Dopo circa un anno siamo tornati ad approfondire il caso dell’accoglienza nel Comune di Vogogna nel cuore della Val d’Ossola, cercando di capire cos’è cambiato in questo periodo di pandemia e come si racconta l’accoglienza in un piccolo Comune montano. Ne hanno parlato con Beatrice Gria, assistente sociale, e Davide Varalli, psicologo. L’intervista è stata realizzata nell’ambito del progetto Interreg Italia Svizzera Minplus, da cui prende spunto anche il nostro Focus Immigrazione e Accoglienza.
Una valle ai confini del Piemonte
Vogogna è un comune montano di poco più di 1.700 abitanti della Val d’Ossola, ai confini con la Svizzera. Come avevamo già raccontato qui, Le esperienze di accoglienza realizzate in questo comune sono state oggetto di analisi in uno studio promosso da Compagnia San Paolo sul possibile ruolo dei Comuni montani nell’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati.
L’accoglienza e l’implementazione di percorsi di accompagnamento all’inclusione sociale e lavorativa in contesti montani è un tema di grande rilevanza, com’è noto, nella letteratura sui sistemi di accoglienza. È infatti anche in questi territori, lontani dalle grandi città, che si gioca la partita dell’accoglienza, cercando di mettere in relazione due fenomeni, da un lato lo spopolamento e dall’altro dall’inclusione dei nuovi arrivati. Abbiamo approfondito questo tema anche a proposito dell’accoglienza in alta Valle di Susa, di cui abbiamo parlato qui. Passando dal confine con la Francia a quello con la Svizzera si trovano diverse analogie, prima fra tutte l’idea di un’accoglienza integrata nel territorio.
Cos’è cambiato nell’anno della pandemia?
In conseguenza del Decreto Lamorgese, l’ex SPRAR di Vogogna oggi si è trasformato in un centro SAI (Sistema Accoglienza Integrazione) ed accoglie sia titolari di protezione internazionale sia richiedenti asilo (si tratta in ogni caso di maggiorenni uomini). Il SAI è gestito dalla cooperativa Versoprobo per conto del Comune di Vogogna. Siamo tornati a discutere di accoglienza e integrazione con Beatrice Gria, assistente sociale del Comune di Vogogna, e con Davide Varalli, psicologo della cooperativa Versoprobo.
Nel dialogo con loro è emerso come siano diversi i cambaimenti intervenuti nell’ultimo anno: la pandemia ha ristretto le possibilità di realizzare percorsi di inclusione lavorativa, in un territorio così legato al turismo del lago, e quindi così colpito duramente dalla services recession. Sono mutate inoltre le rotte dei migranti e quindi i Paesi di origine; oggi, infatti, gli arrivi provengono per la maggior parte dall’Est, e quindi da Paesi come l’Afghanistan e il Pakistan (tema di cui abbiamo parlato qui).
“Gli ospiti vengono o dal CAS del territorio o sono nuovi arrivi della rotta dell’Est” ci ha hetto Beatrice Gria “quindi da un lato possono arrivare persone che hanno già fatto un percorso, mentre dall’altro lato possono arrivare persone che non sanno parlare italiano e non sanno scrivere in italiano, sono 22 persone, un piccolo centro, una comunità…”
Come anticipato, In conseguenza del decreto Lamorgese, oggi il centro ospita sia titolari di protezione sia richiedenti asilo. Quest’ultimo aspetto comporta alcune difficoltà per gli operatori che si trovano di fronte a situazione e percorsi molto diversi, con gli uni si cerca di portare a compimento percorsi di inclusione già avviati – la seconda accoglienza -, con gli altri invece si parte dal principio, dalle lezioni di italiano alla conoscenza del contesto territoriale e sociale in cui si ritrovano – la prima accoglienza, appunto.
Prima e seconda accoglienza
Come sottolinea Davide Varalli, quest’ultimo aspetto influisce anche sul piano delle modalità comunicative con gli ospiti: “è necessario spiegare chiaramente la diversità di situazione in cui i migranti ospiti della stessa struttura si trovano in ragione del diverso status giuridico e del diverso percorso, può essere sfidante per gli operatori ma alla fine è un’esperienza positiva”. Un ruolo di primo piano viene svolto dall’educatrice del centro, con il supporto del mediatore culturale. L’educatrice costituisce anche la figura ponte tra il centro e il resto della comunità. Oltre a Beatrice, a Davide, all’educatrice e al mediatore culturale, lavorano nel centro anche un operatore legale e un addetto alla cucina.
Sono in parte diverse le reti multi-attore che è necessario attivare per i richiedenti asilo e per coloro che sono già titolari di protezione internazionale. Nel primo caso la necessità che ha la priorità è quello dell’apprendimento della lingua: dunque si tratta di procedere all’iscrizione al Cpia più vicino (Novara) e allo svolgimento di attività di insegnamento dell’italiano all’interno della stessa struttura (secondo quando previsto dal SAI).
Nel caso delle persone che hanno ottenuto lo status di rifugiati, sono la formazione professionale e il lavoro i due temi principali. Lo strumento di inserimento al lavoro a cui si fa solitamente ricorso è il tirocinio. Le attività di scouting delle imprese in un contesto come quello della Val d’Ossola avvengono soprattutto attraverso il passaparola. Fungono spesso da intermediari gli stessi imprenditori che hanno ospitato in qualità di tirocinanti persone provenienti dal centro di accoglienza di Vogogna. Sono poi anche le agenzie formative che erogano i corsi di formazione per stranieri della Regione Piemonte a contribuire al collocamento dei migranti: gli stage formativi in alcuni casi si traducono infatti in contratti di lavoro.
Ancora Beatrice Gria ha ricordato che “dopo un anno di accoglienza possono avvenire entrambe le cose, alcuni si sono insediati anche nell’Alta Ossola, altri cambiano a volte Stato a volte provincia; abbiamo attivato tirocini nella ristorazione, nel turismo, ma anche nell’industria e nell’agricoltura, la pandemia ha certamente reso tutto più difficile”.
L’inclusione lavorativa in un contesto oggi duramente colpito dalla crisi
Perché il tirocinio sia un efficace strumento d’inserimento e di socializzazione al contesto lavorativo è importante svolgere una funzione di tutoraggio e di monitoraggio che coinvolga contestualmente tirocinanti e datori di lavoro. Questi ultimi confrontandosi con gli operatori dell’accoglienza offrono inoltre importanti elementi di conoscenza sui bisogni, le aspettative e le competenze di coloro che svolgono i tirocini. Non di rado offrono sostegno anche nell’individuazione di una soluzione abitativa.
Quando intervistiamo Beatrice e Davide il progetto si trova vicino al momento di rinnovo e affronta le difficoltà legate alle conseguenze della pandemia e della profonda crisi del settore turistico, alberghiero e dei ristoranti. Tuttavia, i problemi che affronta e ha affrontato questo territorio sono stati anche un’occasione per rafforzare il senso di comunità e la partecipazione dei migranti. È stato il caso della alluvione dell’ottobre scorso: su iniziativa dell’educatrice, i migranti ospiti del centro si sono attivati per aiutare gli abitanti nello svuotare le cantine allagate. Ma non è stata l’unica occasione: gli ospiti del centro si sono adoperati anche per la pulizia dei sentieri e per il recupero dell’orto comunale.
Queste esperienze di collaborazione, e l’attitudine a parlare in modo diretto degli ossolani, sono secondo Beatrice e Davide tra le ragioni che spiegano la buona accoglienza nel paese montano, che nel tempo sembra avere per lo più superato le iniziali diffidenze che si verificarono al momento dell’apertura dello SPRAR nel 2016. “Immaginatevi un centro di accoglienza, qui, in Val d’Ossola, con questi ragazzi, all’inizio tutti subsahariani. Poteva sembrare difficile e invece è stata un’esperienza positiva, e per questa ragione che partendo da qui vorremmo in futuro moltiplicare le occasioni di coinvolgimento della comunità locale, anche per diffondere conoscenza non solo sull’iter legale ma anche sulle storie di accoglienza, quelle andate bene, quelle andate male, quelle che hanno arricchito questo territorio” conclude Beatrice Gria.