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Nel mese di maggio del 2021, nell’ambito del progetto Interreg Minplus è stata avviata una sperimentazione per facilitare e rafforzare i percorsi di integrazione di richiedenti asilo e rifugiati nella città di Novara, tra le nazionalità più rappresentate compaiono i bangladesi e i pakistani. Anche per questa ragione, abbiamo voluto approfondire i dati relativi ai flussi migratori da questi Paesi e la loro storia, sperando di fornire uno strumento utile a chi si occupa di accoglienza.

Si segnala che il presente articolo è stato scritto prima della recente crisi politica afghana, che senza dubbio avrà conseguenze anche sui flussi migratori e che necessita di essere monitorata con attenzione da parte di coloro che credono nel rispetto dei diritti umani e nel dovere di proteggere coloro che scappano da persecuzioni e violenze. Questo approfondimento ci permette comunque di mettere in luce la pluralità di percorsi da parte dei migranti che costituiscono importanti comunità integrate nel nostro Paese.

Le rotte dal Bangladesh

La prima cosa da notare, ovviamente, è che il percorso seguito da chi giunge da Baladesh e Pakistan è certamente più lungo e difficoltoso di quelli seguiti da chi giunge da altri Paesi, come gli “haraga” tunisini di cui vi avevamo parlato in un precedente approfondimento. Mentre questi ultimi devono attraversare un braccio di mare che può essere coperto, in condizioni favorevoli, in poche ore di navigazione e ad un costo, tutto sommato, modesto, chi viene dl Bangladesh deve affrontare un percorso ben più complesso.

L’itinerario dal Paese asiatico verso l’Italia prevede una serie di tappe intermedie, tra cui un volo da Dacca al Cairo o verso un altro aeroporto del Medio Oriente, il passaggio del confine tra Egitto e Libia e successivamente la traversata dalle coste libiche a quelle italiane. Nel 2020 i bangladesi rappresentano con 4.141 arrivi la seconda nazionalità, dopo quella tunisina (13.349 arrivi), dichiarata dai migranti giunti sulle coste italiane (per consultare la fonte clicca qui). Nei primi sei mesi del 2021, la differenza tra il numero di cittadini tunisini e dei bangladesi va nettamente diminuendo: da gennaio alla fine di luglio sono arrivati sulle nostre coste 4.176 cittadini bangladesi, pari al totale dello scorso anno, a fronte di 5.832 tunisini.

In alternativa viene percorsa la rotta balcanica, seguendo le correnti provenienti dall’Afganistan e dalla Siria: le estreme condizioni di viaggio lungo questa rotta sono state raccontate di recente in uno splendido e struggente film, “Europa”, presentato all’ultimo festival di Cannes. Il numero di bangladesi su questa rotta è più difficile da verificare in quanto il passaggio della frontiera tra Italia e Slovenia, comunque interna allo spazio Shengen, avviene a piccoli gruppi, a piedi o con i mezzi più disparati. Secondo fonti delle questure di Gorizia e Trieste sulla nazionalità delle persone rintracciate nella regione Friuli Venezia Giulia nel 2020, citate in un recente studio a cura del Cespi, risulta che solo 298 persone di nazionalità bangladese sono state fermate dalla polizia nella zona di confine, contro circa 1500 afghani e altrettanti pakistani.

Le richieste d’asilo dei bangladesi

Come abbiamo più volte ricordato, comunque, il dato che effettivamente misura il reale peso della pressione migratoria sui paesi di accoglienza è indiscutibilmente riferito al numero di richieste di asilo presentate. Secondo i dati forniti da Eurostat, i migranti provenienti dal Bangladesh che avevano avanzato domanda di protezione internazionale in Italia erano stati 1.644 fino ad aprile 2021, a fronte di un totale di 2.745 nell’intero 2020.

Un altro elemento di interesse che emerge, questa volta ampliando l’analisi a livello dell’Unione Europea 27+, è riferito alle mete dei bangladesi nel continente: le domande presentate in Italia, nel periodo considerato, rappresentavano circa la metà delle 3.472 richieste inoltrate, facendo del nostro Paese la meta privilegiata della migrazione dei cittadini del Bangladesh in Occidente.

Il Bangladesh, nato nel 1972 a seguito di una scissione dal Pakistan di cui rappresentava la parte orientale, ha una popolazione di circa 160 milioni di abitanti, a larga maggioranza mussulmana e per la maggior parte di giovani,  su una superficie metà di quella dell’Italia. È totalmente circondato dall’India, ad esclusione di un piccolo tratto di confine verso il Myanmar.

A seguito della politica economica liberista promossa dai governi che si sono succeduti a partire dalla guerra di indipendenza, ha avuto uno sviluppo industriale importante che lo ha visto diventare il secondo produttore al mondo di prodotti di abbigliamento. Nonostante un indubbio miglioramento delle condizioni di vita della popolazione dovuto all’industrializzazione, nel Paese sono presenti ampie sacche di povertà, in particolare nelle zone rurali.

Un Paese di emigranti

La pandemia, con la diminuzione della richiesta globale di prodotti tessili, ha esasperato le disparità già presenti, facendo sprofondare nella disoccupazione e nella povertà milioni di persone. Nel 2020, la quota di bangladesi che vive sotto la soglia di povertà nazionale è salita da circa il 25 al 40 per cento. Anche dal punto di vista politico il Paese presenta una situazione di repressione e soffocamento delle libertà individuali e delle espressioni di critica. La situazione economica è poi complicata dalla presenza in Bangladesh di circa due milioni di profughi Rohingya, fuggiti dal confinante Myanmar a seguito di persecuzioni religiose.

A seguito del continuo aumento della popolazione e al conseguente surplus di manodopera il Bangladesh è attualmente il quinto Paese al mondo per numero di emigrati con più di sette milioni di persone espatriate, per la maggior parte impegnate nelle economie dei paesi del Golfo. Negli ultimi anni il flusso, pur in quantità limitata, si è rivolto anche in direzione dell’Europa e in particolare, come abbiamo visto, verso l’Italia. Le motivazioni all’origine delle migrazioni, pur in qualche caso legate a persecuzione politica, sono soprattutto economiche.

La contemporanea presenza di un’economia in forte espansione e di un tasso migratorio elevato, potrebbero sembrare fenomeni contradditori, ma i due aspetti sono risultati spesso storicamente concomitanti: alla fine del XIX e nei primi anni del secolo XX, all’epoca della “Grande emigrazione” transoceanica alcuni paesi europei, tra cui l’Italia, avevano vissuto una situazione simile, coniugando uno sviluppo industriale notevole con l’emigrazione di massa. Come in Italia negli anni del decollo industriale di Età giolittiana, il governo del Bangladesh non impedisce, e a volte addirittura promuove, la scelta di emigrare. Questo riguarda le grandi masse contadine che non trovano collocazione nell’industria nazionale.

Rimesse e sviluppo

L’emigrazione si trasforma così in una strategia di sopravvivenza, attraverso cui le famiglie decidono di investire sul progetto migratorio di uno o più membri del nucleo. Mediante l’invio delle rimesse, questi ultimi contribuiscono al sostegno e alla capacità di spesa di coloro che sono rimasti in patria. Questo rappresenta un sostanzioso contributo allo sviluppo economico del Paese attraverso i depositi bancari dei risparmi prodotti. Bisogna tenere presente che, con quasi 17 miliardi di dollari generati nel 2019, il Bangladesh è tra i primi paesi al mondo in termini di rimesse annue inviate dai propri cittadini emigrati.

Un altro aspetto rende il caso del Bangladesh peculiare nel panorama dei paesi a forte spinta migratoria. Negli anni Settanta, per fare fronte alle distruzioni a cui era andato incontro il Paese durante la guerra di indipendenza, fu fondata l’ONG Brac, “Bangladesh Rural Advancement Committee” che è diventata negli anni la più grande organizzazione non profit a livello mondiale. Brac si occupa di lotta alla povertà, supportando i piccoli coltivatori, microcredito, promozione dell’istruzione e del lavoro femminile. A fronte dell’esodo epocale che ha colpito il Paese si è inoltre dotata di un’apposita sezione, diffusa a livello capillare sia nelle grandi città come nelle zone rurali, che ha l’obiettivo di formare e sostenere, anche economicamente, gli aspiranti migranti.

Nelle pagine del sito di Brac si legge che “gli alti costi di migrazione e i bassi salari pagati ai lavoratori migranti del Bangladesh rappresentano una grande sfida. La mancanza di informazioni sulle opportunità di migrazione fa sì che i migranti cerchino sostegno attraverso canali informali, il che aumenta le loro possibilità di tratta, sfruttamento e abuso”. Dunque, l’obiettivo della ONG è quello di promuovere “una migrazione sicura, ordinata, regolare e responsabile in ogni fase e garantire che i lavoratori migranti conoscano i loro diritti e come esercitarli. Aumentare la consapevolezza e facilitare il reinserimento sostenibile affrontando e riducendo la tratta di esseri umani e la vulnerabilità migratoria delle persone. Fornire aiuti finanziari, formazione per lo sviluppo delle competenze per usufruire di un lavoro dignitoso per aspiranti lavoratori migranti e sostenere il loro reinserimento al ritorno.”

Il sostegno ai migranti in Bangladesh e nella nostra storia

Da parte di Brac, ma anche del governo del Bangladesh, c’è la consapevolezza che le rimesse dei lavoratori migranti svolgono un ruolo importante nell’economia nazionale. Il “Migration loan” fornisce al migrante un prestito che oltre a garantire un orientamento pre-migrazione e un viaggio sicuro, permette l’insediamento del lavoratore all’estero. Attraverso i “prestiti di rimessa”, procura, inoltre, alle famiglie in patria un anticipo sui futuri invii di denaro da parte dei migranti, con interessi molto bassi.

Questa attività di sostegno ai migranti accomuna ancora una volta, a distanza di più di cento anni, il contesto del Bangladesh a quello dell’Italia. Anche allora la sensibilità verso le difficoltà dei migranti da parte di esponenti del socialismo riformista, attraverso la Società Umanitaria, e della Chiesa Cattolica, tramite l’ordine degli Scalabriniani, spesso in concorrenza tra loro, diedero vita ad una rete di supporto ai migranti, sia alla partenza che nelle principali mete di arrivo, con assistenza, segnalazione di opportunità di lavoro, disbrigo di pratiche burocratiche.

Come nel caso delle organizzazioni di sostegno agli emigranti italiani nel passato, anche l’ONG bangladese è accusata da certa stampa occidentale di favorire, con scopi che vanno dalla speculazione sugli interessi dei “migration loan” ad altri non meglio chiariti, come quelli riferiti a teorie complottiste, l’immigrazione in occidente dei bangladesi.

Un’immigrazione giovane, per ragioni economiche e precaria

Per tornare in Italia, come già detto, l’immigrazione dal Bangladesh è quasi totalmente economica e i migranti sono consapevoli dell’impossibilità di ottenere un permesso di soggiorno come rifugiato. Infatti, nel 2020 e ancora nell’anno in corso, il tasso di decisioni di primo grado negative ha toccato la cifra media dell’85 per cento. Nonostante questo, i giovani bangladesi lasciano il loro Paese e affrontano, con i conseguenti costi economici e personali, viaggi e traversate pericolose. Data l’impossibilità di ottenere un permesso per motivi di lavoro, la richiesta di asilo diventa l’unica strada percorribile per entrare in Italia; infatti, il più delle volte il progetto di questi giovani prevede il ricongiungimento con parenti o membri delle comunità di origine insediati nel nostro Paese, presso i quali svolgere un’attività di lavoro, per forza di cose, irregolare.

Secondo i dati raccolti dal Ministero del Lavoro la comunità bangladese conta circa 150.000 membri. Dal punto di vista del lavoro è molto dinamica, infatti al suo interno si rileva un alto tasso di occupazione (83,5% tra i maschi) in prevalenza nel settore del commercio e della ristorazione. L’età media dei cittadini del Bangladesh è molto più bassa di quella dei non comunitari presenti in Italia, attestandosi su 29 anni, ma esiste un notevole squilibrio di genere, in quanto le donne rappresentano solo il 30% della popolazione residente. Questa differenza è un segnale evidente della precarietà della presenza dei bangladesi nel nostro Paese e di progetti migratori che non prevedono un insediamento stabile.

Quest’ultima ipotesi è ampiamente suffragata dal fatto che i cittadini del Bangladesh, pur essendo al settimo posto in valore numerico tra i non comunitari, sono al primo posto per l’ammontare delle rimesse, con oltre 813 milioni di euro trasferiti nel 2019 verso il Paese di origine, pari al 15,7% del totale. Altro dato interessante e in linea con i precedenti, è riferito alla presenza di minori non accompagnati. Il Bangladesh, con 1974 minori accolti al 30 giugno 2021, pari ad oltre il 25% del totale, è infatti la prima nazione di provenienza dei minori stranieri non accompagnati in Italia, facendo registrare un importante incremento rispetto all’anno precedente. Si tratta nella quasi totalità dei casi di maschi prossimi alla maggiore età che giungono in Italia seguendo le correnti migratorie dei loro compatrioti di poco più adulti.

I flussi dal vicino Pakistan

Una situazione simile, ma con alcuni punti divergenti, tra cui quelli legati alle modalità di arrivo, caratterizza l’immigrazione dei Pakistani in Italia. Nel 2020 i cittadini del Paese asiatico sono risultati al primo posto tra i richiedenti asilo in Italia con 5.515 domande presentate, un’analoga posizione è stata confermata, con 2042 richieste, anche nei primi quattro mesi del 2021. Ciò che distingue i percorsi migratori dei cittadini pakistani risulta essere invece la loro limitata presenza tra coloro che scelgono la rotta del Mediterraneo centrale per raggiungere il nostro Paese; infatti, lo scorso anno solo 1400 di loro hanno utilizzato questa via.

Ciò è ancora più evidente nei primi mesi del 2021, quando tra le nazionalità dichiarate al momento dello sbarco, contabilizzate dal Ministero dell’Interno, non compare quella pakistana che evidentemente non risulta rilevante ai fini statistici. Diversa è la situazione ai confini orientali del Friuli-Venezia Giulia, meta ultima della rotta balcanica. Secondo il già citato rapporto di ricerca “La rotta balcanica cinque anni dopo” che utilizza dati forniti dalle questure di Trieste e Gorizia, sono state 1.369 le persone di nazionalità pakistana fermate nella regione durante il 2020 su un totale di 4.120 migranti rintracciati presso le zone di frontiera del Friuli-Venezia Giulia.

Questa cifra, molto vicina a quella riferita alle provenienze via mare, dà una chiara indicazione sul percorso seguito dalla maggioranza dei migranti diretti in Italia. È necessario ricordare che il confine tra Italia e Slovenia rappresenta un confine interno nello spazio di libera circolazione Schengen che fa perno su un’unica frontiera europea esterna dove sono effettuati i controlli terrestri, rappresentata nell’area balcanica dal confine croato con la Bosnia Erzegovina e la Serbia. Le autorità di polizia nazionali hanno ugualmente il diritto di effettuare controlli anche nelle zone di frontiera, in base a regole e limitazioni specifiche. Il dato degli arrivi via terra, a differenza di quello degli sbarchi, può dunque essere considerato solo indicativo, in quanto si riferisce alle persone che vengono intercettate dalle forze di polizia in prossimità del confine sloveno e queste ultime rappresentano certamente solo una quota di coloro che entrano in Italia.

Le ragioni dell’emigrazione dal Pakistan

Anche se in Pakistan esistono situazioni, specie al confine con l’India e l’Afghanistan, di forte tensione che spesso sfocia in conflitti armati e la tutela delle libertà individuali è spesso poco garantita, l’emigrazione dal Paese è prevalentemente legata a motivazioni di carattere economico. Pur essendo un Paese in forte sviluppo industriale, l’esubero di manodopera ha spinto milioni di suoi cittadini all’emigrazione, soprattutto verso le ricche monarchie del Golfo. Quest’emigrazione dà un forte impulso all’economia del Paese il cui PIL è rappresentato per quasi il 10% dalle rimesse degli emigrati.

Una piccola quota di questo flusso si è anche orientato verso l’Europa e come nel caso dei bangladesi, anche i cittadini pakistani che arrivano nell’Unione Europea privilegiano l’Italia: nei primi quattro mesi del 2021, su 4.874 domande di asilo presentate in UE, quasi la metà erano rivolte al nostro Paese, questo nonostante le scarse possibilità di ottenere un permesso di soggiorno come rifugiato; infatti, l’82% delle domande sono state respinte in prima istanza nel 2020.

Malgrado l’alto livello dei dinieghi da parte delle Commissioni territoriali, i flussi dal Pakistan continuano ad essere consistenti, in quanto la richiesta di protezione internazionale rappresenta l’unica possibilità di ingresso in Italia da parte dei cittadini del Paese asiatico. Probabilmente l’elemento che favorisce l’arrivo dei pachistani è rappresentato dalla presenza in Italia di una comunità di oltre 130.000 connazionali per oltre il 50% costituita da lungo soggiornanti, con tassi di occupazione molto alti e in maggioranza impegnati nel settore del commercio e della ristorazione.

Il successo del progetto migratorio dei pachistani è dimostrato anche dal peso economico delle rimesse dall’Italia verso il Pakistan, pari a 408 milioni di euro che superano di gran lunga quelle inviate da comunità nazionali molto più numerose. La presenza di connazionali bene inseriti in settori produttivi in cui da sempre è presente una quota importante di lavoratori “in nero” rappresenta sicuramente un sostegno per coloro che, non avendo ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato, si ritrovano a rimanere in Italia in maniera illegale.