Il “Patto per il sociale della Regione Piemonte” mira a ridefinire gli strumenti di programmazione delle politiche sociali puntando sull’integrazione fra attori, organizzazioni e istituzioni. La costruzione del Patto è frutto del lavoro promosso dall’Assessore alle Politiche Sociali della Regione Piemonte Augusto Ferrari. Al termine di una lunga attività di confronto con i territori, gli orientamenti di fondo del Patto sono stati adottati dalla Giunta Regionale attraverso una specifica delibera. Dei contenuti del Patto e delle prospettive future abbiamo discusso con l’Assessore Ferrari.
L’adozione, da parte della Giunta Regionale, della delibera che formalizza gli orientamenti di fondo del Patto arriva al termine di un lungo lavoro di confronto con i territori. Ci può raccontare brevemente quali sono stati i momenti salienti di questo lavoro di confronto?
L’approvazione della Delibera è allo stesso tempo un punto di partenza e un punto di arrivo. È un punto di partenza perché da adesso in poi le proposte presenti nel Patto devono concretizzarsi. È un punto di arrivo perché il Patto è il frutto di un lungo percorso politico di confronto con gli attori, istituzionali e non, che lavorano sui territori. In questi mesi (siamo partiti a gennaio e abbiamo lavorato fino a luglio) abbiamo fatto più di venti incontri che hanno coinvolto circa 1500 persone. Questo percorso è stato frutto di un lavoro (promosso dall’assessorato alle politiche sociali fin dall’estate del 2014) che ha mirato a ricostruire il sistema di relazione fra la Regione e i territori. Sulla base di questa esigenza abbiamo ritenuto che il Patto fosse lo strumento più idoneo. Il Patto ci ha infatti permesso di costruire un clima di fiducia e ora i territori considerano la Regione un’istituzione meno distante.
A suo avviso, come è stata accolta, da parte dei soggetti coinvolti, l’esperienza di costruzione del Patto?
Mi sento di dire che tutti i soggetti coinvolti hanno accolto positivamente il Patto e tutti, mi sembra, hanno apprezzato la volontà della Regione Piemonte di mettersi dentro questo processo e di elaborare proposte attraverso il confronto con i territori. Nel complesso mi sembra che questa logica sia stata apprezzata. È chiaro però che c’è anche la volontà, da parte dei soggetti coinvolti, di misurare la credibilità di questo percorso. In altre parole, il messaggio che colgo è che il lavoro fatto fino ad ora è stato apprezzato ma, accanto a questo, c’è anche l’intento di verificare se le azioni saranno sviluppate in maniera coerente.
Cosa prevede a questo punto l’iter di implementazione del Patto?
Il Patto ha identificato gli obiettivi strategici che sono ora oggetto della programmazione regionale. I temi sono: 1) l’integrazione socio-sanitaria, con un focus sulla non autosufficienza nell’area degli anziani e sulla disabilità; 2) il contrasto alla povertà; 3) le politiche di sostegno alla genitorialità.
Attorno a questi tre obiettivi strategici il Patto vuole ora delineare degli strumenti specifici. Ecco allora che a livello regionale abbiamo in primo luogo pensato all’avvio di una “cabina di regia socio-sanitaria” gestita congiuntamente dagli assessorati interessati (alle politiche sociali e alla sanità). La cabina di regia nasce sulla base di un (già siglato) protocollo operativo che definisce ambiti e compiti ben precisi che saranno programmati e gestiti congiuntamente dai due assessorati. In particolare, come ambiti operativi essenziali abbiamo individuato quello dei servizi agli anziani non-autosufficienti (in particolare dei servizi di domiciliarità) e quello della disabilità (con un focus specifico sull’autismo e sui servizi residenziali per i pazienti psichiatrici). Rispetto a questi due ambiti la cabina di regia deve agire nell’ottica di programmare e costruire gli interventi aprendo costantemente al confronto e alla concertazione con le realtà che insistono nel territorio, in primis le ASL, gli enti gestori delle funzioni socio-assistenziali e le organizzazioni sindacali.
Un secondo strumento che avvieremo a breve è il "tavolo regionale di contrasto alla povertà" finalizzato alla definizione di un piano regionale da sviluppare congiuntamente con l’assessorato alle politiche sociali e l’assessorato al lavoro e alla formazione professionale. L’idea è infatti che sul contrasto alla povertà ci debba essere una forte integrazione fra le politiche sociali e le politiche del lavoro. Contestualmente sarà coinvolto anche l’ambito dell’edilizia sociale dato che le politiche dell’abitare rappresentano un altro elemento chiave. Anche in questo caso si tratta di uno strumento che si propone di incentivare la partecipazione diretta degli enti del territorio.
E’ noto che la cooperazione inter-istituzionale, che è alla base della “cabina di regia”, è spesso difficile da realizzare. Può raccontarci quali sono le condizioni che renderanno possibile sviluppare questa cooperazione nel caso del Piemonte?
A favore di questa operazione, gioca sicuramente il rapporto positivo e di sintonia con l’assessorato alla sanità. Tuttavia, l’impegno della direzione sanità e della direzione politiche sociali ad agire congiuntamente sugli ambiti socio-sanitari non è legata soltanto alle persone ma è un fatto istituzionale, tanto che abbiamo cofirmato un protocollo operativo. In questo protocollo abbiamo individuato anche le figure tecniche, interne alle due direzioni, che devono essere coinvolte. Quindi abbiamo fatto in modo che la cabina di regia possa agire sulla base di un mandato ben preciso il cui rispetto sarà costantemente monitorato.
Nel Patto si sostiene che alla Regione spetta il compito di definire una strategia organica e complessiva in materia di lotta alla povertà. Considerando che nel prossimo futuro (vedi Legge di Stabilità) potrebbe essere implementata una misura nazionale di contrasto e che le sperimentazioni fino ad oggi avviate hanno visto protagonisti gli enti locali, come immagina concretamente il ruolo della Regione?
Nella Legge di Stabilità si fa riferimento a un fondo per le politiche di contrasto alla povertà. Noi intendiamo procedere con la definizione di un piano regionale che sia coerente con il previsto piano nazionale perché riteniamo che la gestione di una misura di lotta alla povertà, dal punto di vista della governance, debba basarsi su un rapporto molto stretto fra il livello centrale e quello regionale. A mio avviso le regioni devono avere un ruolo rilevante nella gestione del piano, in particolare garantendo l’implementazione omogenea della misura sul territorio.
Il Patto propone poi l’istituzione dei “centri per le famiglie”, può raccontarci di cosa si tratta e quali sono i vantaggi connessi alla loro istituzione?
I centri per le famiglie sono una realtà che è inserita all’interno della Legge 1 del 2004 con cui la Regione Piemonte ha recepito la Legge 328/2000. Questi centri rappresentano quindi uno degli strumenti fondamentali del sistema integrato dei servizi sociali e hanno avuto un certo sviluppo fino al 2010-2011. Negli anni successivi, sono invece cessati i finanziamenti. Come risultato, alcune realtà territoriali li hanno comunque sostenuti con mezzi propri, mentre altre li hanno chiusi. Quindi oggi abbiamo una realtà frammentata nel territorio. Ma al di là di questo, i centri per le famiglie hanno rappresentato una realtà marginale nella programmazione delle politiche. Noi invece abbiamo scelto di partire da queste realtà per farle diventare il perno attorno al quale sviluppare progettualità e interventi di sostegno alle famiglie.
La prima cosa che abbiamo fatto è stata riconoscere formalmente la struttura di coordinamento dei centri che è ora l’interlocutore con la Regione nella programmazione delle attività. Inoltre, con la Legge di Bilancio 2015 abbiamo ripristinato il finanziamento di questi centri e ci siamo impegnati a renderlo stabile. Al momento, le risorse sono limitate ma la scelta è stata quella di potenziare (e laddove non ci sono creare) questi centri. In questa fase stiamo poi lavorando alla definizione delle “Linee guida regionali sui centri per le famiglie” che saranno pronte entro la fine del 2015 e l’inizio del 2016.
Noi vogliamo che i centri per le famiglie non siano dei semplici sportelli pubblici e non siano dei luoghi dove si erogano delle prestazioni standard perché queste già le offrono gli enti gestori o strutture come i consultori. L’obiettivo è fare in modo che questi centri siano concepiti come luoghi in cui diversi attori possano convergere per costruire insieme degli interventi a favore e a sostegno delle responsabilità genitoriali. In questo senso i centri possono essere dei punti di riferimento per sviluppare delle iniziative di socializzazione o formazione e possono fornire servizi innovativi volti a rispondere a quei bisogni che negli ultimi anni sono diventati particolarmente evidenti.
Il Patto prevede anche l’istituzione dei “Distretti Territoriali della Salute e Coesione Sociale” che dovrebbero essere il frutto della convergenza fra i distretti sanitari definiti dalle ASL e le zone sociali in cui operano gli enti gestori delle funzioni socio-assistenziali. Quali sono i risultati attesi? Quali sono le condizioni che rendono possibile la loro istituzione?
Noi vogliamo rafforzare le politiche sociali e per far questo ci poniamo l’obiettivo di rafforzare anche gli strumenti con cui queste politiche sono costruite. Le politiche sociali non devono rimanere una cenerentola rispetto agli altri ambiti e per questo riteniamo che, come prescrive la legge, la Regione debba definire degli ambiti territoriali ottimali in cui le politiche sociali devono prendere corpo. Questi ambiti territoriali dovrebbero veder coincidere i distretti sanitari e le zone sociali. Questo è l’obiettivo che ci proponiamo di raggiungere entro il 2016.
In questa prospettiva, gli ambiti territoriali non sarebbero solo delle unità amministrative ma piuttosto dei luoghi dove più attori si integrano e collaborano per la definizione delle politiche della salute e della coesione. Per fare questo è necessario promuovere l’integrazione di tutti gli attori che insistono nei diversi territori. Anche in questo caso attiveremo un percorso che coinvolgerà tutte le province e sarà finalizzato a verificare le condizioni specifiche di ciascun territorio. Questo perché chiaramente un processo di questo tipo non può essere unilaterale ma deve essere il frutto di una concertazione e di un confronto. Sia chiaro però che, attraverso questo processo, noi non vogliamo smantellare il sistema ma vogliamo renderlo più forte e capace di competere.
Accanto a questo lavoro politico, c’è poi la necessità di attivare, in tutte le province, un lavoro tecnico. Per questo, nei prossimi giorni avvieremo, a livello regionale, un gruppo di lavoro (costituito da tecnici della Regione Piemonte e da alcuni direttori degli attuali consorzi) finalizzato a identificare i problemi principali che interessano i consorzi esistenti. Ad esempio, sarà necessario affrontare la questione del rapporto fra i consorzi e i sindaci e fra i consorzi e le Asl. Inoltre, c’è tutto il tema legato a come programmare le risorse che devono avere una valenza e una finalità di carattere socio-sanitario.
Infine, è necessario affrontare esplicitamente il tema delle funzioni. Questo perché consorzi ed enti gestori, pur avendo delle competenze ben definite, di fatto hanno avuto a che fare con problemi che formalmente esulavano dalle loro funzioni. Questo è accaduto ad esempio con riferimento al tema del lavoro e della casa. In questo caso, è allora necessario capire come queste due questioni possano essere integrate formalmente nel quadro delle funzioni loro attribuite.
Quali sono i risultati attesi dall’implementazione del Patto?
Per quanto mi riguarda il risultato più interessante è aver avviato un processo in grado di mobilitare diversi attori e di individuare obiettivi condivisi. Per i prossimi due anni ci proponiamo poi di verificare direttamente quanto la Regione è capace di svolgere la sua funzione di programmazione strategica nell’ambito delle politiche sociali. Veniamo da una stagione in cui le politiche sociali erano residuali. In questo quadro, abbiamo il compito di ristabilire con forza la funzione programmatoria della Regione. Funzione questa che deve essere esercitata insieme agli attori dei territori. Inoltre, c’è la necessità di fare in modo che alla definizione degli obiettivi strategici corrisponda la definizione di una politica di bilancio coerente. In altre parole, dobbiamo fare in modo che le risorse messe a bilancio siano pienamente coerenti rispetto agli obiettivi programmatici. Attualmente invece le risorse sono messe a bilancio sulla base di un trend storico e senza tener conto della coerenza rispetto agli obiettivi fissati.
Considerando l’importanza che il coinvolgimento degli stakeholder ha avuto nella definizione del Patto, intende continuare nella stessa direzione? Se sì, come si può promuovere un’ampia e continuativa partecipazione da parte dei diversi attori che operano sui territori?
È chiaro che noi abbiamo attivato un processo rispetto al quale non si può tornare indietro. La scommessa che abbiamo fatto è quella di concepire le politiche sociali come frutto di una partecipazione vera. Ora, da qui al 2017, entriamo in una fase in cui è necessario mettere a punto gli strumenti (la cabina di regia socio sanitaria, il tavolo regionale sul contrasto alla povertà, i centri per le famiglie) che consentono questa partecipazione. Contestualmente dovremmo fare in modo che ci sia un’attenzione a far sì che, anche a livello territoriale, sia avviato un processo coerente con questa impostazione. Noi staremo quindi molto attenti a facilitare e a sostenere questi processi a livello di distretto.
Oltre all’attuazione del Piano per il sociale ci sono altre questioni che vedranno lei e il suo assessorato impegnato nel prossimo anno?
Direi che l’unico aspetto che non abbiamo trattato e che avrà un suo percorso autonomo è quello relativo al bisogno di un nuovo disegno di legge sull’edilizia sociale. Questo è un altro obiettivo di mandato che ci siamo dati. Nell’ultimo anno, abbiamo operato per riformare la governance al fine di rendere il sistema di gestione più efficace e più razionale rispetto agli obiettivi. Allo stesso tempo è però emersa la necessità di mettere in campo un’impostazione nuova che dovrebbe concretizzarsi nella definizione di una legge quadro che faciliti l’accesso e la permanenza delle persone e delle famiglie nelle case. Attualmente abbiamo una legge regionale vigente che ha cinque anni di storia ma che è già insufficiente rispetto ai bisogni che sono emersi. Questa legge infatti si concentra esclusivamente sul patrimonio pubblico mentre invece è necessaria una visione più integrata e complessiva.