10 ' di lettura
Salva pagina in PDF

Per alcuni anni molti Paesi europei hanno strutturato e ampliato i sistemi di presa in carico degli anziani non autosufficienti. Poi la crisi economica, l’aumento della quota di anziani e la modificata struttura familiare hanno indotto dei ripensamenti del modello. E l’Italia, uno dei Paesi con maggior quota di anziani? La fase precedente, quella della strutturazione del sistema di cura, il nostro Paese l’ha praticamente saltata e, non a caso, si caratterizza quindi per evidenti distorsioni nella destinazione di risorse pubbliche, che non premia i meno abbienti e le persone in situazione di maggiore gravità. Come affronterà oggi questa nuova situazione? Di seguito vi proponiamo una breve analisi di Matteo Luppi, pubblicato sul numero 3/2016 di Welfare Oggi.


Un tratto comune: le riforme per una maggior sostenibilità

Negli ultimi decenni in Europa i sistemi di cura per gli anziani non autosufficienti sono stati caratterizzati da un trend divergente rispetto ai più consolidati settori di welfare. Nonostante le necessarie differenziazioni da Paese a Paese, in termini generali questi settori hanno per un certo periodo beneficiato di una crescente spesa pubblica, un continuo aumento di beneficiari e un ampliamento delle responsabilità pubbliche. Questa espansione è in parte spiegata dalla recente istituzionalizzazione di questi settori, o in altri termini dal recente riconoscimento delle cure alla popolazione anziana non autosufficiente come settore indipendente all’interno dei sistemi di welfare.

A partire dagli anni ’90, diversi Paesi europei, primi fra tutti i Paesi nordici, hanno iniziato ad introdurre servizi di natura sociosanitaria rivolti specificamente alla popolazione anziana non autosufficiente, modificando il precedente e tradizionale approccio basato su tre pilastri quali, il sistema pensionistico, il sistema sanitario e il supporto familiare.

Purtroppo il “periodo d’oro” dei sistemi di cura ha avuto vita relativamente breve. Un trend più recente accomuna la maggior parte dei Paesi europei e i sistemi di Long Term Care (LTC): l’introduzione di riforme volte alla riorganizzazione e riduzione della spesa pubblica dedicata a questi settori (Ranci e Pavolini, 2013). Come vedremo di seguito, oltre alla recente crisi economica e alle relative politiche di austerità, che rappresentano, in termini cronologici, l’ultimo argomento a supporto della riorganizzazione dei sistemi di LTC, le principali motivazioni alla base di questo periodo di riforme sono da imputare a due elementi di carattere socioeconomico: il progressivo invecchiamento della popolazione e la crescente partecipazione femminile nel mercato del lavoro.

L’invecchiamento della popolazione

Diversi studi evidenziano l’effetto che il futuro cambiamento della struttura demografica avrà sui sistemi di cura nazionali. In base alle stime fornite dalla World Bank nei prossimi 45 anni la popolazione mondiale passerà da 7,2 a 9,5 miliardi di persone. La variazione della fascia di popolazione più giovane sarà pari a un +8%, al contrario la coorte di popolazione più bisognosa in termini di cure, ovvero la popolazione anziana con più di 85 anni, aumenterà del 281%. L’Europa, e particolarmente l’Italia – secondo Paese più “vecchio” al modo dopo il Giappone – non sono esenti dal progressivo invecchiamento della popolazione.

Secondo le stime fornite dalla Commissione Europea (European Commision, 2015) rispetto alla totalità della popolazione anziana, tra il 2013 e il 2060, in Europa la quota di ultra ottantacinquenni passerà da poco meno di un terzo della popolazione al 41%, mentre in Italia questa quota raggiungerà poco meno del 50%. In termini di spesa pubblica la modificazione della struttura demografica comporterà, per quanto riguarda l’Italia, uno sforzo economico, che in base allo scenario previsionale utilizzato, porterà nel 2060 la spesa pubblica a oltre 3 punti di Pil.

I vincoli di comparabilità tra i diversi stati europei di queste previsioni non permettono un’accurata differenziazione tra capitoli di spesa (es. componente sanitaria e sociale). Nonostante ciò, è possibile osservare che, tra i gli scenari previsionali individuati, circa due terzi dell’aumento di spesa sono relativi all’incremento dei beneficiari per servizi formali sia domiciliari che residenziali. Tale aumento può risultare di difficile attuazione se si considera il recente andamento della spesa pubblica del sistema di LTC italiano: la costante crescita di spesa per trasferimenti monetari a discapito dei servizi formali (NNA, 2015).

Modificazione del tradizionale modello di cura 

Un ulteriore aspetto che ha portato all’introduzione di processi di riforma dei sistemi di LTC riguarda la riduzione della capacità di cura familiare. Specialmente nei Paesi mediterranei si sta assistendo a una modificazione del modello di cura basato sul ruolo della famiglia come principale fornitore di cure. La crescente partecipazione femminile nel mercato del lavoro, spinta anche dalla necessità di un doppio reddito per garantire il mantenimento economico familiare, ha comportato un’esternalizzazione della domanda di cura verso gli operatori pubblici o privati. Inoltre, il progressivo innalzamento dell’età pensionabile ha innescato un meccanismo similare che può influire sulla disponibilità di cura dei caregiver familiari, specialmente dei figli adulti, ovvero la difficoltà di conciliare cura e lavoro.

Questi fenomeni hanno generato un aumento della domanda di cura trasversale rispetto alle caratteristiche della popolazione anziana non autosufficiente.
In relazione a queste divergenti spinte, necessità di contenimen- to della spesa pubblica aggravata dai vincoli imposti dalla recente crisi economica, e aumento diretto – invecchiamento della popolazione – ed indiretto – riduzione delle cure familiari – della domanda di cura, diversi Paesi europei hanno introdotto riforme nei loro sistemi di LTC.

Come evidenzia l’OECD (2005, 82), un aspetto centrale di questi processi di riforma riguarda la questione della sostenibilità, non solo in riferimento alla spesa pubblica, ma anche, e soprattutto in relazione alle spese private richieste ai beneficiari e alle loro famiglie, basti pensare che, secondo le stime OECD, circa il 35% della spesa totale rivolta alla cura degli anziani in Italia è finanziata con spese private, e il crescente e vasto ricorso alle operatrici (migranti) di cura conferma quanto la dimensione privata sia fondamentale nel nostro Paese. In altri termini, il rischio evidenziato è una penalizzazione dei beneficiari sia in termini di riduzione nell’accesso ai ser- vizi di cura, che in termini di aumento delle spese private per fruire degli stessi servizi. Come vedremo nel paragrafo successivo, anche se guidate da necessità condivise, le riforme implementate (o le mancate riforme) nei vari Paesi variano sostanzialmente, così come variano sostanzialmente gli impatti e le conseguenze sui potenziali beneficiari.

Esperienze europee

Senza entrare nel dettaglio dei processi di riforma, operazione che richiederebbe un più ampio spazio, un primo dato che emerge dall’osservazione di alcuni Paesi – Svezia, Francia, Belgio, Spagna e Polonia – risulta essere l’implementazione, diversamente che nel nostro Paese, di un effettivo processo di riforma dei sistemi di LTC.  Invece, sin dagli anni ’90, nonostante differenti tentativi di riforma, il sistema di LTC italiano è stato caratterizzato da un’inerzia istituzionale che ha lasciato intatto l’orientamento del sistema, basato sulla centralità dei trasferimenti monetari e a supporto delle risorse familiari in quanto elemento cardine del processo di cura (Bettio and Verashchagina, 2010).

Contrariamente, escludendo la Polonia, in cui lo sviluppo di un sistema di cura è nella fase iniziale, negli altri Paesi analizzati è individuabile un significativo processo di riforme, che però in molti casi non ha evitato, negli anni recenti, retrocessioni del sistema di welfare e che comunque spesso ha comportato la specificazione e restrizione delle categorie beneficiarie di interventi finanziati dal settore pubblico.

Il caso emblematico è rappresentato dalla Spagna, che nel 2007 ha introdotto una riforma costituzionale (Ley de Dependencia), il cui obiettivo era un radicale cambiamento di rotta rispetto alla tradizionale organizzazione del sistema di cura rivolto agli anziani. Purtroppo, l’implementazione della legge ha disatteso le aspettative. Causa i forti vincoli economici imposti dalla crisi, l’impianto della riforma, che prevedeva la piena centralità dei servizi alla persona, ha modificato solo relativamente la struttura del sistema di LTC spagnolo, e ad oggi una quota considerevole delle prestazioni rivolte alla popolazione non autosufficiente è ancora di carattere monetario.

Francia e Belgio rappresentano due esempi virtuosi nel contesto europeo. Sin dagli anni Novanta in Francia sono stati introdotti diversi strumenti a supporto dello sviluppo di un mercato di cura, specialmente rivolto alle cure domiciliari: detrazioni fiscali, voucher di cura e nel 2005 il voucher Cheque emploi service universel (CESU), creato con l’obiettivo di semplificare ed estendere l’accesso ai servizi formali di cura. Un approccio simile ha guidato le riforme del sistema di LTC belga. Attraverso l’introduzione di detrazioni fiscali rivolte ai beneficiari di servizi di cura e di un voucher di cura ispirato al modello francese (Titre-Service), questo Paese è riuscito a rafforzare ed espandere un già ampio sistema di offerta di servizi di cura formali.

La Svezia rappresenta un caso molto interessante. A differenza di altri Paesi scandinavi, il processo di riforma attuato in questo paese si è sviluppato seguendo due filoni principali: una riduzione della spesa pubblica con una conseguente restrizione dei criteri di accesso ai servizi pubblici; una crescente apertura al mercato e agli operatori privati seguendo un approccio neoliberista, motivato dalla maggior possibilità di scelta del beneficiario. La ricalibratura dei criteri di accesso dei servizi pubblici è un tema centrale nei processi di riforma che hanno coinvolto i Paesi europei.

La necessità dell’attore pubblico di contenere la spesa è stata in parte tradotta in un processo di “targetizzazione” verso i soggetti più bisognosi, non solo in termini economici, ma soprattutto in termini di grado di non autosufficienza. Larsson e Szebehely (2006) affermano che in Svezia, la riduzione dei finanziamenti pubblici ha comportato l’esclusione degli anziani con livelli di disabilità medio-bassi dai servizi erogati dagli enti locali, ridefinendo e restringendo i limiti della responsabilità pubblica di cura a discapito della responsabilità privata. Un altro esempio riguarda la Spagna. La fase di implementazione della riforma spagnola prevedeva l’ampliamento progressivo del bacino di utenti in base al loro grado di necessità. I vincoli economici imposti alla riforma hanno però posticipato l’inclusione nel sistema dei beneficiari con gra- do di disabilità non estremamente elevato. In Francia la possibilità e l’intensità delle prestazioni (Allocation personnalisée à l’autonomie) sono proporzionali sia al livello di non autosufficienza del beneficiario che al reddito dello stesso, garantendo alle fasce più povere della popolazione l’esenzione della compartecipazione alla spesa. Al contrario, la principale prestazione del sistema italiano, sia per spesa pubblica che per numero di utenti – l’indennità di accompagnamento –, non prevede la modulazione dell’importo in base alle caratteristiche e necessità dei beneficiari e soprattutto, in controtendenza rispetto alla maggior parte dei Paesi europei, non impone vicoli nell’utilizzo della prestazione.


Le caratteristiche dei beneficiari delle prestazioni

Quale effetto hanno i diversi mix di regolamentazione nell’accesso ai servizi? I dati SHARE (Survey on Health, Ageing and Retirement in Europe) permettono di fare alcune considerazione sulle caratteristiche dei beneficiari dei servizi domiciliari e delle prestazioni monetarie in base al reddito familiare e al grado di non autosufficienza.

Reddito familiare

Rispetto ai Paesi analizzati, l’Italia è l’unica nazione che presenta una chiara relazione inversa tra accesso ai servizi e prestazioni e reddito familiare. Nel 2012, rispetto alla totalità dei beneficiari delle prestazioni monetarie, solo il 43% ha un reddito compreso nel primo quintile della distribuzione dei redditi, ovvero, il 20% più povero della popolazione. Negli altri Paesi analizzati questo valore supera il 50%, e in Svezia e Belgio raggiunge valori addirittura superiori, rispettivamente 64% e 67%.

Prendendo in considerazione i servizi domiciliari (l’analisi considera e include la totalità dei servizi domiciliari formali, compresi i servizi a carico del sistema pubblico, compartecipati o interamente finanziati a livello privato) la situazione non cambia: sia l’intensità che il tasso di copertura in Italia crescono al crescere del reddito familiare. Nel 2007 solo il 10% della popolazione con redditi bassi riceve cure domiciliari formali, mentre questa percentuale sale al 30% e oltre per la popolazione a redditi più elevati. In modo similare il numero di ore medio mensile di servizi ricevuti passa da 15 ore nella fascia più povera della popolazione, a circa 50 ore mensili per il 20% più ricco della popolazione analizzata.

La Spagna presenta caratteristiche simili, ma con differenze più moderate, e limitate esclusivamente alla percentuale di beneficiari e non all’intensità delle cure. Al contrario in Svezia, Francia e Belgio la relazione tra reddito e cure domiciliari tende a scomparire. La quota dei beneficiari e, anche se solo in parte, l’intensità dei servizi ricevuti, in Francia e Belgio tende a essere costante al variare del reddito familiare. La Svezia invece presenta un, seppur lieve, andamento inverso: ai redditi bassi sono erogati più servizi con maggior intensità. La Polonia è invece esclusa da questa analisi in quanto, purtroppo, i dati SHARE non catturano nessun beneficiario di servizi domiciliari formali.

Una parziale spiegazione all’anomalia italiana può essere individuata nella limitata offerta pubblica e nel relativo sviluppo di un sistema (informale) di cure erogato da operatori privati, spesso da operatrici di cura. Le famiglie con disponibilità economica posso permettersi di far fronte alle necessità di cura acquistando servizi sul mercato. All’opposto, nonostante la presenza di criteri di compartecipazione alle spese di cura calmierati in relazione al reddito familiare, le fasce più povere della popolazione hanno difficoltà a sostenere le spese di cura, a prescindere dalla natura privata o pubblica delle stesse.

Il grado di non autosufficienza

L’analisi non ha evidenziato particolari differenze per quanto riguarda l’intensità dei servizi domiciliari in relazione alla variazione del grado di non autosufficienza dei beneficiari: nei Paesi analizzati l’intensità dei servizi ricevuti tende ad aumentare al crescere del livello di non autosufficienza dell’anziano. L’analisi conferma un dato ormai noto: la sostanziale differenza in termini di copertura dei servizi domiciliari tra i Paesi appartenenti all’area mediterranea rispetto ai paesi dell’Europa centrale o nordici.

In Italia e Spagna, rispettivamente il 18% e il 20% della popolazione anziana affetta da problemi connessi alla non autosufficienza riceve servizi di cura domiciliari formali, mentre in Francia e in Belgio questa quota sale ben oltre il 50%.

Più interessanti sono i risultati relativi ai trasferimenti monetari. Confrontando l’importo medio delle prestazioni monetarie (corrette per il potere di acquisto dei diversi Paesi), e differenziando la popolazione non autosufficiente in base al grado di disabilità – moderato e medio/grave (la differenziazione si è basata sulle limitazioni ADL e IADL) –, si può ottenere un indicatore grossolano della adeguatezza dell’importo di tali prestazioni in relazione alla necessità di cura del beneficiario. In Italia e Spagna l’importo medio ricevuto da beneficiari con livelli di disabilità medio/grave è, rispettivamente del 20% e 30% maggiore rispetto a coloro con un livello di disabilità moderato. Escludendo la Polonia, in cui l’importo è maggiore nel caso di livello di non autosufficienza moderato, negli altri Paesi analizzati questa differenza sale al 40%, 50%. Questi dati indicano, in modo specifico in relazione al caso italiano, che l’assenza di una proporzionalità dell’importo delle prestazioni monetarie, come nel caso dell’indennità di accompagnamento, ha come possibile rischio l’assenza di un’adeguata corrispondenza tra necessità di cura del beneficiario e importo ricevuto.





Considerazioni finali

Questo breve articolo ha mostrato che l’evoluzione dei sistemi di LTC analizzati in risposta alle comuni pressioni di carattere sociodemografico ha seguito percorsi sostanzialmente differenti. Purtroppo in Italia non sono state introdotte riforme di carattere nazionale e il compito di riforma e innovazione sociale è ricaduto sulle spalle delle Regioni, le quali però non hanno le capacità istituzionali e i mezzi economici per riorganizzare il sistema di LTC italiano.

La figura infatti conferma che l’orientamento del nostro settore di cura agli anziani non autosufficienti sia ancora prevalentemente basato sul supporto monetario alla cura, con un alto livello di responsabilizzazione della famiglia, sia in termini diretti (principali caregiver) che indiretti (acquisto di servizi di cura). Un’altra peculiarità del sistema di LTC italiano emerso dall’analisi riguarda la duplice penalizzazione delle famiglie con problemi di non autosufficienza a basso reddito.

Il residuale supporto ricevuto da queste famiglie, sia in termini di servizi che di trasferimenti monetari, pone un duplice problema. Oltre al rischio di deterioramento economico dovuto ai costi della cura, vi è anche una questione di qualità della cura: utilizzo delle prestazioni monetarie come supporto al reddito, e cure familiari con bassa o assente professionalità, con un conseguente ulteriore deterioramento
dello stato di salute del beneficiario.


Bibliografia

European Commission and EConomic policy Committee, (2015), Ageing Report: Economic and budgetary projections for the UE 28 Member States 2013-2060, Directorate General for Economic and Financial Affairs of the European Commission, Brussels.

OECD (2005), Long-Term Care for Older People, OECD Publishing, Paris.

larsson K. & Szebehely M. (2006) Kapitel 16 – Äldreomsorgens förändringar under de senaste decennierna in Äldres levnadsförhållanden. Stockholm and Umeå: SCB and Umeå Universitet. 

NNA – Network per la non autosufficienza, (2015), L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia 5° Rapporto, Rimini, Maggioli Editore.

Ranci C., Pavolini E. (a cura di) (2013), Reforms in Long-Term Care Policies in Europe, Reforms in long-term care policies in Europe. Investigating institutional change and social impacts. New York, Springer.