e comunque non sono i giovani immigrati a portar via il lavoro ai giovani italiani. Sono mercati del lavoro diversi. La crisi, quindi, ha componenti serie e strutturali: non c’è carenza di lavoro perché ci sono troppi giovani che lo richiedono, ma ci sono troppi pochi giovani che, puntando i piedi, chiedono un radicale mutamento delle politiche economiche nel nostro Paese.

La diminuzione degli oneri sul lavoro dipendente sui giovani neoassunti ha prodotto discreti risultati nell’immediato. L’effetto non è sopravvissuto al venir meno delle misure di sostegno. Il mantenimento di queste misure a tempo indeterminato comporta oneri rilevanti per il bilancio dello Stato, come qualunque misura di sostegno del reddito. Chiedere per Torino la dichiarazione di area di crisi complessa non suscita nuove energie imprenditoriali e si colloca in continuità con le iniziative volte a frenare la crisi, ma incapaci di invertire le negative tendenze in atto.

Massima complessità normativa, massima incertezza nel diritto

Una parte della crisi economica del nostro Paese deriva dal fatto che noi abbiamo la più complessa e articolata normativa in Europa, e al contempo la massima incertezza nel diritto. Una società sempre più complessa, ricca di innovazione e di spunti richiede un patto di fiducia tra i cittadini ed è incompatibile con l’idea di farsi giustizia da sé. Molte occasioni di interventi strutturali sono state perse in passato, anche in quello più recente, provocando l’aggravarsi della crisi e gravi danni all’economia e alla nostra società.

Quando con la legge Fornero si è elevata l’età pensionabile delle donne, si è generato un beneficio per le casse della previdenza di 4 miliardi di euro. Con una parte dei risparmi sarebbe stato possibile costruire nel Mezzogiorno del nostro Paese dei percorsi formativi specifici per favorire l’accesso al lavoro delle donne; si sarebbero anche potuti costruire incentivi strutturali per favorire l’insediarsi di nuove attività, per elevare il livello qualitativo dei servizi, per sostenere le donne che lavorano nell’arduo impegno di conciliare lavoro e famiglia (a questo proposito si vedano gli scritti di Linda Laura Sabbadini, ricercatrice Istat).

Il futuro richiede un atto di fiducia

Si deve, con coraggio, trasformare in investimenti i risparmi delle famiglie e degli imprenditori, così i nostri figli, tutti i giovani in questo Paese, avranno concrete possibilità di lavoro. Il ritorno non sarà a breve. La trasformazione dei sistemi sociali ed economici è lenta, e quindi il ritorno degli investimenti o è immediato e speculativo, ma in questo caso aggrava la situazione strutturale, o deve accettare di essere paziente, accettare tempi più lunghi: il futuro richiede un atto di fiducia.
 


Creare nuova ricchezza richiede nuove forme di solidarietà
La creazione di nuova ricchezza ha bisogno di nuove forme di solidarietà tra persone e tra generazioni. Non c’è ragione perché continui ad aumentare il ventaglio salariale: non hanno senso i 900 contratti collettivi di lavoro presenti nel nostro Paese. Si possono immaginare lavori utili, con una componente formativa significativa, che permettano alle persone una vita dignitosa e, nel contempo, che le lascino libere di coltivare interessi e passioni che possano far loro conseguire, con il passare del tempo, un miglioramento delle condizioni di vita. La fine del fordismo apre una fase di transizione; dobbiamo ricostruire su basi nuove la ridistribuzione del reddito che è sempre più generato dal lavoro delle macchine. È quindi molto probabile che molti dei lavori attuali siano condannati a sparire.


Sostegno all’innovazione… all’estero
Uno dei settori più importanti nell’evoluzione delle tecnologie connesse alla mobilità è quello del controllo elettronico di potenza, indispensabile per il controllo di organi meccanici. Il governo austriaco investe 140 milioni di euro per sostenere la ricerca in questo settore. Il laboratorio di ricerca e sviluppo della Infineon (ex Siemens) impiega in Austria ben più di mille laureati. Più di metà sono italiani, laureati brillanti delle nostre università. Il nostro Paese ha investito, per formare ciascuno di loro, ben più di 500.000 euro, un totale cioè di 300/400 milioni di euro. Ovviamente i fondi europei vanno in Austria, e noi ci lamentiamo perché diamo all’Europa più di quanto versiamo. Lo CSELT di Torino, il Centro di ricerca della Telecom Italia che impiegava un numero analogo di laureati, è stato prima cambiato di nome e poi svuotato di larga parte delle sue funzioni (e del suo personale). Era l’unica possibilità? Siamo certi di aver fatto un buon affare?


È fondamentale una discussione trasparente sulle finalità da perseguire e sulle modalità attraverso le quali si intende giungere alla meta, abbandonando pratiche di sostegno all’economia che hanno rallentato la crisi, ma non creato sviluppo. Si tratta di utilizzare i nostri punti forti come leva per politiche che costruiscano spazi di lavoro per i giovani, offrendo loro un ruolo nel governo del processo.

Il numero di iscritti degli Atenei piemontesi è cresciuto, nonostante i finanziamenti statali continuino a essere sostanzialmente ancorati a parametri storici ormai anacronistici. Quindi, si è creato un sistema sociale attivo e positivo fatto a Torino di più di 100.000 giovani studenti universitari che, in qualche modo, hanno ritenuto di individuare qui una opportunità importante per la loro formazione. Dobbiamo fare in modo che rimangano dopo la laurea, riprendano con orgoglio la capacità di riprogettarsi che questa città ha avuto dopo ogni crisi del passato. Questi giovani, in larga parte non nati a Torino, costituiscono insieme agli immigrati una straordinaria risorsa.

Le attività possibili devono essere individuate in quei settori in cui è possibile aumentare la conoscenza incorporata nei prodotti e nei servizi; settori che sostanzialmente manipolano informazione e che richiedono un investimento per addetto relativamente basso. Non a caso, abbiamo punte di eccellenza nel campo della meccatronica, e nell’agroalimentare.

Si può estendere questa logica ai servizi alla persona, che sono quelli nei quali è più forte l’impatto positivo delle moderne tecnologie, dalla cosiddetta medicina di precisione, alla ricerca sulla materia vivente, alla cura e al sostegno degli anziani. La discussione sulla Città della Salute dovrebbe concentrarsi su quali reti, costruire tra università e imprese che operano nel campo della salute, per valorizzare la storia incorporata nel nostro territorio dall’industria avanzata, dall’accademia, di volontariato e di servizi sociali innovativi.

Lo sviluppo non si compra già confezionato

Si potrebbe dare priorità al riutilizzo dei capannoni abbandonati, fermando l’erosione del terreno agricolo: così facendo, si riduce il costo dell’insediamento di nuove attività, preservando l’ambiente, ed accelerando i tempi delle procedure. In generale, non ha senso continuare a mantenere spazi vuoti nella presunzione che il reddito atteso sia quello dei periodi in cui più alta era la speculazione sugli immobili.

Questo vale anche per gli immobili di proprietà pubblica: perché non si definisce il ritorno atteso dell’utilizzo di uno spazio in termini di piano di ammortamento a 20 o 30 anni, dando per scontato che, all’inizio, l’utilizzo di un bene immobiliare per intanto ne blocca il degrado? Già questo è un beneficio per il proprietario, il canone di locazione può essere differito e modulato come forma di compartecipazione all’investimento.

In sostanza, si tratta di individuare le aree a maggior contenuto di innovazione, rafforzarle e avviare attività che siano con queste contigue. Lo sviluppo non si compra bell’e fatto in un posto e si trasporta in un altro. Lo sviluppo è la modificazione della rete sociale sottostante alla produzione di beni e servizi e al loro consumo. Lo sviluppo di attività di eccellenza è, in generale, solo una parte dell’occupazione complessiva di un territorio.

Nei periodi di massimo sviluppo delle tecnologie informatiche, ogni occupato nei settori ad alta tecnologia portava, in California, cinque o sei occupati in settori “marginali”. Molti lavori qualificati sono possibili, e necessari, in settori che vanno oltre la tecnologia, almeno di quella dell’industria dell’Ottocento.

Un’economia basata sulla conoscenza ha bisogno di creatività artistica, dei valori che il nostro Paese esprime nelle sue opere d’arte, nei suoi monumenti, nei suoi paesaggi, nei suoi archivi. Chi nasce in Italia respira naturalmente un livello di cultura originale e irripetibile, indispensabile per dare forza a un mondo che richiede tanta immaginazione e un grande amore per il bello.

Investire per offrire concrete opportunità di lavoro ai giovani

Ogni fase di sviluppo ha cancellato una parte dei lavori della fase precedente, e ne ha rivitalizzati altri arricchendoli e inserendoli in un nuovo contesto più creativo. Dobbiamo cioè immaginare dei lavori che utilizzino le macchine, l’intelligenza che esse sempre più incorporano in se stesse e nel loro connettersi in rete. Lavori che siano in qualche misura a prova di robot. Forse l’evoluzione delle macchine porterà alla cancellazione del lavoro; forse nuove attività impegneranno le generazioni future.

Ci vuole tempo per produrre scienza, conoscenza, paradigmi interpretativi del mondo da introdurre nelle macchine che, diventate intelligenti, chiederanno sempre nuovo cibo intellettuale. Altro tempo richiederà il governo di reti di macchine, dei processi di redistribuzione della ricchezza generata, molto tempo verrà assorbito dal lavoro necessario per formulare un’etica forte per individui sempre più liberi di perseguire la loro felicità.

La fine del lavoro così come è tradizionalmente inteso sposta il nostro agire sempre verso livelli ulteriori: già l’attuale società di reti, di big data, di intelligenza artificiale pone problemi etici e di governo che non possono essere banalizzati.

Qui sta la ragione più profonda che deve convincere tutti noi a fare un ragionevole atto di fiducia per il futuro, a offrire concrete opportunità di lavoro ai giovani, dando fondo a risparmi che sono conservati per far fronte ai tempi peggiori. È molto più ragionevole spenderli per costruire tempi migliori. Ma è certo che l’attuale disoccupazione dei giovani non è l’Angelo che annuncia un Paradiso prossimo in cui lo sviluppo delle macchine, di per sé, ci libererà dal lavoro.

 


Giovani qualificati nella pubblica amministrazione
Da parte di alcuni serissimi studiosi, di diverso orientamento politico e culturale, viene da tempo suggerita l’introduzione di una tassa patrimoniale avente lo scopo di permettere l’assunzione stabile di giovani qualificati nella Pubblica Amministrazione. Innanzitutto perché bisogna dire, sfatando un luogo comune, abusato quanto falso, che i dipendenti pubblici in Italia sono meno di quelli di altri Paesi europei, sia in rapporto al PIL che in rapporto alla popolazione. Il Comune di Torino ha oggi 8000 dipendenti, metà del numero massimo raggiunto in passato, con un’età media di 55 anni. Vedi www.propostaneokeynesiana.it/index.php, sito accessibile anche dalla home page di www.ismel.it. Dunque: nuovi giovani in Comune sono indispensabili per una ripresa dei servizi, che richiedono nuove strutture organizzative interdisciplinari, in uno Stato moderno che è componente essenziale dello sviluppo economico. Oggi il rapporto con la Pubblica Amministrazione è invece paventato con terrore dalla maggioranza degli operatori economici, che vivono non soltanto con fastidio le imposizioni del diritto, ma che constatano ogni giorno l’incertezza, la aleatorietà, sovente l’impotenza della pubblica amministrazione.