In Italia, l’assistenza agli anziani tramite l’impiego di assistenti familiari straniere (le cosiddette “badanti”) è una realtà di fatto da diversi anni. La ricerca che Maurizio Artero e Minke Hajer hanno condotto per InnovaCAre – progetto in cui è coinvolto anche il nostro Laboratorio – ha portato ad esplorare cosa ne pensano i “protagonisti” di questo fenomeno: gli assistenti, gli assistiti e i loro familiari. Ne è venuto fuori un quadro di cui di seguito saranno presentati alcuni risultati. Tra difetti e punti di forza, l’esigenza maggiore è quella di valorizzare la professionalità dei lavoratori e rafforzare gli strumenti che possano aiutare in questo compito.
Assistenti familiari: una realtà consolidata
In Italia, dove gli ultra 74enni sono ben oltre il dieci per cento della popolazione (più di sette milioni, per altro in costante crescita), il “welfare invisibile” nell’assistenza agli anziani è ormai una realtà consolidata. Negli ultimi tre decenni, i familiari di anziani non autosufficienti, infatti, di fronte all’incapacità dei servizi sociali a fornire aiuto nell’assistenza, soprattutto nel modo da loro maggiormente desiderato, cioè in ambito domestico, hanno trovato una soluzione “innovativa” da fuori, tramite il parziale trasferimento dei compiti di cura a uomini e soprattutto donne immigrate, spesso rivolgendosi al mercato informale e sommerso.
Questa soluzione, che vent’anni fa è stata definita da Castegnaro la “rivoluzione occulta” dell’assistenza agli anziani, è oggi sotto gli occhi di tutti: è la seconda risorsa di cura alla quale le famiglie si rivolgono, di gran lunga più delle altre soluzioni “tradizionali” come le case di cura. Secondo il rapporto di Domina del 2019, i lavoratori domestici sono due milioni, molti dei quali sono assistenti familiari (cioè “badanti”, come spesso vengono definiti) e per più del settanta per cento sono persone immigrate. È un numero altissimo, in aumento in tutta Europa; in Italia, però, a differenza di altri Paesi i lavoratori stranieri del settore della cura non sono inseriti nel sistema di welfare nazionale ma sono assunti direttamente dalle famiglie (che dovrebbero fungere da datori di lavoro), spesso informalmente, anche senza contratto.
La ricerca nel “triangolo della cura”: non rivoluzionare ma superare i difetti
Questa modalità di assistenza istituisce e si basa su quello che possiamo chiamare un triangolo della cura: una forma di assistenza (e di relazioni) che vede coinvolti l’assistente, l’anziano assistito, e uno o più familiari dell’anziano che si occupano di “gestire” il rapporto di lavoro con il lavoratore. Su questa forma di assistenza abbiamo svolto uno studio di cui riportiamo qui alcune indicazioni rilevanti. Dalla nostra ricerca emerge che ci sono sia pregi che difetti in questo modello. Molto spesso per gli interpellati occorre eliminarne i limiti e le criticità, più che superare tout-court questa forma di assistenza. Ad esempio, per molti i legami di fiducia e affettività che circolano all’interno del triangolo, con dinamiche di “familiarizzazione”, sono elementi fondamentali e permettono di soddisfare alcuni dei bisogni più importanti; allo stesso tempo rischiano di amplificare le occasioni di sfruttamento.
Welfare informale di cura: alcuni elementi critici
Le interviste mettono bene in evidenza questi limiti. In particolare, molte famiglie lamentano la mancanza di garanzie minime di qualità dell’assistenza, oltre che di un insieme di sostegni e servizi. Per il primo punto, risulta come, oggi più che mai, nell’assistenza agli anziani un’identità autenticamente professionale fatica a realizzarsi. Una buona parte delle assistenti familiari non dispone della formazione professionale necessaria alla cura specifica dell’assistito, specialmente quando è afflitto da patologie cliniche, finendo sovente ad adempiere a lavori di assistenza e cura senza le giuste conoscenze. Nella difficoltà a superare questa situazione concorrono, prima di tutto, i costi e gli impegni necessari per professionalizzarsi. I corsi più qualificanti, infatti, quelli che permettono di ottenere certificazioni come assistenti professionali, possono costare diverse migliaia di euro. Ciò nonostante, dalle interviste emerge come alcune assistenti sarebbero interessate a frequentare corsi che permettono di qualificarsi professionalmente o almeno di acquisire o migliorare importanti conoscenze (ad esempio linguistiche) ma non ne avrebbero il tempo, anche se disponessero dei soldi necessari.
A questa lacuna si aggiunge una sottovalutazione del lavoro delle assistenti da parte delle famiglie: manca, cioè, nelle famiglie la consapevolezza che questa sia una vera e propria professione. Le famiglie spesso ammettono di basarsi nella scelta dell’assistente da assumere non su qualifiche o capacità hard-skill ma piuttosto ricercano e selezionano quei lavoratori che sembrano maggiormente flessibili e in possesso di soft-skills. Inoltre, la sottovalutazione del lavoro di assistente (insito anche nella parola “badante”, come colui che sorveglia animali) porta molte famiglie a caricare di obblighi le assistenti, al di là del ruolo concordato. Assistenze notturne non pattuite e la mancanza di pause sono purtroppo esperienze comuni per le assistenti, anche per coloro che hanno un contratto regolare. Questa “delega” si somma ad esperienze di abusi fisici e verbali e rende il lavoro di alcune assistenti particolarmente duro e isolante.
Le famiglie contattate nella ricerca, dal canto loro, oltre a sottolineare l’assenza nei lavoratori di competenze che permetterebbero una miglior gestione dell’assistito, hanno lamentato, in generale, la mancanza di servizi complementari. Si aggiunga anche la mancanza di un punto di riferimento medico per organizzare al meglio la cura di una persona anziana, specie se con problemi complessi come quelli cognitivi, e il risultato è lo sviluppo di un sentimento di abbandono. In questi casi, emerge come le politiche pubbliche messe in campo, e basate sul trasferimento di denaro, lasciano sole le famiglie, con danni soprattutto per quelle più fragili e meno attrezzate. Le famiglie non chiedono solo soldi ma anche servizi e orientamento: aiuto nella scelta dell’assistente, supporto nella gestione dei contratti, sgravi fiscali per chi assume in regola, servizi complementari, coordinamento coi servizi esistenti, più facilità nel rapporto con la pubblica amministrazione.
Cosa fare? Alcuni suggerimenti per valorizzare l’esistente
Tutto questo vuol dire sia investire nel nostro welfare, sia pensare a soluzioni innovative. Più “modestamente”, le interviste suggeriscono però anche l’elaborazione di iniziative che valorizzino ciò che già esiste. In questo senso, nella ricerca abbiamo osservato l’operato di alcuni sportelli badanti, uno strumento che si è andato moltiplicando nel corso degli ultimi anni.
Gli sportelli badanti sono servizi che favoriscono l’incontro tra i bisogni di assistenti e famiglie. Attualmente, questo si declina in diversi modi: da luoghi di semplice informazione fino a servizi che offrono sostegno continuativo. Particolarmente preziosi sembrano essere quelle realtà che coniugano il supporto ai datori di lavoro (ad esempio, tramite orientamento alla scelta degli assistenti e contributi pubblici) con quello ai lavoratori (riconoscimento delle loro capacità, istituzione di albi, orientamento a servizi di formazione).
Questi sportelli, inoltre, possono svolgere anche il ruolo di punto di riferimento esterno nelle difficili mediazioni dei rapporti di lavoro: in alcuni casi, la loro presenza aiuta sia i datori di lavoro sia gli assistenti a rendere negoziabili le condizioni di lavoro ed evitare casi di sfruttamento involontario. A questo proposito, emerge come auspicabile una maggior regolazione e sistematizzazione di quei servizi che coniughino il semplice matching fra domanda e offerta, fornito da diverse realtà, con attività di informazione, consulenza, orientamento e monitoraggio.
Riferimenti bibliografici
Ambrosini, M. (2013). Immigrazione irregolare e welfare invisibile. Il lavoro di cura attraverso le frontiere. Bologna, il Mulino.
Castegnaro, A. (2002). La rivoluzione occulta nell’assistenza agli anziani: le aiutanti domiciliari. Studi Zancan. Politiche e servizi alle persone, 2, pp. 11-34.
Catanzaro, R., & Colombo, A. (a cura di) (2009). Badanti & Co: Il lavoro domestico straniero in Italia. Bologna, il Mulino.
Costa, G. (2007). Quando qualcuno dipende da te. Per una sociologia della cura. Roma, Carocci.
Degiuli, F. (2016). Caring for a living: migrant women, aging citizens, and Italian families. Oxford University Press.
Domina (2019). Primo rapporto sul lavoro domestico. Fondazione Leone Moressa.
Pasquinelli, S., & Rusmini, G. (2013). Badare non basta. Il Lavoro di Cura: Attori, Progetti, Politiche. Roma, Ediesse.