4 ' di lettura
Salva pagina in PDF

Il fatto che una città del Sud sia stata scelta come la Capitale Europea della Cultura per il 2019 è sicuramente una grande notizia, una bella soddisfazione per chi ci ha creduto e ha lavorato per questo ambizioso obiettivo. Dunque, complimenti anzitutto alla città per le energie positive che è riuscita a sprigionare, per il grande lavoro di rete e di relazioni, per la capacità di avere dato forma e sostanza ad un “sogno” già prima che questo si realizzasse. Da quanto si apprende dai giornali, la commissione internazionale ha espresso forte apprezzamento per il livello delle sei proposte finaliste, tra cui figurano altre due realtà del Sud come Lecce e Cagliari, giudicandolo alto e di valore, addirittura superiore rispetto alle precedenti competizioni. Un altro motivo per sottolineare l’eccezionalità della notizia in uno scenario, come l’Italia di questi ultimi anni, segnato, proprio sul fronte dei grandi appuntamenti, da sciagurate avventure all’armata Brancaleone con l’aggravante che i nobili fini – nel nostro caso l’interesse pubblico e del territorio – siano stati sostituiti da altri obiettivi e interessi particolaristici quando non da pratiche di malaffare. 

Una notizia che, però, non ha trovato un’enfasi adeguata, soprattutto sulle testate meridionali. Una notizia che, in alcuni, casi non è andata neanche in prima pagina; in generale ci si è limitati ad un articolo di cronaca seguito, non sempre, dai classici e doverosi commenti di rito. L’apertura di un polo industriale al Sud avrebbe avuto sicuramente un impatto mediatico più forte. Noi stessi, parlo da meridionale, siamo vittime, spesso inconsapevoli, di una trappola culturale per cui al termine sviluppo associamo solo determinati interventi. Una nuova fabbrica crea occupazione, genera ricchezza, “porta” sviluppo. Anzi, ora si fa riferimento alla “crescita”. L’idea che lo sviluppo debba seguire lo stesso percorso (fallimentare) sperimentato troppi decenni fa e per troppo tempo al Sud è ancora viva e presente.

Il caso di Matera è esattamente il contrario, nessuno “porta” nulla ma il territorio stesso è occasione di sviluppo. Quali sono oggi le chance di un’area caratterizzata da disgregazione sociale, mancanza di una robusta cultura delle regole e delle responsabilità (politiche), che depaupera le sue energie migliori e non investe sul futuro, di “attrarre” investimenti? Basta vedere i dati, clamorosi, sulle politiche e i servizi all’infanzia, sulla dispersione scolastica, sulla (in)capacità di attrarre talenti, oltre a quelli che riguardano la corruzione, il clientelismo, la criminalità organizzata; fattori che si autoalimentano e che al massimo scoraggiano qualcuno a fare degli investimenti. Chi ha la fortuna di girare il Sud e di conoscerlo dal suo lato migliore – quello di chi si mette in gioco, di chi segue percorsi di legalità e di cittadinanza attiva, di innovazione, di inclusione, di rete, di presa in carico e valorizzazione dei beni comuni – probabilmente non è rimasto “stupito” dal risultato di Matera. Questo infatti è il frutto di una pratica ormai diffusa in molte realtà meridionali che possiamo definire di “progressivo ribaltamento” del paradigma dello sviluppo, in cui il sociale (dal welfare alla cultura) non è più un appendice dello sviluppo economico, da riattivare in tempi di prosperità, bensì è esattamente alla base di tale processo, ne è una precondizione.

Perché alcune città come Napoli, Reggio Calabria, Palermo, Taranto pur avendo un enorme patrimonio di ricchezze culturali e naturali non erano tra le città finaliste e, in alcuni casi, non sono state neanche candidate? E altre come Lecce e Matera si? E’ un caso che questi ultimi due centri sono stati nella storia recente lontani dai disegni della grande industria, dalle sfrontate manovre dell’offerta (che “porta” lo sviluppo) calata dall’alto e vista come la manna? Alcuni hanno commentato il successo lucano associandolo ad una grande verità di fondo, ovvero quella del passaggio ideale dalla stagione della vergogna alla stagione dell’orgoglio. Le due realtà lucane e salentine, infatti, sono riuscite, in un tempo relativamente breve, a convertire i simboli della vergogna, i sassi e la taranta, in simboli di riscatto, di valorizzazione culturale e di sviluppo locale. Parliamo dunque di percorsi di sviluppo che fanno leva sulla qualità del contesto, sulla capacità di “essere” una comunità, di avviare relazioni e di immaginare insieme uno sviluppo del territorio. Le difficoltà e le criticità tipiche meridionali, ovviamente, restano come in altre realtà del Sud.

E’ una considerazione che posso fare anche da un osservatorio privilegiato come la Fondazione CON IL SUD, che mi ha permesso di conoscere più da vicino un mondo, al Sud, fatto di associazioni, cooperative, giovani, innovatori, che rappresenta una grande spinta propulsiva. Un mondo del terzo settore che è stimolato proprio dalla Fondazione a sperimentare modelli e buone pratiche attorno al tema della coesione sociale legata allo sviluppo. In otto anni sono state sostenute 500 iniziative, dal contrasto alla dispersione socialistica alla valorizzazione dei beni comuni (ambiente, cultura, beni confiscati alle mafie) alla promozione del welfare di comunità, coinvolgendo 5 mila organizzazioni (80% non profit, 20% scuole, enti pubblici e privati). Un patrimonio di esperienze che mi fa dire che il contesto sociale, parlando di sviluppo oggi, è fondamentale.

Nel caso specifico di Matera la Fondazione CON IL SUD ha sostenuto una ventina di “progetti esemplari” che hanno messo in rete realtà del terzo settore e del volontariato con scuole, università, enti locali, privati e cittadini, concorrendo al rafforzamento della coesione sociale e creando un contesto favorevole. Penso al suggestivo Distretto culturale dell’Habitat Rupestre, al progetto U’Mest per la valorizzazione degli antichi mestieri, alle iniziative di tutela ambientale, agli interventi per l’integrazione socio-lavorativa dei disabili e di promozione del volontariato. Penso ai loro percorsi e alle tante associazioni che, direttamente o indirettamente, hanno contribuito a rendere Matera una Capitale Europea della Cultura e spero che questo riconoscimento sia molto contagioso. Lo spero per quelle comunità che hanno intrapreso un percorso analogo di consapevolezza dei propri mezzi e di determinazione dello sviluppo. Lo spero per i media, che con l’occasione, potranno conoscere e dare maggiore rilevanza ad un importante pezzo di Italia e di Sud che sta già cambiando e che deve essere raccontato, molto di più e meglio.

Questo articolo è stato pubblicato anche su Corriere Sociale

Potrebbe interessarti anche:

Puntare sulla coesione sociale: un approccio diverso per affrontare i problemi del Sud

Il rilancio del Sud? Passa dalla società prima che dall’economia

Emergenza carceri: i progetti della Fondazione Con il Sud

Torna all’inizio