”La polis, propriamente parlando, non è la città-stato in quanto situata fisicamente in un territorio; è l’organizzazione delle persone così come scaturisce dal loro agire e parlare insieme, e il suo autentico spazio si realizza fra le persone che vivono insieme a questo scopo, indipendentemente dal luogo in cui si trovano”
(Hannah Arendt)
Introduzione
In termini biomedici, la demenza non è una malattia, ma una sindrome prodotta in larga misura da patologie cliniche quali Alzheimer, Parkinson, e affezioni vascolari, per menzionare solo le più note. Si tratta di una serie di sintomi e di segnali legati al deteriorarsi delle abilità e competenze cognitive, che più spesso, non sempre, colpisce soggetti in età anziana. L’etimo stesso – dal latino de-mens – suggerisce peraltro una deprivazione e, se si segue l’orientamento del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders IV (DSM-IV), una forma di demenza può essere causata o caratterizzata dallo “sviluppo di molteplici deficit, che possono manifestarsi in disturbi della memoria, e in uno o più dei seguenti disturbi cognitivi: afasia, aprassia, agnosia, disturbi delle capacità esecutive (Weiner e Lipton, 2009). La parola “demenza”, dunque, raccoglie e contiene una serie di caratteristiche rappresentative di un progressivo deterioramento delle funzioni cognitive, il cui resoconto non può essere catturato in modo inequivocabile e esaustivo da un ordinario processo di invecchiamento, e che può avere un impatto decisivo sulle attività quotidiane delle persone (Ballard e Banister, 2010).
È sicuramente questa condizione di eccezionalità la prima ragione che giustifica l’esistenza di un modello come quello del Paese ritrovato (ve ne avevamo già parlato qui, ndr), uno spazio riservato all’accoglienza di persone affette da varie forme di demenza o da Alzheimer pensato, progettato e realizzato nel giugno 2018 dalla Cooperativa “La Meridiana”, con sede a Monza: gli istituti di cura classici, deputati a offrire spazi e rimedi per anziani in fase di declino cognitivo e fisico, benché adesi a tecniche e protocolli di cura sempre più aggiornati e appropriati, non sempre sono in grado di affrontare e sostenere – per ragioni distinte, che in questo breve resoconto non verranno prese in esame – le esigenze plurali dei loro assistiti (e dei familiari degli stessi), con particolare riferimento a coloro che soffrono di forme di demenza. Nel corso del tempo si sono quindi evoluti – soprattutto in Nord Europa – approcci e modelli di cura nuovi, più specialistici e person-centred.
Nel 2009 a Weesp, nei pressi di Amsterdam, venne inaugurato “De Hogewyek”, il primo e (allora) unico villaggio per residenti affetti da una forma di demenza. De Hogewyek e Weesp sono riusciti a dar forma, nel corso di pochi anni, a un nuovo paradigma organizzativo in modo da tradurre efficacemente nella pratica l’obiettivo di ridurre quanto più possibile la medicalizzazione nella cura delle persone colpite da Alzheimer e da altre forme di demenza.
Ad un primo sguardo sembra tutto normale: 23 case (per 152 residenti) circondate da giardini fioriti e fontane, un supermercato, un cinema, una chiesa e un ristorante. In fase di progettazione, è stata commissionata un’indagine che ha permesso di identificare i sette “stili di vita” dell’Olanda: lifestyle cittadino, familiare, culturale, indonesiano, di classe agiata, tradizionale e cristiano. Gli architetti Molenaar, Bol & VanDillen hanno arredato i ventitré appartamenti della residenza secondo questi stili, studiando nei dettagli persino i materiali da utilizzare. All’interno del perimetro del “villaggio”, gli anziani sono liberi di muoversi come meglio credono. Possono anche uscire ma, per la loro sicurezza, solo se accompagnati.
Weesp è stato il primo “villaggio-Alzheimer” pilota; seguito, nel giugno 2018, da un secondo villaggio nei pressi di Dax, cittadina di 20.000 abitanti situata nella parte Sud-occidentale della Francia, nelle Landes francesi, e da un progetto simile in cantiere per Oslo, Norvegia. Ispirandosi anche a questi modelli, la Cooperativa la Meridiana, nata nel 1976 con sede a Monza, ha messo a punto un progetto finalizzato alla realizzazione di un centro riservato all’accoglienza di persone affette da varie forme di demenza o da Alzheimer. Il centro è stato pensato come un piccolo paese, così da permettere alle persone di condurre una vita normale1 e di sentirsi a casa, ricevendo nel contempo le cure necessarie. L’idea, anche in questo caso, è stata quella di realizzare un vero e proprio villaggio, con appartamenti e servizi comuni quali teatro, bar, market, chiesa, parrucchiere, laboratorio, palestra, orto, spazi verdi comuni. In tutti gli spazi sono previsti controlli non invasivi, allo scopo di monitorare i soggetti, mentre il personale in servizio, grazie a una formazione specifica e continua, è in grado di riconoscere ogni bisogno, e garantire adeguati interventi, mirati e nel contempo rispettosi dell’autonomia residua delle persone.
Una nuova filosofia della città. Polis e Paese ritrovato.
Notevoli sono le differenze tra la capacità di vedere dei greci e la capacità di vedere dei moderni. La civiltà ellenica, in opposizione a quella moderna e contemporanea, era caratterizzata da un nesso molto stretto che univa le arti e la vita socio-politica alla comunità. La Grecia classica era un mondo quasi privo di palazzi o costruzioni private: sotto questo aspetto, un greco classico dovunque andasse si trovava in un ambiente estremamente familiare. L’architettura, la scultura, la pittura erano così radicate nella vita quotidiana dei cittadini da far ritenere ai maggiori e più illuminati pensatori ateniesi che l’esistenza della polis si configurasse come un fatto naturale2 e che non fosse, di conseguenza, nemmeno immaginabile una forma di organizzazione urbanistica e sociale diversa da essa.
Attraverso l’indipendenza, lo status, l’educazione, l’arte, la religione, e soprattutto la partecipazione alla vita comune della città, l’individuo poteva realizzare le sue capacità essenziali e il telos del bene comune. Si potrebbe dire che la città greca partecipi di una definizione di comunità tanto morale e politica, quanto materiale e pratica: non sono né la sua funzione difensiva o commerciale, né l’importanza del suo territorio o l’estensione dell’agglomerato i caratteri che daranno ad un gruppo il nome di polis, ma il carattere delle sue istituzioni politiche e sociali; gli elementi essenziali del raggruppamento saranno gli edifici rappresentativi di queste istituzioni: l’Ecclesia e l’agorà, il Bouleuterion e la Bulè, i templi e i culti civici, il ginnasio, il teatro. Tutti questi elementi, uniti, conferiscono alla polis il suo aspetto caratteristico: ma il raggruppamento autonomo dei cittadini e l’esercizio delle funzioni politico-religiose devono costituire l’elemento essenziale di ogni definizione di città greca, quali che siano l’importanza numerica di questo gruppo, l’estensione territoriale della città e il carattere monumentale di alcuni edifici. È questo lo spirito con cui Aristotele sosteneva che "una città non sono le mura che la racchiudono"3, e doveva essere questo lo spirito che animava i coloni greci d’Asia Minore, sintetizzato nella formula "ovunque voi andrete, sarete una polis": la polis non è soltanto un fatto fisico, né geografico, né territoriale: la polis sono le leggi, i costumi, lo spazio di un mondo comune, e di una esperienza condivisa.
Forma urbana e senso della politicità, della vita associata, formano nella polis un tutt’uno inscindibile: "la struttura della città antica è, si potrebbe dire, ontologica, e come tale è anche operativa, non tanto nel senso che controlla i singoli fatti spaziali della modificazione e della crescita, quanto nel senso che i singoli fatti spaziali, senza escludere emergenze, polarità e interventi autonomi, ricadono nella generalità della struttura, e ne sono facilmente riassorbiti4". Ciò che costituisce una città è dunque, in realtà, un comune interesse per la giustizia e un obiettivo comune, quello di vivervi il meglio possibile.
Ma quello che caratterizzava più propriamente la città greca, e che giustifica questa lunga digressione, era il fatto che nessun elemento della sua vita era lontano dalla vista più di quanto lo fosse dalla mente di chi l’abitava. Tutto ciò che gli uomini facevano era offerto agli sguardi altrui, al mercato come in tribunale, al Consiglio come nel ginnasio. Lewis Mumford5 sostiene che le poleis, anche nei periodi di maggior fulgore, non avevano grandi eccedenze di beni, ma solo eccedenza di tempo. La vita del cittadino ateniese esigeva costante partecipazione ed attenzione; egli era molto più concreto e pratico di quanto noi, oggi, siamo disposti a credere: non viveva solo di contemplazione, o di fredde riflessioni, ma di attente osservazioni e di rapporti personali diretti. Per un greco, dunque, vedere significava, come sostiene Richard Sennett6, riuscire a cogliere con gli occhi le complessità della vita. Con gli occhi ancor prima che con il cervello: egli poteva con chiarezza spostarsi nella propria città, e, solo con gli occhi, riflettere sull’esperienza politica e religiosa della sua comunità semplicemente attraversando l’agorà, o sedendo in Assemblea, così come riflettere sull’esperienza erotica semplicemente spostandosi dall’agorà nel ginnasio.
Secondo questa lettura si potrebbe provare a sostenere che il progetto del Paese Ritrovato recupera – e quindi, in senso più o meno consapevole, ne sarebbe debitore -, il modello greco di equilibrio urbano e armonia civica, il solo in grado davvero di comprendere in egual misura la poiesis, l’azione umana, e la teoria, intesa nel suo significato originario di visione, esposizione al mondo, e dunque agli occhi degli altri. Anche lo spazio del Paese Ritrovato è uno spazio di tipo geometrico, cioè uno spazio essenzialmente definito da rapporti di distanza, simmetrici e reversibili: ciò che caratterizza lo spazio del Paese Ritrovato è, come si vedrà più sotto, l’essere organizzato intorno ad alcuni centri e snodi tematici fondamentali per i suoi fruitori, centri che funzionano come un criterio per distinguere e allocare competenze e attitudini diverse.
Una città visibile: la struttura del Paese Ritrovato
Dal momento della definizione del progetto – giugno 2015 – all’ingresso del primo ospite – giugno 2018 – sono trascorsi solo tre anni, nei quali il Paese Ritrovato, insieme a Roberto Mauri (Direttore Generale della cooperativa La Meridiana, titolare del progetto, della sua realizzazione, della gestione e implementazione del villaggio) si è mosso tra percorsi autorizzativi, ricerca di sostenitori, e lavori. Il costo complessivo supera i 10 milioni di euro. Poco meno di sette (contributi a fondo perduto) sono giunti attraverso donazioni effettuate da famiglie, cittadini, imprese, fondazioni, associazioni7. Il Paese Ritrovato è anche il prodotto di sinergie con gli enti pubblici quali Regione Lombardia, il Comune di Monza e l’ATS Brianza, enti che hanno proficuamente collaborato nella definizione del progetto.
“Troveranno una forma di integrità, sociale, umana. Faranno i loro acquisti, andranno dal parrucchiere, al bistrò, al ristorante, a teatro. Si divertiranno. Ciò che costituisce una forma di terapia straordinaria”. Il neurologo Jean-François Dartigues sintetizza così gli effetti auspicati dal modello rappresentato dal Paese Ritrovato, un villaggio che rivoluziona il modo di intendere la cura e l’assistenza, che offre alle persone malate la possibilità di vivere in libertà e al tempo stesso di usufruire della necessaria assistenza e protezione. Il Paese Ritrovato è in grado di ospitare 64 persone e sorge su un un’area di oltre 14 mila mq, di cui 5.350 mq calpestabili (parte costruita). Mettendo l’architettura al lavoro insieme alle nuove strade di cura e gestione della malattia, il Paese Ritrovato riproduce gli elementi di un piccolo pezzo di città, internamente libero per gli ospiti ma chiuso e protetto verso l’esterno, in cui i residenti possono ritrovare luoghi e funzioni della vita quotidiana. Mentre il personale sanitario e gli assistenti (più di 50, selezionati secondo criteri che prevedono adeguata e specifica formazione) sono presenti senza indossare camici bianchi né divise da lavoro, i malati vivono in residenze distribuite all’interno di piccoli edifici (in tutto otto appartamenti di 420 mq ciascuno – per un totale di 3.360 mq – con otto camere singole ciascuno, e ogni appartamento servito da spazi comuni come cucina, sala da pranzo, terrazzi e porticati). Gli spazi comuni esterni occupano un’area di 450 mq, suddivisi da vie, piazze, giardinetti, negozi, e luoghi pubblici, di incontro, lavoro, svago, attività fisica.
Non cercate la tv (non la troverete)
Se per un verso il filo conduttore del progetto architettonico, del progetto colore e del progetto illuminazione è stato quello di ottenere l’effetto del classico insieme di edifici cittadini con le sovrapposizioni del tempo e la discordanza tra differenti proprietari, per un altro verso gli abitanti del Paese Ritrovato sono costantemente supportati da personale specializzato e seguiti attraverso dispositivi non invasivi sia di tipo ambientale (domotica avanzata) sia di tipo fisiologico (sensori indossabili), affinchè sia garantito contemporaneamente un adeguato sostegno all’autonomia residua e un aiuto nelle difficoltà quotidiane.
Il progetto percettivo legato alle luci, per fare solo un esempio, è il segnale della prospettiva person-centered menzionata nell’introduzione: l’organizzazione degli ambienti luminosi si è sviluppata in relazione alle qualità percettive riferite al colore di ambienti, degli arredi e delle componenti segnaletiche. È l’aspetto fisico di un oggetto che permette alla persona di dedurne le funzionalità o i meccanismi di funzionamento, la cosiddetta affordance. Più alta è l’affordance, più sarà automatico e intuitivo l’utilizzo di un dispositivo, di uno strumento, di un oggetto. Essendo la componente percettiva fortemente influenzata dalla luce, ogni attività di progetto è stata svolta in coordinamento con il progetto della luce artificiale. La luce aiuta ad identificare confini visivi, la luce aiuta a percepire profondità, la luce aiuta a comprendere planarità. Il suo progetto aiuta la comprensione anche locativa e direzionale di persone, oggetti, ambienti. Da anni ormai risulta comprovato che l’illuminazione artificiale, in coesistenza, o meno, con l’illuminazione naturale è un fattore importante nella gestione delle persone con demenza, ove si consideri la necessità di compensazione del ritmo circadiano.
Il progetto di innovazione, attraverso le tecnologie abilitanti dell’Ambient Assisted Living e nuove metodologie di gestione e analisi, è in grado – attraverso la definizione di nuovi modelli adattativi e organizzativi – di fornire monitoraggio, assistenza e sostegno sia alle persone affette da demenza sia ai loro caregiver. Il progetto degli arredi si basa sulla considerazione che gli ambienti di vita dedicati alle persone con limitazioni o degrado dei sistemi cognitivi possano e debbano essere considerati come luoghi interattivi: essi possono fornire risposte ai bisogni legati alla perdita di orientamento spazio temporale, di agnosia e aprassia. La stimolazione contemporanea di alcuni canali sensoriali attraverso impulsi provenienti dall’ambiente attiva delle reazioni comportamentali che possono aiutare la persona a riacquisire alcune abilità, rendendola così più autonoma ed in grado di svolgere le attività della vita quotidiana. Gli oggetti di arredo spesso riconducono la memoria a ricordi e stati d’animo che aiutano a sentirsi a proprio agio anche in spazi abitativi che non sono quelli che ci hanno accompagnato per tutta la vita; la funzionalità degli arredi e la facile comprensione del loro utilizzo aumenta la sensazione di adeguatezza e di tranquillità nel compiere azioni quotidiane che per talune persone possono non essere così semplici da portare a termine. In quest’ottica il progetto degli elementi di arredo diviene uno studio di sistemi complessi quali: contenitori e accessori sensorizzati per il monitoraggio della persona con demenza all’interno degli ambienti di vita, come ad esempio il letto specifico con particolare attenzione alle correlazioni tra residente, operatori professionali e caregiver, o la televisione (l’unica presente nell’appartamento) dotata di meccanismi di controllo emozionale.
Azione, e innovazione
«Un paese reale, dove continuare a vivere» non è soltanto lo slogan recitato dalla brochure: al Paese Ritrovato non c’è tempo da perdere, durante il giorno gli appartamenti sono vuoti, e pieni gli spazi comuni: biblioteca, palestra, teatro, supermercato, laboratori (di giardinaggio, pittura, bricolage), spazi all’aperto. Ogni attività che si svolga, auspicabilmente, deve iniziare e compiersi nell’arco della giornata, per riuscire a restituire un senso di compiutezza all’agire e al lavoro dei singoli. Gli spazi privati mantengono, in questo modo, la loro funzione protettiva, e perdono definitivamente la funzione ‘privativa’ cui si è soliti pensare in contesti di demenza. Sono dunque gli spazi pubblici a garantire l’implementazione del modello di cura proposto, che ruota intorno a tre assi valoriali:
- rispetto della singolarità e unicità della persona, della sua storia passata e presente, e del suo percorso di vita;
- riconoscimento delle particolarità di ogni individuo, in termini affettivi e cognitivi, con una particolare attenzione e cura alle capacità residuali del singolo;
- valorizzazione della rete di relazioni a disposizione di ogni soggetto, e coinvolgimento sempre attivo dei familiari.
Ogni “cittadino” ha diritto di muoversi liberamente nel Paese Ritrovato, e in caso di disorientamento gli operatori saranno pronti ad aiutarlo e supportarlo, in un gioco di ruoli che risponde tuttavia a uno schema di competenze preciso, ma profondamente diverso dall’organigramma previsto, per esempio, in una RSA: "non è infatti per nulla scontato" – dichiara Roberto Mauri – "che tutti gli operatori riescano a reggere alcune situazioni di indeterminatezza" (per esempio, non sapere sempre con certezza – come invece da prassi in RSA – dove siano localizzate le persone all’interno del perimetro del villaggio).
Oltre alla cruciale funzione di restituire cittadinanze perdute ai suoi abitanti, il Paese Ritrovato rappresenta anche un ambito di innovazione e di ricerca. Sul fronte dell’innovazione, esso integra una pluralità di servizi, come:
- lo «Sportello Demenza» che offre consulenza gratuita su modi e tempi di accompagnamento della persona con demenza nel percorso di cura;
- un «Ambulatorio Demenza» in misura di offrire consulenze specialistiche a supporto della gestione domiciliare;
- una RSA aperta in grado di offrire un sostegno domiciliare nelle prime fasi della malattia;
- un Centro Diurno Integrato di supporto.
Dal punto di vista più specificamente scientifico, invece, sono plurime le sinergie attivate, in particolare con:
- Università Milano Bicocca – Dipartimento di Geriatria: valutazione dell’impatto del modello sull’evoluzione della malattia;
- Politecnico Milano – Dipartimento di Elettronica: valutazione dell’impatto tecnologico sul benessere della persona;
- Politecnico Milano – Dipartimento di Design: valutazione dell’impatto percettivo (ambienti, luci, colori, aromi);
- CNR Milano – Dipartimento IBFM: valutazione dell’impatto del movimento sull’evoluzione della malattia;
- LIUC Castellanza: valutazione della sostenibilità e replicabilità del modello.
Costi e benefici: qualche numero
Quanto costa abitare al Paese Ritrovato? La retta è di 98 euro al giorno per persona (anche se dal 2019 è previsto un contributo da parte della Regione di 29 euro, con parziale riduzione della retta a carico dell’ospite). In realtà i costi quotidiani, per ciascun utente, sono di circa 120 euro. “Considerato il carattere sperimentale del progetto – spiega Roberto Mauri –, con Regione Lombardia e ATS Brianza è in corso un dialogo finalizzato a ridurre i costi per ogni utente e a definire il contesto in cui si potrà collocare Il Paese Ritrovato all’interno della rete dei servizi socio-sanitari. Siamo fiduciosi che presto avremo buone notizie”.
Per la prima volta in Italia assistiamo all’applicazione pratica di un modello relativamente nuovo e progressista di gestione di malattie dal fortissimo impatto sanitario e sociale in tutto il mondo: le diverse forme di demenza, di cui il morbo di Alzheimer è la più importante delle manifestazioni, secondo i dati recenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità colpisce nel mondo 35,6 milioni di persone, soprattutto fra gli ultra sessantacinquenni; 10 milioni sono i nuovi casi ogni anno, 1.241.000 i malati diagnosticati in Italia, 37,6 miliardi i costi sanitari associati alla malattia8. Con un’incidenza notevole delle patologie neurodegenerative (un caso ogni 3 secondi), si stima che nel 2030 i malati di Alzheimer saranno quasi 75 milioni.
A fronte dei dati suddetti, quali benefici possono essere esibiti con riferimento alla buona prassi del Paese Ritrovato? È plausibile distinguere tra due tipi di benefici: da un lato benefici a largo spettro: incremento delle attività fisiche e delle performances motorie; medicine ridotte al minimo; ridottissimi casi di aggressività tra gli ospiti; dall’altro benefici oggetto di monitoraggio più puntuale, quali:
- incremento del tempo attivo: l’occupazione del residente è stata valutata attraverso l’indicatore ISE (Index of Social Engagement) che ha evidenziato un aumento del tempo occupato attivamente tra l’ingresso e il primo monitoraggio dopo tre mesi, con un incremento dei valori di ISE da 4,19 a 4,65;
- miglioramento del tono dell’umore e della socializzazione: l’analisi della Scala di Cornell, volta ad evidenziare la presenza di disturbi dell’umore nella demenza, ha evidenziato un miglioramento dei punteggi da 7,52 a 6,58 (range di valori della scala: 0-38)
- riduzione dei disturbi del comportamento: l’analisi della scala NPI di valutazione dei disturbi del comportamento (Neuropsychiatric Inventory) ha evidenziato un miglioramento delle dinamiche comportamentali. Il valore medio è passato da 19,2 a 13,8, raggiungendo in soli tre mesi un miglioramento ai limiti della significatività statistica (p<0,08).
- riduzione dello stress del caregiver: l’analisi dello stress del caregiver (misurato su una scala CBI – Caregiver Burden Inventory) ha evidenziato un significativo miglioramento, passando da un pt di 32,2 a uno pari a 16,6 correlato sia alla riduzione del carico assistenziale diretto, sia del carico emotivo legato alla malattia (range di valori della scala: 0-96).
Si tratta di risultati stimati sul breve periodo di attività del Paese Ritrovato, risultati che, per un verso, necessitano di ulteriori verifiche e costanti aggiornamenti, ma, per un altro verso, sembrano incoraggianti e promettenti rispetto al successo di un modello il cui focus principale non è diretto a sanare il deficit neurologico del paziente, ma alla considerazione della persona intesa nella sua globalità, nella sua personalità e singolarità, nelle sue abitudini, nel suo modo di relazionarsi e di socializzare, e nell’esigenza che siano valorizzate sempre le sue competenze. In una parola, un sistema rivolto alla persona nella sua integrità.
Conclusioni. Tra privato e RSA: perché il Paese Ritrovato è un caso esemplare (ma non solo)
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce così la salute mentale: “uno stato di benessere emotivo e psicologico nel quale l’individuo è in grado di sfruttare le sue capacità emotive o emozionali, esercitare la propria funzione all’interno della società, rispondere alle esigenze quotidiane della vita di ogni giorno, stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri, partecipare costruttivamente ai mutamenti dell’ambiente, adattarsi alle condizioni esterne e ai conflitti interni. La normalità psichica può essere definita come uno stato di benessere, abbastanza costante, sufficientemente resistente a stimoli ambientali negativi, con equilibrio dinamico delle componenti emotive e razionali”.
Questa definizione invita a tornare sul significato di “normale”, e “normalità”: il concetto di normalità è infatti relativo e variabile a seconda del contesto, delle intenzioni di chi osserva, e del punto di vista da cui il concetto viene analizzato.
In senso generale, possiamo reagire ad una condizione di malattia – deprivazione di salute – in due modi distinti: è plausibile considerare la malattia come un momento costitutivo della vita stessa, e il malessere che ne deriva come una norma imprescindibile. Oppure possiamo, invece che il grado di malessere, utilizzare come criterio di salute il grado di libertà dell’individuo, la sua autonomia residuale, ovvero ciò che al singolo resta, entro il perimetro della sua condizione (la demenza, nel nostro caso): se consideriamo questa seconda fattispecie, il concetto di normalità assume nuova forma, la malattia traduce il segno della perdita della propria libertà, intesa quale capacità di auto-progettarsi, di auto-determinarsi, di dispiegare la propria esistenza in tutte le forme possibili (Mill 2014), di conquistare la propria soggettività, di rapportarsi in modo ottimale con se stessi e con il mondo.
Si possono individuare 3 parametri per definire uno stato di normalità (Torre 2010):
a) le relazioni dell’individuo con le situazioni in cui viene a trovarsi, cioè con gli oggetti, le cose e gli elementi di qualsiasi specie, che entrano in tali situazioni (Umwelt);
b) le relazioni dell’individuo con gli altri individui (Mitwelt);
c) le relazioni dell’individuo con se stesso o con il proprio organismo (Eigenwelt).
La persona malata, dunque, non è più libera nel momento in cui non può più auto-determinarsi. Libertà e volontà, libertà e possibilità di scelta, rappresentano le due facce della stessa medaglia, e la malattia si tradurrà in perdita, progressiva o subitanea, di libertà. La libertà, inoltre, implica come noto sempre un grado (distinto a seconda dei diversi soggetti) di conoscenza: i dati raccolti e le evidenze fattuali dimostrano come, nel caso del Paese Ritrovato, ogni percorso proposto si proponga come scopo ultimo e fondamentale quello di rendere libero (o più libero, o nuovamente libero) l’individuo attraverso un processo di conoscenza, e soprattutto di riconoscimento, nei confronti di se stessi, degli altri, e del mondo che ci circonda.
Per concludere, alla concezione eccessivamente deflazionistica dell’autonomia degli individui, sempre più diffusa, oggi, in contesti che hanno a che fare con casi di demenza, il progetto in atto del Paese Ritrovato risponde con la forza dell’esempio. L’esemplarità cui qui si fa riferimento, tuttavia, è sempre strettamente correlata a un postulato universalistico: il Paese Ritrovato si pone come luogo reale, che vuole rallentare il decadimento cognitivo delle persone, e ridurre al minimo il livello di disabilità nella vita quotidiana: un modello di care e di cure che prende sul serio il mondo come è, noi nel mondo come siamo, ed esplora assetti e modelli di interventi e pratiche sociali come, entro i vincoli dati, possono essere. Tra la forza delle cose – la forza di ciò che è – e la forza delle idee – la forza di ciò che deve essere –, si insedia dunque la forza dell’esempio – la forza di ciò che è come dovrebbe essere.
Il tentativo in atto nel Paese Ritrovato, come scriveva Barrington Moore, è cercare tutti i modi possibili per migliorare decisioni inevitabili: «tentare un compito impossibile, valutare le cause delle sofferenze umane e gli sforzi per abolirle o ridurle in una forma adatta a suscitare il consenso tra persone informate e ragionevoli di opinioni politiche radicalmente diverse… una simile impresa è come tentare di vivere in una vecchia casa abitata da lungo tempo e ammobiliata da generazioni successive di occupanti dai gusti molto diversi. Che ne siamo o meno consapevoli, questa è in effetti la concreta situazione in cui si trova ogni essere umano, perché noi tutti viviamo in una civiltà che è in un senso estremamente concreto il precipitato delle passate esperienze umane» (Moore 1989).
Il Paese Ritrovato è, in questo senso, un universo di singole vicissitudini che diventa un universo di reciprocità. E siamo solo all’inizio.
Riferimenti bibliografici
Ballard, C., & Bannister, C. (2010), Criteria for the Diagnosis of Dementia, in J. O’Brian, D. Amesn, & A. Burns (Eds.), Dementia (pp. 31–47), London, Martin DunitzHaeusermann, T. (2017), “The Dementias–A Review and a Call for a Disaggregated Approach”, Journal of Aging Studies, 42, 22–31.
Haeusermann, T. (2017), “The Dementia Village: between Community and Society”, in Care in Healthcare. Reflections on Theory and Practice, F. Krause and J. Boldt eds., Palgrave Macmillan
Mill, J.-S. (2014), Saggio sulla libertà, Milano, Il Saggiatore.
Moore, B. (1989), Riflessioni sulle cause sociali delle sofferenze umane e su alcune proposte per eliminarle, Milano, Edizioni di Comunità.
Torre, E. (2010), Lezioni di psichiatria e psicologia clinica, Roma, Aracne, 2010.
Weiner, M. F., & Lipton, A. M. (2009), The American Psychiatric Publishing Textbook of Alzheimer’s Disease and Other Dementias, Arlington: American Psychiatric Publishing.
Note
1 Per una riflessione sul concetto di “normalità”, cfr. infra.
2 “È dunque chiaro che la città é per natura e che é anteriore all’individuo perchè se l’individuo, preso da sè, non é autosufficiente, sarà rispetto al tutto nella stessa relazione in cui lo sono le altre parti. Perciò chi non può entrare a far parte di una comunità o chi non ha bisogno di nulla, bastando a se stesso, non é parte di una città, ma o una belva o un dio", Aristotele, Politica , I 1-2, Torino, Utet 1955.
3 Aristotele, Politica, libro III.
4 Cfr. P. Sica, L’immagine della città da Sparta a Las Vegas, Bari, Laterza 1991, pag. 57 e segg.
5 Lewis Mumford, La città nella storia, Milano, Bompiani 1977, pag. 172.
6 Cfr. R. Sennett, La coscienza dell’occhio, Milano, Feltrinelli 1992: "Una delle principali differenze tra il passato greco e il nostro presente é che mentre gli antichi nella città potevano usare gli occhi per riflettere sull’esperienza politica, come su quella erotica o religiosa, la cultura moderna soffre di una scissione tra l’interno e l’esterno, tra l’esperienza soggettiva e l’esperienza del mondo, tra il sè e la città. La nostra cultura mostra i segni di un’aspra lotta ogni volta che si ha un tentativo di tradurre nel concreto la vita interiore".
7 I contributi più importanti, quelli che hanno fatto sì che il progetto decollasse, sono arrivati da tre famiglie illuminate della Brianza: Rovati, Fontana, Fumagalli, alle quali si sono aggiunte Fondazione Cariplo, Fondazione della Comunità di Monza e Brianza, Assolombarda Confindustria Milano-Monza ed Associazione Petri Cagnola.
8 Fonte: Alzheimer’s Desease International.