Il Working Paper 2WEL 1/2021 “Ripensare la filiera integrata dei servizi di cura alla persona. Riflessioni, strumenti, proposte”, scritto da Maria Felicia Gemelli, Graziano Maino ed Eleonora Vanni, dà conto degli esiti di un laboratorio promosso da Legacoopsociali per definire i requisiti essenziali di una filiera integrata di servizi di cura alla persone in condizione di fragilità e iniziare un percorso da sperimentare a livello nazionale e territoriale. In questa intervista Eleonora Vanni, co-autrice del paper e Presidente di Legacoopsociali, ci ha raccontato quanto emerso dal laboratorio e l’impatto che questo ha avuto sulla strategia per affrontare i bisogni dei più fragili tenendo conto delle sfide del presente.
Come è nata e si è sviluppata l’idea di un laboratorio dedicato alla filiera integrata dei servizi di cura alla persona?
L’idea nasce nell’ambito di SEnt – Social Enterprise, progetto attivato da Legacoopsociali nel 2018 con l’obiettivo di immaginare percorsi di innovazione della cooperazione sociale che, a partire dai suoi tratti distintivi, rispondessero ai cambiamenti sociali, culturali ed economici attraverso un ampio coinvolgimento dei cooperatori e un confronto aperto a differenti interlocutori. Il processo era basato su tre momenti qualificanti: ascoltare, generare, connettere.
Il tema del laboratorio ha origine nel dibattito sull’integrazione dei servizi di cura alla persona, a partire da quelli socio-sanitari, che da vent’anni è al centro di riflessioni istituzionali e accademiche, ma che nonostante alcuni tentativi non ha portato ad una concreta azione di sistema. Legacoopsociali ne ha fatto oggetto di studio, discussione ed elaborazione al suo interno e di proposta nelle sedi in cui è stata presente come interlocutore, ma la modalità del confronto non è andata oltre la contrattazione circa il ruolo e il potere dei diversi soggetti in campo.
Nella nostra visione “prendere in carico” i bisogni di una persona non vuol dire sostituirsi a lei nella definizione della scelta delle risposte appropriate, ma significa accompagnarla in un percorso di empowerment attraverso l’ascolto e il sostegno alla sua partecipazione attiva, la promozione e la valorizzazione delle sue risorse e di quelle del contesto in cui vive. Da qui la scelta di promuovere un laboratorio dedicato alla filiera integrata dei servizi di cura alla persona che, muovendo dall’esperienza sul campo delle cooperative e da un’idea condivisa della necessità di arricchire e nel contempo rendere sostenibile il modello attraverso l’attivazione di tutte le risorse disponibili verso un sistema di welfare society più che di welfare mix delle risorse e delle presenze, elaborasse una proposta operativa basata su alcuni principi cardine, ma aperta e flessibile in grado di accogliere gli esiti di un contraddittorio allargato e, operativamente, di adeguarsi a differenti contesti.
Questo laboratorio non è stato dunque frutto di una scelta occasionale, ma si colloca all’interno di un percorso più ampio…
Uno dei presupposti del progetto SEnt è che immaginare il cambiamento di un soggetto come la cooperazione sociale o di un sistema come quello di welfare non può essere frutto di un atto solitario della creatività che elabora complesse architetture istituzionali. Serve un processo partecipato che ponga le condizioni per costruire e rendere effettivo il cambiamento. Infatti tutto il percorso progettuale SEnt è caratterizzato dall’ampia condivisione all’interno dell’associazione attraverso il coinvolgimento diretto dei cooperatori a differenti livelli e dei territori nonché dall’impiego di una pluralità di strumenti e dalla massima apertura al confronto con ambiti e soggetti diversi.
La specificità di questo percorso sta proprio nel mettere insieme più aspetti: il confronto creativo, la condivisione di esperienze, la coproduzione di idee e proposte operative attraverso un metodo partecipato che ha previsto l’utilizzo di strumenti formativi che hanno arricchito il patrimonio di conoscenze dei partecipanti e quindi ha connesso formazione su strumenti e metodo di lavoro. Connettere logica e creatività e cambiare le coordinate del problema per non affrontarlo in modo meccanico e ripetitivo ci ha consentito di esaminare il tema in tutte le sue parti isolando anche i diversi fattori che lo compongono per immaginare e proporre un’alternativa nuova e praticabile.
L’origine di laboratori tematici, tra cui quello di cui parliamo nel Working Paper, risiede comunque nell’ambito dei gruppi di lavoro di Legacoopsociali. I gruppi integrano componenti degli organismi associativi, responsabili territoriali di Legacoopsociali e cooperatori che ricoprono ruoli diversi all’interno delle cooperative. La partecipazione di cooperatori che ricoprono differenti ruoli, che ha caratterizzato anche questo laboratorio, ci ha aiutato a guardare il tema da una pluralità di punti di vista: da quello istituzionale a quello operativo passando per la sostenibilità di sistema e cooperativa. Il compito di riflettere contemporaneamente sui molteplici aspetti ed esigenze si è allargato oltre i confini associativi e cooperativi nell’immedesimarsi in tutti i soggetti che, a vario titolo, ruotano intorno ad un intervento di cura della persona, a partire dalla persona stessa, con l’obiettivo di superare l’autoreferenzialità e di sperimentare una modalità con cui è imprescindibile fare i conti per far lavorare ad un progetto comune interessi, culture e visioni differenti e, a volte contrastanti, ma che devono trovare la sintesi in un obiettivo condiviso.
Chi ha preso parte al Laboratorio di cui si parla nel paper?
Il nucleo principale dei 30 cooperatori che hanno partecipato al laboratorio, espressione di cooperative di varie dimensioni e territori, aveva condiviso la necessità di un approfondimento del tema della filiera già nei due gruppi di lavoro “cure territoriali” e “disabilità” di Legacoopsociali. La partecipazione di cooperatori della stessa cooperativa che opera su territori differenti ci ha aiutato a mettere a fuoco la problematicità di un sistema di cure differenziato nelle normative a livello regionale, ma anche frutto delle specificità territoriali. L’aver messo insieme tutti questi elementi attraverso un percorso che, dalla messa a fuoco delle criticità è approdato a condividere idee e proposte, ha aiutato la resilienza delle cooperative di fronte alle difficoltà del momento aiutandole ad elaborare un pensiero meno oppresso dalle difficoltà del quotidiano. Questo credo sia una parte importante del valore aggiunto del laboratorio dal quale trarre ispirazione anche per approfondimenti su altri temi complessi che ci troviamo ad affrontare e la generazione di un nuovo ciclo vitale della cooperazione sociale nel più vasto ambito dell’impresa sociale e del terzo settore.
Il working paper è corredato da un Canvas (disponibile qui) che partendo dai temi discussi fa sintesi delle tante e diverse proposte emerse durante il laboratorio. Quale ritiene possa essere il valore di questo strumento per tutti coloro che a vario titolo si occupano di servizi alla persona?
Il Canvas è servito a noi per mettere a fuoco, anche visivamente, i temi condivisi come prioritari al termine del percorso che ha affrontato un argomento complicato e complesso dove agiscono contemporaneamente più fattori e soggetti e che presenta numerose variabili. La necessità di selezionare macro aree di intervento e ingredienti prioritari per ogni area sta alla base dell’obiettivo di produrre un elaborato che, insieme al resoconto articolato del percorso formativo e delle traiettorie di pensiero, fornisse alle cooperative uno strumento operativo a partire da una visione sistemica condivisa, per facilitare l’approfondimento interno e il confronto e sperimentare percorsi di integrazione.
Inoltre l’associazione può contare su una base di contenuti e mezzi per facilitare l’illustrazione di una proposta politica e istituzionale non solo teorica, ma basata su una strumentazione che può accompagnare percorsi di sperimentazione a livello territoriale aperti al confronto, con punti di vista ed esperienze anche lontane dal mondo della cooperazione sociale, può stimolare sinergie fra mondi differenti necessarie all’evoluzione della cooperazione stessa.
In questo senso, partendo da una rinnovata idea di mutualità che oltrepassa i confini dello scambio vantaggioso per i soci, in una visione di “open mutuality” che include il riconoscimento reciproco di una platea più ampia di soggetti per un mutuo scambio di intelligenze, e in coerenza con le finalità del laboratorio, mettiamo a disposizione di tutti lo strumento del Canvas. Vogliamo così dare il nostro contributo alla produzione di cultura, originata dalle nostre prassi di lavoro, per rendere riconoscibile, intelligibile e utilizzabile un modello cooperativo di lavoro volto a coprogettare e costruire alleanze, anche nuove e diverse in relazione alle potenzialità dei contesti, e che contribuisca ad affermare il ruolo di agente attivo dell’impresa sociale cooperativa anche nella progettazione e realizzazione di nuove forme di organizzazione dei servizi. Il Canvas è quindi uno strumento aperto a contributi differenti per provocare e promuovere nuove idee e sinergie. Fornendo uno strumento operativo a supporto di un dialogo fattivo fra soggetti differenti vogliamo generare capitale relazionale nelle comunità e al contempo rispondere agli obiettivi più ampi dell’associazione e alla necessità del sistema cooperativo di evolvere il suo ruolo “nell’assumere la comunità come fattore di coproduzione e non come mera utenza”.
In quali altri modi verranno valorizzate le riflessioni emerse e sviluppate nel laboratorio?
A livello nazionale l’associazione promuoverà a diversi livelli istituzionali i contenuti e solleciterà azioni, anche normative, perché possano crearsi le condizioni di operatività. L’occasione di ripensamento profondo che la pandemia ha imposto e la necessità di costruire futuro con uno sguardo diverso deve essere colta appieno e la progettualità sostenuta dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza deve mettere insieme risposte concrete a bisogni vecchi e nuovi ma, soprattutto deve saperle coniugare con uno sviluppo sostenibile delle persone e dei territori e un abbattimento delle disuguaglianze evidenziate ed incrementate dal periodo che stiamo vivendo. Intendiamo portare avanti, attraverso la diffusione e promozione dell’uso dei materiali elaborati e, socializzando le riflessioni emerse e sviluppate nel laboratorio, un’azione che produca evidenze rilevanti per i policy maker sia a livello nazionale che territoriale per un’azione che superi pregiudizi ideologici e culturali verso l’attivazione di percorsi operativi.
Anche a livello territoriale se ne farà oggetto di proposta e confronto sia politica che operativa. È infatti a partire dalle comunità e dalle condizioni che possono facilitare/sostenere l’avvio di concrete sperimentazioni che può venire quel segnale del “si può fare” che fa parte di tanta storia delle proposte emerse dall’esperienza della cooperazione. Il bene comune dipende tanto dall’azione dei governanti quanto dalle azioni di ognuno di noi e di noi messi insieme, per questo vogliamo portare tempestivamente il nostro contributo fattivo ad una ripartenza consapevole e responsabile che non lasci indietro le persone più fragili.
Alla luce della pandemia in corso e di quanto emerso dal laboratorio, Legacoopsociali come ritiene si possa affrontare la sfida dell’invecchiamento della popolazione e del ripensamento dei servizi per le persone non autosufficienti?
La pandemia ha sconvolto la vita delle persone e delle comunità, generato caos nelle strutture e nelle pratiche sanitarie e negli interventi sociali. Nell’ultimo anno le disuguaglianze, che sono aumentate e cambiate rapidamente, hanno pesato moltissimo ma hanno permesso anche di porre una nuova attenzione al tema della sostenibilità sociale e alla necessità di un’economia al servizio delle persone e della società.
Non si può uscire da questa situazione senza una revisione profonda della vita di prima e senza considerare le sofferenze, le difficoltà e gli insegnamenti di questo periodo; occorre quindi ripensare il sistema in chiave di benessere multidimensionale, individuale e collettivo.
Le persone anziane hanno pagato un prezzo molto alto durante la pandemia in termini di sopravvivenza e di qualità della vita, ma l’anonimato delle statistiche, che seppure ci colpiscono e ci forniscono una dimensione importante del problema, non ci aiuta ad affrontare la complessità della questione. Occorre mettere al centro una riflessione che consideri tutti i determinanti di salute della persona anziana e del suo contesto di vita. Rispettare in concreto, fuori dalle retoriche e dai preconcetti che animano molto del dibattito corrente, la dignità degli anziani perché non si affievolisce la dignità di persona con l’avanzare dell’età e l’insorgere della non autosufficienza e il primario diritto alla salute non è solo diritto alla “cura fisica”, ma anche al benessere in tutte le dimensioni che la persona può agire.
Nel concreto come si declina questa visione?
Con i laboratori di idee e i percorsi di co-design Legacoopsociali ha inteso mettere insieme i due aspetti fondamentali dell’approccio alla progettazione dei servizi di cura alle persone anziane e non autosufficienti: una progettazione personalizzata user centered e l’organizzazione integrata e sostenibile dei servizi a partire delle evidenze rilevate attraverso l’esperienza diretta. Abbiamo altresì inteso prendere le distanze dall’emozione del momento e da stereotipi, preconcetti e contrapposizioni ideologiche rinnovate dall’impotenza di fronte all’azione del virus, portando il confronto ad un altro livello rispetto a quello del servizio per allargare l’orizzonte di riferimento e facilitare il confronto con gli altri.
Ripensare il modello di sviluppo e in particolare il rapporto fra individuo e comunità e fra sociale ed economica implica una ricaduta importante sul sistema di welfare e nello specifico sulle politica dell’offerta di opportunità di supporti alle persone anziane e non autosufficienti. La programmazione, che deve essere sempre più partecipata nella forma della co-programmazione, deve superare la centratura sul solo equilibrio finanziario e produttivo mettendo nel conto della ricchezza prodotta tutte le dimensioni del benessere: sistema sanitario, benessere psichico, equilibrio fra i tempi di vita, appartenenza sociale. Creare connessioni per superare la separatezza tra culture, discipline e ideologie è un elemento qualificante del nostro laboratorio e noi crediamo lo sia anche per ripensare i servizi.
Pensiamo che non esista una sola risposta per tutti i bisogni della popolazione anziana, ma sta proprio nel superamento del modello standard verso la messa a disposizione di opportunità alternative e/o concorrenti di supporti e servizi la risposta più appropriata e prossima che mette al centro del progetto di vita la persona anziana e il suo contesto di riferimento. Non si può pensare alle risposte a partire ognuno dalle proprie condizioni di vita, stigmatizzando magari comportamenti che non ci appartengono o che non condividiamo, con l’idea che il superamento delle RSA possa essere la panacea di tutti i mali perché, ancora una volta escluderemmo dal confronto proprio la voce dei diretti interessati: gli anziani e le loro famiglie.
Per far questo occorre investire nell’organizzazione di un sistema per una sanità di prossimità e di territorio, nella formazione di nuove e appropriate competenze e un’apertura a strumenti e metodi che solo poco tempo fa ritenevamo impensabili. Penso ad esempio al ruolo che le infrastrutture digitali hanno svolto durante la pandemia anche quale unico spazio possibile di relazione e condivisione per gli anziani sia a casa che in strutture di accoglienza. La relazione digitale non può certo surrogare la relazione analogica, ma abbiamo sperimentato che la capacità di adattamento e di apprendimento degli anziani ha facilitato l’accettazione e l’uso del mezzo digitale che, come molte sperimentazioni dimostrano, può essere un importante supporto alla vita autonoma ed anche al miglioramento delle prestazioni nelle strutture di accoglienza. In questo senso la pandemia ci ha aiutato a superare il pregiudizio sulla pericolosità del digitale rispetto alla spersonalizzazione e allo stravolgimento dell’organizzazione del lavoro e ci ha insegnato a considerarlo uno strumento.
Quale contributo sperate possa dare la vostra visione al sistema nel suo complesso?
Non proponiamo un modello, ma un metodo di lavoro che parta dal presupposto che non si diventa anziani scendendo scalini successivi e passando da una tipologia di servizio all’altro ad ogni scalino sceso, che non si può pensare a proposte che categorizzano rigidamente in base all’età le persone. Si deve progettare con la persona tenendo conto delle caratteristiche, dei limiti e delle opportunità del contesto che consentono di andare incontro alle legittime aspirazioni ma anche di rispondere a bisogni di cura con tutto quello che serve per soddisfarli in sicurezza e in qualità perché se la RSA può essere considerato un modello rigido da ripensare rispetto alla molteplicità dei bisogni, il domicilio o il piccolo gruppo non sempre e non in tutti i contesti possono offrire le risposte più appropriate. L’opzione non è quella di sostituire una tipologia di servizio con un’altra semplicemente perché ritenuta più accogliente e umanizzante, ma innanzitutto di rispondere, e contemporaneamente farlo nella maniera più appropriata a garantire la qualità della vita delle persone anziane e non autosufficienti.