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Quella dell’invecchiamento della popolazione è una delle sfide più rilevanti che il nostro Paese dovrà affrontare nei prossimi anni. L’indebolimento del “welfare fai-da-te” di stampo familistico, le difficoltà del settore pubblico nel fornire servizi adeguati alle esigenze di lungo termine degli anziani e delle loro famiglie, il ricorso ad assistenti familiari stranieri (le badanti) e altre soluzioni “informali” di assistenza: sono solo alcune delle dimensioni di un tema articolato, complesso e in continua espansione.

Per queste ragioni comprendere le diverse dinamiche che contraddistinguono il fenomeno sociale dell’invecchiamento, ed in particolare la dimensione della Long Term Care (LTC) – cioè l’assistenza di lungo periodo per le persone anziane non autosufficienti – significa favorire l’individuazione di soluzioni sostenibili nell’immediato ma anche, soprattutto, gettare le basi conoscitive per stabilire le linee strategiche e di sviluppo delle politiche sociali dei prossimi decenni.

Queste sono le premesse su cui si basa InnovaCAre, progetto di ricerca che nei prossimi due anni impegnerà un team multidisciplinare del Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano e dell’Università Vita-Salute San Raffaele, che si dedicherà allo studio di soluzioni per affrontare le sfide poste dall’invecchiamento alla società italiana. La ricerca, finanziata dalla Fondazione Cariplo attraverso il bando 2017 dedicato alla ricerca scientifica su questo tema (Aging and social research: people, places and relations), ha preso ufficialmente avvio nei giorni scorsi. Di seguito vi raccontiamo nel dettaglio tema, struttura e primi passi del progetto.


Invecchiamento: una dinamica irreversibile con cui fare i conti

Secondo il più recente Rapporto della Commissione UE sulle prospettive di invecchiamento della popolazione europea, nel 2016 il 22,1% degli italiani aveva più di 65 anni; il 6,3% più di 80. Un numero nettamente più alto della media dell’Unione Europea a 28, in cui gli over 65 si attestavano al 19,3% mentre gli over 80 al 5,4%.

Questo andamento demografico, a meno di sconvolgimenti imprevedibili – come guerre, epidemie o carestie su larga scala –, secondo le proiezioni dell’Eurostat continuerà a consolidarsi negli anni a venire. Entro il 2060 gli italiani over 65 saranno circa il 33,3% della popolazione– contro il 29% della UE28 – mentre gli over 80 dovrebbero arrivare al 15,5% – mentre saranno “solo” l’12,1% nella UE28.

Individuare le modalità migliori per creare un modello sostenibile sia dal punto di vista economico e sociale, sia sotto il profilo etico, è quindi prioritario per il nostro Paese che, come mostrano i dati, si troverà ad affrontare una sfida particolarmente impegnativa per la tenuta del sistema di welfare (in primo luogo sul fronte pensionistico e sanitario) e, più in generale, per garantire un futuro alla società italiana.


Un tema complesso

Per capire meglio quali saranno le migliori strategie da seguire nei prossimi anni è anzitutto utile comprendere meglio la situazione presente.

Da sempre nel nostro Paese – per molteplici ragioni di carattere storico, culturale e sociale – la questione dell’assistenza delle persone anziane non autosufficienti è largamente demandata alla famiglia. Nel momento in cui una persona anziana non si trovi più nelle condizioni di poter badare parzialmente o totalmente a se stessa, normalmente in suo aiuto intervengono i membri più o meno stretti della sua rete familiare, ed in particolare le componenti femminili delle stesse (mogli, figlie, sorelle, nipoti, etc.).

Negli ultimi anni tuttavia, a causa di un’ampia gamma di fenomeni concomitanti – come l’aumento dell’aspettativa di vita, la diminuzione del tasso di fecondità, il cambiamento delle abitudini sociali (in primis la diminuzione dei matrimoni e l’aumento di separazioni e divorzi), le migrazioni interne e la crescita dell’occupazione femminile – questo “welfare fai-da-te” è andato in crescente difficoltà nel rispondere a bisogni di cura degli anziani.

Le famiglie, sempre più deboli e disgregate, hanno quindi iniziato ad affrontare i problemi di cura degli anziani non autosufficienti percorrendo altre strade, affidandosi con crescente frequenza a assistenti familiari in coabitazione, più comunemente noti/e come "badanti". Un fenomeno, quello del “badantato”, legato principalmente alla debolezza del sistema pubblico sul fronte delle politiche per la LTC, ma anche a un modello sociale che considera la cura domiciliare un valore aggiunto rispetto a soluzioni volte all’istituzionalizzazione dell’anziano. Se da un lato il Pubblico, anche a fronte del forte ruolo assunto dalle reti familiari, ha tradizionalmente investito poco in politiche strutturali dedicate alla LTC – preferendo, ad esempio, finanziare contributi monetari come l’indennità di accompagnamento – dall’altro lato le famiglie hanno optato per l’assunzione di caregiver domiciliari rispetto al ricovero degli anziani in case di riposo, residenze sanitarie assistenziali (RSA) o socio-sanitarie assistenziali (RSSA).

Queste soluzioni di "welfare informale" si contraddistinguono per aspetti sia positivi sia negativi. Da una parte le famiglie, come accennato, tendono a preferire che i propri parenti siano assistiti nei loro ambienti domestici da lavoratori dedicati e “a tempo pieno”. Una soluzione che garantisce (o sembra garantire) ampia flessibilità, una sensazione di maggior controllo e costi economicamente più accessibili rispetto al ricovero in struttura. Al contempo, però, non mancano limiti e rischi legati a questo modello, che riguardano sia l’appropriatezza dell’assistenza erogata sia le condizioni dei lavoratori impiegati in questo settore. La bassa o assente qualificazione delle assistenti familiari, gli eccessivi carichi di lavoro, la ricorrente irregolarità della prestazione lavorativa (spesso associata a uno status di immigrato irregolare), oltre che le difficoltà nella gestione della relazione tra datore di lavoro e dipendente in un ambito domestico fortemente emotivo, sono solo alcuni degli aspetti contraddittori e problematici di questo modello.


Le domande che si pone InnovaCAre

Comprendere le dinamiche che oggi in Italia contraddistinguono la LTC è quindi fondamentale per individuare soluzioni che possano garantire un’assistenza adeguata, sostenibile ed equa sia per l’assistito (e la sua famiglia) sia per il caregiver, e che siano vantaggiose per il sistema di welfare nel suo complesso.

InnovaCAre in questo senso intende affrontare il tema dell’invecchiamento ponendosi alcune domande che aiutino a comprendere passato, presente e futuro delle misure di LTC. Basandosi su studi comparati esistenti sull’innovazione sociale, ad esempio, come si possono definire soluzioni "socialmente innovative" nel campo della LTC? Quali sono le esperienze internazionali più promettenti in questo campo? Quali ostacoli in Italia limitano il dispiegamento di processi di apprendimento dalle migliori pratiche europee? Come si possono equilibrare le esigenze dei diversi attori interessati dalle politiche di LTC?

Per rispondere a queste questioni InnovaCAre intende adottare un approccio multidisciplinare integrato, basato su quattro dimensioni fra loro strettamente intrecciate: il ruolo dell’innovazione sociale nel ridisegnare le politiche di welfare; il ruolo dell’innovazione sociale per lo sviluppo di misure di LTC; l’interazione tra immigrazione, assistenza e lavoro domestico; le riflessioni etico-normative che sottendono l’invecchiamento, la non autosufficienza, la vulnerabilità e la LTC.

La ricerca si baserà principalmente sull’adozione di metodi qualitativi (casi-studio, survey, interviste semi-strutturate e focus group) e analizzerà le pratiche e le politiche che possono essere adottate per rispondere ai bisogni di assistenza a lungo termine degli anziani non autosufficienti. Le analisi saranno realizzate da tre Unità di Ricerca che lavoreranno sinergicamente sugli aspetti politologici e di policy dell’innovazione sociale (UR1), sulla dimensione sociologica del fenomeno migratorio e dell’assistenza informale (UR2) e sulle questioni etico-normative implicate dai diversi modelli di assistenza (UR3). La ricerca, che si concluderà entro aprile 2020, vedrà la partecipazione di un ampio novero di stakeholder che a vario titolo sono impegnati nella definizione e realizzazione di misure di Long Term Care.


L’avvio ufficiale della ricerca

Il 6 aprile 2018, presso la Facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali dell’Università degli Studi di Milano, Antonio Maria Chiesi (Principal Investigator della ricerca e direttore del Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche di Unimi) ha coordinato il Kick-Off Meeting di InnovaCAre, durante il quale le Unità di Ricerca si sono confrontate sul lavoro da svolgere e sugli aspetti su cui occorrerà concentrarsi prioritariamente.

La UR1, rappresentata da Maurizio Ferrera, Ilaria Madama e Franca Maino (Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano), ha illustrato il contesto e le principali sfide di policy nel campo della LTC in Europa e in Italia. Il gruppo ha quindi individuato i filoni su cui concentrerà la propria analisi: le politiche e pratiche messe in atto per rispondere ai bisogni degli anziani non autosufficienti in diversi contesti locali; le soluzioni che possono essere considerate “socialmente innovative” nel campo della LTC e relative esperienze internazionali più promettenti a livello locale in questa area; l’individuazione delle barriere che ostacolano i processi di apprendimento politico-istituzionale delle eventuali best practice individuate.

La UR2, rappresentata da Maurizio Ambrosini, Luisa Leonini, Paola Rebughini e Paola Bonizzoni (Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano), ha delineato il modello culturale che sta alla base del “welfare informale” affermatosi nel nostro Paese e i fattori che lo hanno alimentato, confrontandolo con la diversa esperienza maturata a parità di condizioni in altri Stati dell’UE. Un tema centrale ai fini della ricerca, poiché l’innovazione sociale nella LTC deve confrontarsi con la situazione esistente ma anche con le preferenze che anziani e famiglie hanno palesato negli ultimi decenni per soluzioni auto-gestite e realizzate in ambito domestico.

La UR3, rappresentata da Roberta Sala e Massimo Reichlin (Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele) e da Beatrice Magni (Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano) ha invece posto l’accento sugli aspetti etico-normativi legati alla cura del malato, con particolare attenzione a tema della vulnerabilità. Tra le questioni eticamente salienti nell’ambito delle attività di cura e di assistenza rientrano quelle legate al genere, quelle dovute alla sempre maggiore presenza delle nuove tecnologie nel rapporto tra caregiver e assistito, le quali sembrano in parte ridisegnare tale rapporto, in una maniera del tutto impensabile anche solo nel recente passato. L’attenzione sarà rivolta, infine, alla questione della giustizia e del razionamento delle risorse sulla base dell’età (il cosiddetto rischio dello age-rationing); uno scenario che appare sempre meno remoto e quanto più futuribile.


Un punto di vista privilegiato sulla ricerca

Nei prossimi mesi, attraverso un apposito Focus di approfondimento che sarà aperto su www.secondowelfare.it, cercheremo di dar conto dei progressi del progetto InnovaCAre. Attraverso dati, interviste, riflessioni e analisi delle esperienze sviluppate nel corso della ricerca offiremo a chiunque sia interessato spunti interessanti per comprendere a fondo una sfida che, come detto, è cruciale per la tenuta del nostro welfare e, in generale, per creare un futuro sostenibile ed equo per la cura degli anziani nel nostro Paese.