Da pressione a tensione verso l’innovazione (digitale): le opportunità per il welfare
In altre parole: è possibile trasformare la pressione sull’attuale sistema di welfare in tensione verso l’innovazione? Secondo chi scrive ci sono almeno tre buoni motivi per essere ottimisti e ritenere che le nuove tecnologie digitali potrebbero essere una delle risposte alle difficoltà del settore. Ossia bilanciare le difficoltà che si incontrano oggi nel costruire la capacità di risposta per un numero maggiore di cittadini che avrebbero bisogno del sostegno del sistema di welfare.
Il primo motivo è che la “rivoluzione digitale” porta con sé cambiamenti che hanno già profondamente inciso sul modo di vivere, lavorare, gestire le aziende e, in molti casi, hanno determinato il cambiamento della struttura e delle caratteristiche di interi settori.
Ci si riferisce a innovazioni che si differenziano per caratteristiche e meccanismi di funzionamento e presentano differenti gradi di sofisticazione e di diffusione. Di alcune vediamo già oggi le ricadute in termini pratici, sia all’interno di contesti frequentati quotidianamente (ad esempio, le nostre abitazioni), sia in contesti professionali, mentre per altre le possibili applicazioni concrete diverranno probabilmente più chiare nei prossimi anni. Tra le più importanti innovazioni digitali si annoverano dunque app, piattaforme e dispositivi mobili, sensori e altri oggetti connessi che concorrono a formare il concetto di “Internet of Things” (IoT), robotica, stampa 3D, intelligenza artificiale e machine learning, realtà aumentata e realtà virtuale, dispositivi indossabili (anche detti “wearable”). Si tratta di innovazioni che stanno entrando nella vita di tutti i giorni e modificano le modalità di fruizione dei servizi, nonché le aspettative delle persone sugli stessi.
Essendo quello del welfare un settore che si occupa di fornire servizi per le persone, appare evidente come esso non possa essere del tutto immune da questa rivoluzione: le logiche che caratterizzano l’epoca della digitalizzazione stanno infatti impattando sempre di più sui modelli di organizzazione ed erogazione dei servizi alla persona. In che cosa consistono questi cambiamenti?
- Il primo aspetto comune a pressoché tutte le innovazioni degli ultimi anni è, appunto, il passaggio da analogico a digitale, la “smaterializzazione” di ampie porzioni della nostra vita quotidiana.
- A questo elemento si unisce un constante tentativo di saltare le mediazioni e le intermediazioni, con una connessione sempre più diretta tra domanda e offerta, tra chi ha risorse da mettere a disposizione e chi ha un bisogno da soddisfare.
- Gli ecosistemi digitali all’interno dei quali ci muoviamo oggi sono costruiti per dare precedenza alla circolazione di contenuti, informazioni, conoscenze, con l’idea di superare confini fisici e mettere in relazione pressoché istantanea tutte le parti del Mondo. Scompaiono sempre di più i confini predefiniti e si riscontra una maggiore difficoltà nel ricondurre l’esperienza all’interno dei sistemi digitali a percorsi strutturati, formalizzati e definibili ex-ante. Il ruolo – spesso attivo o proattivo – dell’utente all’interno delle applicazioni e degli ecosistemi digitali diventa fondamentale nel determinare l’output.
- Crescono anche i livelli di incertezza, perché i ruoli tipici del mondo analogico sono messi in crisi da questo nuovo paradigma. Un altro tratto della rivoluzione digitale con cui deve fare i conti il sistema di welfare è quindi una relativa difficoltà, variabile da soggetto a soggetto, nel vivere all’interno di questo tipo di “ambienti”.
- Anche l’idea di semplicità e semplificazione ha la precedenza con la rivoluzione digitale e riguarda soprattutto la superficie: basti pensare agli smartphone, dove la semplificazione di interfaccia che viene restituita sullo schermo nasconde una complessità elevatissima che si gioca tutta all’interno del dispositivo e degli elementi che lo compongono.
Siamo sicuri dunque che lo spazio inesplorato sia portatore di buone notizie? Di certo è necessario rifuggire da una logica eccessivamente ottimista rispetto alla capacità delle innovazioni digitali di risolvere tutti i problemi del sistema di welfare. Tuttavia, il fatto che in altri settori la trasformazione digitale sia già stata portata avanti e abbia consentito di introdurre nuove modalità di interazione con gli utenti, di co-produzione di valore e di generazione di impatti positivi, non può che essere un altro segnale positivo anche per i servizi di welfare italiano.
Che cosa manca per una vera innovazione digitale nei servizi di Welfare
Che cosa manca dunque al settore per fare il salto di qualità? La percezione, sicuramente da approfondire attraverso ulteriori ricerche, è che il problema derivi da due elementi principali.
Un primo aspetto che influenza una maggiore lentezza nell’adottare innovazioni tecnologiche digitali nei servizi sociali e sociosanitari è legato a un fattore di impostazione culturale. Si parte dall’assunto che i servizi di welfare non possano prescindere dalla dimensione relazionale (considerazione tendenzialmente corretta) e che la digitalizzazione distrugga tale dimensione (affermazione non necessariamente vera). La trasformazione digitale non porta con sé solo il rischio di trasferire in una dimensione non materiale ciò che è sempre stato tangibile, ma anche l’opportunità di intercettare target di utenza prima esclusi dal perimetro dei servizi (creare nuove relazioni), ma anche di attivare risorse, sviluppare capitale sociale, tutte azioni in grado di rafforzare le reti di sostegno e supporto per le persone fragili o in condizioni di vulnerabilità.
Per rispondere dunque al quesito iniziale, quello che probabilmente manca al settore non è tanto la disponibilità di risorse (che è comunque un tema centrale quando si parla di innovazione e sostenibilità), né quella di innovazioni digitali: ciò di cui c’è (disperatamente?) bisogno è un orientamento all’innovazione dei modelli di servizio che passa attraverso una riflessione ex-ante su quali servizi si immagina e quali finalità si vogliono perseguire. Rispondendo ad alcune domande cruciali, come ad esempio: si vuole ampliare la platea di beneficiari già noti dei servizi o si vogliono intercettare nuovi target? Si vuole innovare la modalità di erogazione, il rapporto con l’utente o i meccanismi di accesso? Si vogliono perseguire efficientamenti organizzativi per liberare risorse o si vuole incentivare la messa in campo di nuove risorse da parte degli attori coinvolti? È importante sottolineare che il tema dell’efficienza dovrebbe essere sempre subordinato a quello dell’efficacia dei servizi, con la consapevolezza che nella maggior parte dei casi tentare la strada dell’innovazione, soprattutto nel breve-medio periodo, comporta una consistente componente di fisiologica inneficienza.
Riferimenti