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I dati sui nuovi assetti sociali che si stanno delineando in Italia all’indomani della crisi sono implacabili: cresce la povertà, compresa quella minorile; cala il tasso di natalità; l’invecchiamento della popolazione aumenta a ritmo frenetico. Sono tendenze generali del nostro paese, che trovano però una consistenza particolare in Emilia Romagna, regione che in Italia ospita la percentuale maggiore di grandi vecchi e che negli anni della crisi non è stata risparmiata dall’aumento diffuso della povertà. Dalla confluenza di queste due dinamiche, invecchiamento e impoverimento, emergono progressivamente alcune crepe e alcuni buchi del welfare locale, storicamente generoso e strutturato, ma disegnato per un’epoca di piena occupazione e di strutture familiari stabili.

Un sistema che pur avendo attraversato con successo gli ultimi decenni, si dimostra obsoleto, e a tratti incapace di rispondere ai nuovi bisogni sociali. Lo sgretolamento delle strutture familiari, la precarizzazione del lavoro e la diminuzione del reddito hanno indotto tante donne emiliano-romagnole a non avere figli, alimentando la spirale che lega il calo demografico all’invecchiamento della popolazione. Tra le tante conseguenze di queste dinamiche, una riguarda da vicino i servizi educativi per la prima infanzia: da un’epoca in cui per accedere ai servizi erano necessarie lunghe liste di attesa, in Emilia Romagna si inizia ad assistere alla chiusura di servizi e strutture per mancanza di iscrizioni.

Nella terra dove il mito degli asili nido più belli del mondo ancora resiste, si è dunque ritenuto necessario cambiare, adeguando il sistema dei servizi alle profonde evoluzioni e alle complesse sfide sociali e demografiche in corso, proponendo nuovi modelli organizzativi capaci di rispondere alle rinnovate esigenze delle famiglie. L’obiettivo primario della nuova legge regionale sui servizi educativi è stato duplice: innanzitutto, garantire che i servizi oggi presenti possano continuare ad esistere; per quelli che verranno realizzati in futuro, invece, assicurare che essi siano più adeguati ad una società che non è più quella della piena occupazione, del lavoro a tempo indeterminato e ad orari stabili. Partendo da una presa di coscienza: in un panorama sociale ed economico stravolto rispetto al mondo prima della crisi, i servizi non possono continuare a rispecchiare esigenze sociali ormai superate.


La prima infanzia in Emilia Romagna: gli scenari

La legge regionale 19/2016 è stata elaborata tenendo conto della drastica frenata delle iscrizioni ai nidi degli ultimi anni e del più generale calo demografico che coinvolge ormai da molti anni sia le famiglie italiane sia, sebbene in misura minore, quelle straniere. Nel giro di pochi anni infatti si è passati dalle liste di attesa per accedere all’asilo nido alla chiusura di sezioni e servizi per mancanza di bambini iscritti. Tra il 2011 e il 2015 il volto dei servizi educativi in Emilia Romagna è profondamente cambiato: in quattro anni i servizi sono passati da 1.233 a 1.199 (-2.8 %); i posti sono diminuiti da 40.820 a 40.165 (-1.6 %). Soprattutto, però, i bambini iscritti sono passati da 36.638 a 32.532 (-11.2 %). Quest’ultimo dato rispecchia le proporzioni del calo della popolazione dei bambini 0-2 anni residenti in regione nello stesso periodo.

Poiché il numero di bambini iscritti al nido è calato più precipitosamente del numero dei posti offerti, il totale di copertura dei posti aumenta del 4.1% sul 2011, arrivando a quota 36.3%, superiore all’obiettivo di Lisbona stabilito in sede europea (pari al 33% della copertura dei servizi sulla popolazione target). L’indice di presa in carico (bambini iscritti sul totale della popolazione) è rimasto stabile, sempre tra il 2011 e il 2015, al 29,4%.

La frenata delle iscrizioni ai nidi ha a che fare sia con il calo della natalità, sia con l’impoverimento delle famiglie negli anni della crisi: sono sempre meno i bimbi da iscrivere al nido, e le famiglie che fanno figli hanno meno capacità reddituale per permettersi l’asilo. Fattori fortemente collegati, che sono conseguenza di un paradosso tutto italiano: si fanno pochi bambini proprio perché c’è molto attaccamento alla famiglia. Prevale cioè, in Italia e anche in Emilia Romagna, il timore che i figli, o l’unico figlio desiderato, non riescano ad avere il futuro che meritano. Sembra che i trentenni, la prima generazione dal dopoguerra ad essere più povera dei propri genitori, abbiano paura di non riuscire a garantire ai loro figli un futuro dignitoso.


I contenuti della nuova legge regionale

Di fronte a tali scenari, che oggi fanno scricchiolare il sistema dei servizi educativi per la prima infanzia, ed in prospettiva rischiano di indebolirlo sostanzialmente, la regione Emilia-Romagna ha proposto alcuni cambiamenti sostanziali. Sebbene parzialmente oscurati nel dibattito pubblico dalla disposizione dell’obbligo vaccinale per i bambini iscritti agli asili nido, tali cambiamenti non sono per questo meno sentiti dagli operatori e dagli amministratori: la nuova legge regionale è stata preceduta da un incontro diretto con tutti gli amministratori locali con delega al welfare, in un vero e proprio ‘tour’ sui territori (testimoniato da questo video) per ascoltare la viva voce di chi è in prima linea nel rispondere ai bisogni dei cittadini. Dai territori la richiesta è stata unanime: per garantire la sopravvivenza del sistema educativo integrato dei servizi per la prima infanzia, è necessario che questo diventi più flessibile e diversificato rispetto al passato, prendendo quanto di buono ha funzionato nel sistema integrato e valorizzando in particolare ciò che ‘ruota’ intorno al nido classico.

La legge promuove il cosiddetto ‘modello hub and spoke’, dove l’hub è il nido classico, mentre gli spoke sono i servizi sperimentali, i servizi domiciliari ed i servizi integrativi. Soluzioni tra loro diverse ma sempre caratterizzate da un preciso progetto pedagogico.  Il nido, con orari part-time e tempo lungo, rimane quindi il principale servizio educativo per la cura dei bambini e allo stesso tempo per il sostegno delle famiglie. Intorno al nido la legge intende valorizzare tutta la rete di servizi più flessibili: sperimentali, domiciliari, spazio bambini, centri per bambini e famiglie con orari più elastici e più adatti alle esigenze diversificate delle giovani famiglie. L’idea è quella cioè di andare incontro ai nuovi bisogni delle famiglie, anche attraverso modalità organizzative diverse e innovative.

La preoccupazione diffusa che una maggiore flessibilità dei servizi andasse a discapito della loro qualità appare scongiurata. Nella legge si conferma la funzione degli Enti pubblici nel controllo e nella regolazione dei servizi educativi: l’autorizzazione infatti viene rilasciata dai Comuni che valutano i requisiti organizzativi dei servizi privati per garantire elementi comuni di qualità.  Si conferma poi sia l’importanza dei coordinamenti pedagogici territoriali, in capo ai Comuni capoluogo, sia della formazione del personale.  Viene inoltre valorizzata l’esperienza della valutazione della qualità dei servizi: parte infatti per la prima volta un sistema di accreditamento dei servizi, basato su indicatori certi e senza eccessi burocratici, che verrà definito a breve da una direttiva regionale.

L’accreditamento era già previsto dalla legge regionale previgente, ma ad oggi non è mai stato realizzato: con la nuova legge l’accreditamento, concesso dal Comune, diventa la condizione necessaria per ottenere i finanziamenti regionali per i servizi privati.  Per conseguire l’accreditamento sarà effettuata una ‘valutazione della qualità del servizio’ basata su una serie di requisiti, quali il progetto pedagogico, la presenza del coordinatore pedagogico, l’adozione di strumenti di auto-valutazione del servizio e un adeguato numero di ore di formazione del personale.

Altri elementi presenti in legge sono la semplificazione delle procedure per assegnare i fondi regionali ai servizi e il riferimento alla legge 107/2015 sulla Buona scuola, che incardina i servizi 0-3 all’interno del percorso di istruzione, rafforzandone la continuità con le scuole dell’infanzia. In merito al già richiamato obbligo vaccinale, la legge prevede che siano condizione necessaria per l’iscrizione dei bambini ai nidi d’infanzia le regolari vaccinazioni contro poliomielite, difterite, tetano ed epatite B, vaccini già obbligatori per legge.


Un tassello di un nuovo welfare

La nuova legge ha come obiettivo primario quello di coinvolgere più bambini possibile nei servizi educativi per la prima infanzia, mettendo le famiglie nella condizione di accedere al maggior numero di servizi. Partendo da un livello alto di qualità dei servizi, riconosciuto dagli stessi utenti, la nuova legge non rivoluziona l’impianto precedente, ma lo rende più dinamico e adeguato allo scenario sociale odierno, inserendolo in modo organico dentro ad un disegno più ampio relativo all’ammodernamento dei servizi di welfare.

L’intervento normativo sullo 0-3 sarebbe infatti marginale se non fosse parte di una visione complessiva di un nuovo welfare, che si snoda su più fronti, complementari a quello dell’infanzia, ma che su questo poi vanno indirettamente ad incidere. Tra questi, le nuove misure di contrasto alla povertà varate in regione, con l’approvazione del Reddito di solidarietà, l’aumento delle risorse destinate all’adolescenza e al servizio civile, le misure sulla conciliazione vita lavoro e la riforma per l’assegnazione delle case popolari. Misure tra loro complementari che vanno incontro a nuovi bisogni e domande sociali emerse negli ultimi anni.

Tutti questi interventi intendono ridisegnare il welfare locale inteso anche come ‘ponte’ per ricucire un rapporto ormai sfilacciato tra le istituzioni ed i cittadini. Investire sul sociale (dall’infanzia, alla scuola fino alla lotta alla povertà) – e farlo in modo adeguato, equo, strutturale ed efficace – è infatti anche un modo per creare coesione sociale e riportare credibilità verso le istituzioni.

Certamente c’è ancora molto lavoro da fare sui servizi educativi in Emilia-Romagna. La priorità resta quella di contenere le tariffe degli asili nido, per evitare che la scelta dell’asilo sia troppo vincolata al reddito della famiglia, oltre che al grado di istruzione dei genitori.  La sfida è cioè quella di mantenere servizi per la prima infanzia di alta qualità, rendendoli allo stesso tempo il più possibile accessibili, con lo sguardo rivolto verso l’universalismo dei servizi educativi. Garantire almeno che questi siano più flessibili e organizzati in maniera più efficace per rispondere alle esigenze dei cittadini e delle famiglie rappresenta senz’altro un passo in tale direzione.