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Il fenomeno della tratta a scopo di sfruttamento sessuale

I rivolgimenti che hanno investito l’economia mondiale alla fine del XX secolo ridefiniscono i movimenti migratori modificandone le traiettorie, ampliandone le dimensioni quantitative e mutandone la composizione etnica, religiosa e professionale.

La richiesta di manodopera si è polarizzata da una parte in direzione di elevati standard professionali, dall’altra dilatando a dismisura la richiesta nel settore terziario, in particolare verso le attività più dequalificate. Per quanto riguarda l’Italia, alle correnti tradizionali, provenienti dal Nord Africa e dall’Albania, nei primi anni duemila, si affiancano i movimenti migratori che hanno origine dall’Est Europa, dall’America del Sud e dall’Africa Occidentale, in particolare da quest’ultima area provengono le correnti che rappresentano il paradigma delle migrazioni del nuovo millennio.

Con la chiusura dei flussi per motivi di lavoro nell’ultimo decennio, diventano protagonisti dei movimenti verso l’Italia persone che vedono nella richiesta di protezione internazionale l’unica via per entrare nel nostro paese. Inizia così il fenomeno dei viaggi della speranza, prima attraverso il Sahara e poi dalle coste libiche verso l’Italia.

Questo nuovo tipo di emigrazione è in buona parte favorito dalla presenza di un traffico internazionale di uomini e donne gestito da organizzazioni criminali che fanno leva sulle aspettative di quanti scorgono nella possibilità di raggiungere le coste del Sud Europa la soluzione ai problemi di sopravvivenza loro e delle loro famiglie. Per raggiungere questo obiettivo sono disposti a pagare a intermediari e trafficanti forti compensi, spesso frutto dei risparmi di intere famiglie.

Un’altra tendenza che accomuna l’Italia e gli altri paesi dell’Europa meridionale, è la crescente partecipazione femminile ai flussi migratori. Le donne che emigrano sole vanno ad inserirsi nelle posizioni più basse del mercato del lavoro, particolarmente nel cosiddetto “terziario umile” che fornisce servizi e cure personali, domestiche, ma anche sessuali.

Nel nostro paese l’esempio più evidente del rapporto tra illegalità degli ingressi e caratteristiche del mercato del lavoro è dato dalla dinamica che regola le attività collegate al lavoro domestico e di assistenza. In questo settore la carenza dei servizi pubblici ha stimolato una forte domanda di lavoro femminile immigrato che è andato a coprire i vuoti nelle attività più dequalificate o ritenute tali.

Le donne straniere si fanno carico di tutte quelle attività finora portate avanti dalle italiane nell’assistenza, in particolare degli anziani, considerati fino a ieri improduttivi, poiché compito storico delle donne all’interno della famiglia. Sul gradino più basso del “terziario umile” vanno a collocarsi le donne immigrate che forniscono e il più delle volte sono costrette a fornire, ad un mercato che non subisce flessioni, servizi di tipo sessuale.

Condizioni di miseria estrema spingono giovani donne, ingannate da organizzazioni criminali, a raggiungere il nostro Paese con il miraggio di un lavoro “normale” e ben remunerato che le porta invece a essere prostituite in maniera coatta. L’enorme valore economico della loro attività porta all’estrema conseguenza lo sfruttamento a cui tradizionalmente erano state sottoposte le prostitute nel passato.

Si può dunque dire che il fenomeno della riduzione in schiavitù di queste ragazze e della loro “esportazione” verso i paesi occidentali è strettamente legato al fenomeno dell’emigrazione nel suo complesso e ne rappresenta uno dei risvolti più tragici.

L’esperienza di collaborazione tra Liberazione e Speranza e Filos

È in questo contesto che è andata ad inserirsi la collaborazione tra l’Associazione Liberazione e Speranza e l’Agenzia Formativa Filos sul territorio del Novarese, dando vita ad una serie di progetti mirati all’integrazione e all’inserimento socio-lavorativo di donne vittime di tratta.

Liberazione e Speranza ONLUS è un’organizzazione nata a Novara e iscritta alla terza sezione del Registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività a favore degli immigrati e che erogano programmi di assistenza e protezione sociale disciplinati dall’articolo 18 del Testo Unico sull’immigrazione (D.Lgs. del 25.07.1998 n. 286).

Secondo quanto affermato dallo statuto dell’associazione, essa “opera con l’obiettivo di affermare la giustizia sociale e a garantire il rispetto e la tutela della dignità umana, rivolgendosi in modo specifico delle persone sottoposte a sfruttamento sessuale e a violenza di genere nonché vittime di tratta, attraverso azioni di sensibilizzazione, informazione, formazione, denuncia, promozione del cambiamento e della coesione sociale per la assunzione di responsabilità collettive”.

Filos, ente accreditato presso la Regione Piemonte per la formazione, l’orientamento e i servizi al lavoro, opera a Novara dalla metà degli anni Settanta, prima come IAL Piemonte e dal 2010 con l’attuale denominazione. Nella propria azione, si ispira alla centralità della persona considerata nella sua individualità con proprie caratteristiche, orientamenti e propensioni. Vede nella formazione e nei percorsi di orientamento ed empowerment personale lo strumento principale per l’integrazione socioeconomica dei soggetti svantaggiati del mercato del lavoro.

La sensibilità sui temi dell’inclusione che è andata via via maturando, ha spinto Filos ad avvicinarsi in modo sempre più concreto e operativo ai temi della parità e della violenza di genere, presente sul nostro territorio anche nella sua declinazione più odiosa, rappresentata dalla tratta di esseri umani a fini di sfruttamento sessuale. Questo avvicinamento si è concretizzato attraverso l’incontro e la collaborazione con l’Associazione Liberazione e Speranza e successivamente nella partecipazione a bandi pubblici per la realizzazione di progetti che avessero come tema, da una parte il contrasto alla violenza di genere e alla tratta, dall’altra la valorizzazione del ruolo della donna nel mondo del lavoro.

Miriam Martelli referente per i Servizi al lavoro e operatore antidiscriminazione di Filos descrive le attività frutto della collaborazione tra i due Enti che hanno coperto un intero decennio: “tra il 2009 e il 2011 un ATS costituita da Liberazione e Speranza e Filos ha gestito il progetto “AAA Lavoro cercasi”, nel biennio 2012-2013 i due enti, in associazione con altri soggetti pubblici e privati, hanno promosso il progetto “Futura” e nel 2017-2019 le due realtà si sono nuovamente unite per dare vita al progetto Joy-un ponte per l’inclusione. Tutte queste attività sono state realizzate su finanziamento del Settore Pari Opportunità della Regione Piemonte”

L’idea alla base degli interventi promossi dai due soggetti è quella di coniugare le politiche attive del lavoro e quelle di Pari Opportunità per dare vita a progetti che mirino a favorire l’accesso al mercato del lavoro di “soggetti femminili svantaggiati”, in questo caso donne straniere, vittime di sfruttamento sessuale e di tratta, inserite in percorsi di integrazione ex articolo 18 del Testo Unico sull’immigrazione.

La referente chiarisce che: “Queste donne sono accomunate da storie molto simili: attirate da false promesse di un lavoro legale, vittime di organizzazioni criminali, indotte alla sottomissione e alla prostituzione, vivono una triplice forma di discriminazione in quanto donne, straniere e vittime di sfruttamento sessuale”.

Sono persone che, una volta intrapreso il percorso di uscita dallo sfruttamento e proprio a causa di questo stato, incontrano numerose difficoltà nell’inserimento socio-lavorativo. Il lavoro viene dunque inteso come un importante strumento di emancipazione, di dignità e di autonomia per poter costruire e ricostruire, a favore di queste donne, un progetto di vita e di inclusione sociale. Il più delle volte la mancanza di autonomia, di autostima, di professionalità e di istruzione tiene le donne che sono state vittime di tratta in una posizione di dipendenza dal servizio di accoglienza. Per loro non è facile abbandonare l’etichetta di vittima di tratta e di sfruttamento sessuale e ancora più complicato trovare un’occupazione.

“I progetti rivolti a queste donne” continua Miriam Martelli “hanno cercato di dare risposta ad un bisogno di autonomia che significa, in primo luogo, dare sostegno all’autostima, far emergere le capacità inespresse, valorizzare le competenze, riconoscere la persona nella sua individualità. Per queste donne non si tratta infatti solo di una questione economica, ma soprattutto di identificare l’esercizio di una professione adeguata in grado di valorizzarle e motivarle

In quest’ottica, le azioni intraprese all’interno dei tre progetti miravano a creare uno spazio di ascolto, gestito da orientatrici con competenze psicologiche, dove le ragazze potessero esprimere e far emergere aspettative formative e lavorative, speranze, insicurezze e paure, cercando al contempo di offrire loro risposte personalizzate. Ciò è avvenuto predisponendo forme di orientamento e accompagnamento, counseling, bilancio di competenze, formazione, inserimento nel mercato del lavoro attraverso l’attivazione di tirocini lavorativi, tutoraggio, sostegno al reddito, mediazione interculturale. Si tratta di sfide ambiziose che miravano da un lato a sostenere la persona nella costruzione di una nuova identità sociale e professionale e dall’altro a scardinare pregiudizi di istituzioni e collettività, che molto spesso si chiudono alla diversità e non offrono possibilità di riscatto. L’obiettivo generale dei progetti è stato quello di realizzare uno spazio di accoglienza, ascolto e orientamento in grado di costruire un percorso che partendo dal recupero dell’autostima, delle capacità individuali e dall’acquisizione di nuove competenze, conduca le partecipanti verso un esercizio consapevole della propria autonomia sia personale che economica.

“Fino ad un certo punto della loro vita”, dice ancora la referente di Filos “il lavoro è stato vissuto come strumento di schiavitù e nel corso delle attività progettuali esso può essere considerato come un percorso troppo difficile da praticare. La carenza di integrazione, l’incapacità individuale di valorizzarsi e riconoscere le proprie competenze, porta ad un rinforzo del processo di isolamento ed emarginazione. Per questo motivo per ciascuna donna sono stati attivati percorsi individualizzati in cui la creazione di un legame basato sulla fiducia reciproca tra orientatrice e utente portasse a sviluppare la conoscenza di sé e a promuovere l’autostima necessaria a favorire una vera integrazione sociale".

"Si è operato molto sulla rappresentazione del lavoro di queste donne, spesso condizionate da schemi culturali poco utili ad affrontare in modo idoneo il percorso di inserimento socio-lavorativo", conclude Miriam Martelli. "Le orientatrici hanno poi lavorato con l’obiettivo di scardinare un approccio poco aderente alla realtà del mercato del lavoro frutto di una visione idealistica delle competenze che le ragazze ritenevano di possedere, con l’obiettivo della costruzione di un progetto lavorativo concreto e adeguato alle reali competenze della persona, magari raggiungibile attraverso il supporto di opportuni percorsi di formazione.