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Che cosa è il mercato? Questa domanda in apparenza banale nasconde molte insidie. Uno studente di microeconomia ci potrebbe rispondere che il mercato rappresenta lo strumento per allocare in modo efficiente i fattori della produzione, in cui i produttori producono beni fino a quando il ricavo marginale derivante dalla vendita di un bene non è pari al costo marginale di produzione. In questa visione meccanicistica ed ingegneristica del mercato ci sono curve di domanda e curve di offerta che determinano, sempre, un punto di equilibrio a cui corrisponde un prezzo che garantisce l’utilizzo ottimale dei fattori di produzione e, nel lungo periodo, l’assenza di extra-profitti. Il mercato rappresenta, quindi, lo strumento che garantisce al meglio gli interessi dei consumatori che acquisteranno beni e servizi al minor prezzo praticabile e permette agli imprenditori di liberare il loro spirito imprenditoriale. In questa visione le caratteristiche associate al mercato sono la libertà d’impresa, il dinamismo organizzativo, l’efficienza, la centralità della domanda.

La risposta dello studente potrebbe sembrare sufficientemente esaustiva ma in realtà non è corretta perché lo studente ha scambiato il mercato con la concorrenza perfetta. Se prendiamo un manuale di microeconomia scopriamo, infatti, che la concorrenza perfetta è una forma di mercato ma non è la sola. L’errore dello studente, tuttavia, potrebbe essere in parte scusato perché nel discorso pubblico, negli ultimi trent’anni, si sono attribuite le caratteristiche della concorrenza perfetta ad un generico “mercato”, dimenticando di dire ai cittadini, agli elettori e alle opinioni pubbliche che per assicurare l’efficienza attraverso la concorrenza perfetta devono essere rispettate alcune condizioni che difficilmente si riesce a garantire nell’economia reale. È quindi un errore confondere il mercato con la concorrenza perfetta.

Negli anni Duemila, inoltre, sono evidenti in modo inequivocabile i fallimenti del mercato o, come sarebbe più opportuno dire, i fallimenti dei mercati. In primo luogo, i mercati dovrebbero essere stabili. Tuttavia, la crisi finanziaria globale ha mostrato che possono essere molto instabili ed alimentare dinamiche speculative con drammatiche conseguenze sulla vita di milioni di persone. In secondo luogo, i mercati dovrebbero essere efficienti allocando nel modo migliore le risorse ma giornalmente sperimentiamo che i mercati non sono efficienti. Vi sono infatti enormi bisogni sociali ed ambientali insoddisfatti e contemporaneamente grandi risorse inutilizzate (Stiglitz, 2012).

Pur in presenza di questi fallimenti, negli ultimi decenni abbiamo vissuto l’epoca del trionfalismo dei mercati in cui i governi e le opinioni pubbliche hanno riposto massima fiducia nei mercati come leva per raggiungere il benessere collettivo. Il mercato da strumento per allocare i fattori della produzione sta entrando nelle nostre vite in modo sempre più pervasivo. Siamo passati dall’avere un’economia di mercato all’essere una società di mercato (Sandel, 2012), cioè una società in cui i valori di mercato penetrano in ogni aspetto della vita umana, trasformandolo.

Il rapporto con il mercato delle imprese sociali

Negli ultimi anni in Italia ed in Europa il rapporto con il mercato è divenuto un tema centrale anche nel dibattito pubblico sulle imprese sociali. Diversi attori – governi, think thank, player finanziari, media – spingono le imprese sociali ad essere sempre più imprese orientate al mercato, cioè organizzazioni che producono beni e servizi per le famiglie e le imprese senza la mediazione del pubblico. Questa prospettiva si lega all’idea che il mercato, la concorrenza tra le imprese sociali e l’ingresso nel settore del welfare di imprese di capitali socialmente orientate sono strumenti utili ad innalzare il livello di efficienza nel sistema di welfare e a rendere più competitivo il sistema Paese. Negli anni duemila, anche in seguito alla crisi economica che ha ridotto la domanda pubblica di beni e servizi, le imprese sociali sono state spinte ad adottare un maggior orientamento al mercato privato ed a sviluppare nuovi modelli di impresa in grado di attrarre la domanda privata pagante ed i capitali dei grandi player finanziari, sviluppando modelli organizzativi e strategie competitive che si “ibridano” con quelli tipici delle società di capitali.

Il forte orientamento al mercato sembra essere la caratteristica distintiva della “nuova impresa sociale” che – per alcuni osservatori – è capace di superare le inefficienze della macchina burocratica pubblica, delle imprese private orientate al profitto e delle tradizionali organizzazioni del Terzo settore. Nella “nuova” imprenditorialità sociale che ruolo hanno le caratteristiche tipiche delle imprese sociali come il perseguimento di finalità solidaristiche, la governance democratica ed un elevato livello di integrazione con le politiche pubbliche?

I sostenitori dell’apertura al mercato delle imprese sociali evidenziano una pluralità di vantaggi di questa scelta strategica, tale narrazione, tuttavia, non sembra essere supportata da adeguate evidenze empiriche. Molte promesse del mercato sono frequentemente smentite dai fatti. Un crescente orientamento alla domanda privata se da un lato può innalzare il livello di efficienza e di competitività delle organizzazioni dall’altro rischia di ridurre il livello di autonomia e di indebolire le finalità solidaristiche delle imprese sociali, riducendo l’attitudine di queste organizzazioni a fare azioni di advocacy, a costruire reti ed alleanze sociali.

Peraltro, le imprese sociali già oggi sono organizzazioni che stanno ed hanno una quota significativa di ricavi derivanti dalla vendita di beni e servizi a privati. Esemplari sono in tal senso le esperienze delle cooperative di inserimento lavorativo che operano frequentemente con i clienti privati creando opportunità di lavoro per persone svantaggiate, le numerose cooperative che utilizzano a fini produttivi i beni confiscati alle mafie e le esperienze di quelle cooperative sociali che sono impegnate nello sviluppo locale integrando servizi di welfare con attività produttive e turistiche. In tutte queste circostanze le imprese sociali, operando sul mercato, producono inclusione e giustizia sociale.

Come orientarsi nel mercato

La giustizia sociale può costituire una bussola per orientare le scelte delle imprese sociali nel mercato (Bernardoni, Picciotti, 2017). Le cooperative devono operare, senza indugi, sul mercato in tutte quelle situazioni in cui la vendita di beni e servizi a famiglie ed imprese crea le condizioni per garantire diritti a persone deboli e, così facendo, per ridurre le diseguaglianze presenti nella società. La situazione è più complessa in quelle circostanze in cui le imprese sociali producono per il mercato servizi sociali e socio-sanitari che possono essere acquistati esclusivamente dal ceto medio o dalle famiglie più agiate. In questi casi stanno producendo giustizia sociale? Una moderna struttura residenziale per anziani con una retta mensile superiore a 3 mila euro, senza cofinanziamento pubblico che riduce la retta a carico delle famiglie, innalza il livello di equità della comunità in cui la struttura è situata oppure riproduce nella comunità una separazione tra gli anziani che possono pagare la retta e quelli che non possono permettersi questo servizio? Può esistere un’impresa sociale che pensa solo ai benestanti?

Nella prossima edizione del Workshop sull’impresa sociale in programma il 12 e 13 settembre una sessione sarà dedicata a questi temi e, grazie anche al punto di vista degli imprenditori sociali, si cercherà di capire in che modo le imprese sociali possono operare nel mercato senza interiorizzare i “valori” di mercato e come posso “utilizzare” il mercato per raggiungere obiettivi sociali.

Riferimenti Bibliografici

Stiglitz J.E. (2012). The price of inequality: How today?s divided society endan-gers our future, Norton & Company.
Sandel M. (2012), What Money Cant Buy:The Moral Limits of Markets, Macmillan.
Bernardoni A., Picciotti A. (2017), Le imprese sociali tra mercato e comunità, FrancoAngeli.