Quest’anno la Regione Lombardia ha approvato le nuove linee di indirizzo per la programmazione sociale territoriale per il triennio 2025-2027 (Dgr. 2167/2024) gestita dai Piani di Zona così come previsto dalla 328/2000, la “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”. Di seguito proponiamo alcune riflessioni sui principali elementi di continuità e sulle novità della nuova programmazione; ma prima ripercorriamo brevemente nascita e sviluppo dei Piani di Zona, strumenti che a nostro avviso restano centrali per la gestione delle politiche sociali a livello territoriale. Ma andiamo con ordine.
La cornice normativa dei Piani di Zona
A distanza di oltre un secolo dalla legge Crispi1, la legge quadro 328/2000 si inserì in un ampio scenario di mutamento per il quale si ritenne necessaria una nuova cornice regolativa unitaria e coerente per gli interventi socioassistenziali (Madama 2019). In mancanza di un quadro regolativo nazionale organico, per decenni le politiche dell’assistenza sociale sono state caratterizzate da un’elevata disomogeneità delle scelte locali. Allo stesso tempo, le crescenti necessità sociali risultavano essere sempre meno trattabili in un rapporto duale tra il cittadino e l’organizzazione pubblica, sia dal punto di vista finanziario sia rispetto alla gestione della complessità dei nuovi bisogni.
È proprio a partire da queste premesse che si mossero le spinte riformiste della legge quadro, sintetizzabili principalmente nella commistione di due direttrici di cambiamento: la territorializzazione e l’integrazione. La normativa mirava così a istituire un impianto di sussidiarietà verticale in grado di bilanciare i poteri dei diversi livelli di governo (nazionale, regionale e comunale) riconoscendo l’importanza degli strumenti di programmazione integrata, nella logica di integrazione delle politiche socio-assistenziali con le altre politiche rilevanti per il benessere (sanitarie, educative, urbane, del lavoro, ecc.), al fine di costruire di un sistema unitario in grado di tenere in conto della multidimensionalità dei bisogni. La legge 328/2000, inoltre, individuò le amministrazioni locali come luogo deputato all’implementazione e alla regolazione delle politiche e dei servizi sociali (Vitale 2006), non solo in virtù della dimensione di prossimità con la comunità ma anche in relazione alla valorizzazione delle risorse che abitano e animano i territori e che possono essere impiegate per far fronte ai problemi sociali.
Pertanto, attraverso la promozione di rinnovate forme di sussidiarietà orizzontale, la legge quadro previde un maggiore coinvolgimento degli attori locali extra istituzionali nell’esercizio di funzioni pubbliche, riservando particolare attenzione al Terzo Settore. Il testo, infatti, dettaglia la partecipazione attiva del Terzo Settore non solo in fase di erogazione delle prestazioni ma anche – in collaborazione con l’attore pubblico – in fase di progettazione. L’idea di fondo del coinvolgimento del Terzo Settore riguarda l’attivazione di uno sguardo multiprospettico e multicontestuale, capace di valorizzare – oltre alle tradizionali conoscenze tecniche – anche i saperi meno formalizzati presenti nei contesti sociali, in linea con la logica di inclusione sociale rappresentata dalla possibilità di dare voce e “potere” ai diretti destinatari delle politiche stesse (Guarna e Maino 2023).
Cos’è il Piano sociale di Zona?
In questa cornice va collocato il Piano sociale di zona, o più semplicemente Piano di Zona, ovvero lo strumento deputato alla costruzione del sistema locale integrato di welfare, tramite cui si definiscono, progettano e implementano gli interventi che compongono l’offerta complessiva dei servizi sociali e socio-sanitari (Salvati 2016a). Definito a livello locale dai Comuni, in forma singola o aggregata (secondo le indicazioni del Piano regionale), il Piano sociale di zona è volto a favorire – secondo le logiche tipiche della programmazione negoziale o partecipata – forme inclusive di disegno, gestione e realizzazione delle politiche stimolando le risorse locali di solidarietà, nonché coinvolgendo le organizzazioni del Terzo Settore, le comunità territoriali e i cittadini. In questo senso, i Piani di zona danno rilievo a una funzione istituzionale di regia, in grado sia di mobilitare le capacità di azione dei contesti locali, sia di coordinarle e indirizzarle verso la realizzazione di una prospettiva coerente e condivisa di benessere territoriale (Bifulco 2019).
Il principale obiettivo del Piano di zona è la risposta di prossimità al bisogno sociale che si manifesta all’interno di una comunità (Salvati 2016b); una risposta che è il frutto del lavoro di analisi dei bisogni e l’esito di una programmazione mirata degli interventi volti a rispondere alle esigenze delle comunità locali. Nel dettaglio, il Piano di zona stabilisce (art.19):
- gli obiettivi strategici e le priorità di intervento nonché gli strumenti e i mezzi per la relativa realizzazione;
- le modalità organizzative dei servizi, le risorse finanziarie, strutturali e professionali, i requisiti di qualità;
- le modalità per garantire l’integrazione tra servizi e prestazioni;
- le modalità per il coordinamento dei Comuni con le altre amministrazioni;
- le modalità per la collaborazione dei servizi territoriali con i soggetti operanti nell’ambito della solidarietà sociale a livello locale e con le altre risorse della comunità;
- le forme di concertazione con l’azienda sanitaria locale.
Nel quadro di sistema definito da questo riferimento normativo, ogni Regione – in virtù della competenza esclusiva in materia socioassistenziale conferitagli dalla riforma del Titolo V – ha proceduto a predisporre gli elementi costitutivi delle strutture dei Piani di Zona. A partire da una iniziale enfasi che ha generato un primo slancio di sperimentazioni di pianificazione zonale – inaugurando la cosiddetta “stagione dei Piani di Zona” – si è registrato un graduale declino di questo dispositivo. Ad oggi lo stato di salute dei Piani di Zona appare molto variabile a seconda dei contesti territoriali (Marocchi 2023). In alcuni territori i Piani di Zona non vengono redatti da anni, in altri vengono realizzati saltuariamente o in modo del tutto formale, in altri ancora, invece, la programmazione sociale territoriale continua a rappresentare uno strumento fondamentale di programmazione e di governo delle politiche di welfare territoriale, l’esperienza lombarda ne è un esempio.
Le nuove linee guida di Regione Lombardia
Come già accennato, la Regione Lombardia ha licenziato le nuove indicazioni per i Piani di Zona che andranno a valere sul triennio 2025-2027. Le linee guida sono state redatte tenendo conto dei più recenti cambiamenti del contesto regionale e nazionale: dalle evidenze emerse dall’emergenza pandemica, in relazione alla necessità di collaborazione tra attori pubblici e del privato sociale, alle opportunità di progettazione previste dal PNRR e dai fondi europei (tra cui il Fondo Sociale Europeo Plus) fino alla riforma sociosanitaria regionale (l.r. n. 22/2021) e le norme nazionali, come il Piano Nazionale degli Interventi Sociali e la Legge di Bilancio 2022, che hanno imposto l’adozione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali (LEPS) affidando agli Ambiti territoriali un ruolo centrale nella programmazione, gestione e realizzazione degli interventi. Di seguito segnaliamo i principali elementi di novità e quelli di continuità.
Elementi di novità
Il rafforzamento degli Ambiti territoriali nella programmazione e realizzazione del welfare locale. Questi rappresentano una delle principali aree di investimento, non solo in vista di un prossimo futuro in cui saranno chiamati a svolgere funzioni complesse con un conseguente aumento delle responsabilità e del carico di lavoro, ma già oggi – come è stato definito dalla Legge di Bilancio 2022 (Legge 30 dicembre 2021, n. 234, commi 159-171) – questi vengono individuati come lo strumento con cui programmare, coordinare, realizzare e gestire gli interventi, i servizi e le attività necessarie al raggiungimento dei LEPS tentando, oltretutto, un raccordo con le azioni previste dal PNRR, auspicando così una ricomposizione territoriale di interventi diversi per tipologia, governance e fonti di finanziamento.
Il potenziamento della struttura degli Uffici di Piano prevedendo sia un incremento del personale incaricato della pianificazione e della gestione degli interventi sia l’introduzione e l’organizzazione di percorsi strutturati di formazione e rafforzamento delle competenze, in vista di attività sempre più complesse e multidimensionali.
Il rafforzamento dei modelli di gestione associata, riconoscendo che solo attraverso l’integrazione operativa tra Comuni – e non limitandosi alla sola programmazione – è possibile affrontare con successo la sfida dell’attuazione dei LEPS, migliorando l’uniformità degli interventi e la coerenza nella gestione delle politiche sociali a livello territoriale.
L’attuazione dei LEPS, i quali acquisiscono una centralità significativa tanto che il documento allega per ciascuna delle 10 macroaree di policy una tabella sinottica che illustra i LEPS correlati, una descrizione degli obiettivi associati e l’indicazione di possibili interventi. Questo approccio evidenzia l’impegno nel creare un collegamento tra le direttive regionali e gli indirizzi nazionali, attraverso un’analisi del contesto e una definizione chiara delle priorità operative. Tra i differenti LEPS, Regione ne sceglie alcuni definiti prioritari, su cui tenta la declinazione di indicatori per determinarne il grado di raggiungimento e a cui verrà correlata una sorta di nuova premialità a conclusione del triennio. La programmazione degli interventi finalizzata all’attuazione dei LEPS richiede, come condizione preliminare, un processo di omogeneizzazione interna agli Ambiti, attraverso la costruzione sistematica di strumenti sovra-comunali uniformi e condivisi (come regolamenti, criteri di accesso e soglie). Questo passaggio è fondamentale per semplificare il lavoro di definizione e implementazione dei LEPS.
Elementi di continuità
La promozione della trasversalità e dell’integrazione tra aree di policy a partire dalla fase di lettura e analisi del bisogno fino alla programmazione. Al fine di favorire la sistematizzazione dell’approccio trasversale nella definizione della programmazione zonale – tale da garantire (ove necessario) la multidimensionalità degli interventi e delle azioni e la riduzione della frammentazione nella definizione delle aree di intervento e nella individuazione della risposta al bisogno – il Piano di Zona dovrà esplicitare, per ogni obiettivo, quali aree di policy sono trasversalmente interessate dall’intervento in questione e le modalità di integrazione tra attori, risorse e azioni nelle fasi di programmazione, gestione, monitoraggio e valutazione. Si confermano le 10 macroaree di policy individuate dalla programmazione 2021-2023.
L’integrazione tra servizi sociali e sociosanitari all’interno di un quadro rinnovato del sistema dei servizi e della governance territoriale, introdotto da una riforma regionale (l.r. 22/2021) che ha ridisegnato gli assetti dell’interazione intorno al perimetro del Distretto sociosanitario, di norma coincidente con l’Ambito territoriale sociale, allineando su questo livello gli organismi di governance previsti (Assemblee dei sindaci e di distretto) e l’attuazione dei livelli essenziali, sia assistenziali (LEA) che delle prestazioni sociali (LEPS). In quest’ottica, viene segnalata la necessità di perseguire l’armonizzazione tra la programmazione dei Piani di Zona con i nuovi Piani di Sviluppo del Polo Territoriale (PPT), sperimentando percorsi congiunti di coprogrammazione e coprogettazione con gli enti del Terzo Settore.
La continuità ai progetti candidati a premialità (elemento introdotto nell’ultimo triennio con l’obiettivo di costruire una maggiore connessione tra gli attori istituzionali ed extraistituzionali), ossia progetti impegnati in una programmazione caratterizzata da obiettivi di policy che tengano conto delle seguenti dimensioni: trasversalità di target, livello sovra-zonale e integrazione sociosanitaria.
La prosecuzione di un coinvolgimento sistematico del Terzo Settore e dell’associazionismo, da un lato valorizzando l’ormai avviato lavoro di tavoli di consultazione che da tempo hanno trovato spazio all’interno della governance degli Ambiti. Dall’altro lato, esortando a sperimentare nuove forme di collaborazione attraverso l’applicazione di strumenti di coprogettazione e di coprogrammazione. In particolare quest’ultima viene riconosciuta come decisiva nell’agevolare una migliore integrazione di azioni e risorse nella definizione degli interventi e, soprattutto, aiutare a superare i limiti di alcune esperienze di coprogettazione in cui l’elemento essenziale della collaborazione si è limitato al confronto sulle modalità di messa in opera degli interventi.
La nuova programmazione della Lombardia, tenendo conto di tutti questi elementi, sembra riconoscere la multidimensionalità e multidisciplinarietà dei problemi sociali emergenti. Le linee guida, infatti, mirano da un lato a superare la frammentazione territoriale, dall’altro, a implementare l’integrazione sociosanitaria, promuovendo sinergie con gli enti del terzo settore locale. Di buon grado, inoltre, sono gli elementi di novità introdotti dalla Regione che – in vista degli obiettivi perseguiti già nell’ultimo triennio – ha investito sul rafforzamento e il potenziamento di una governance territoriale integrata.
Bibliografia
- Arlotti, M., Sabatinelli, S. (2020), Una nuova geografia della cittadinanza sociale? Lo sviluppo territoriale dei servizi sociali a vent’anni dalla legge quadro 328/00. Social Policies, 7(3), 357-374.
- Bifulco, L. (2019), Territorializzazione, in Bifulco L. (a cura di), Il welfare locale: processi e prospettive. Carocci editore.
- Guarna, A. R., & Maino, F. (2023), Coprogettazione e coprogrammazione tra teoria e prassi. In Agire insieme: Coprogettazione e coprogrammazione per cambiare il welfare: Sesto Rapporto sul secondo welfare (pp. 36-68). Percorsi di secondo welfare.
- Madama I. (2019), La politica socioassistenziale, in Ferrera M. (a cura di), Le politiche sociali, Il Mulino, Bologna.
- Marocchi G. (2023), L’amministrazione condivisa, tra competizione e collaborazione, in De Ambrogio U. e Marocchi G. (a cura di), Coprogrammare e coprogettare, Roma, Carocci, pp. 41-58.
- Salvati E. (2016a). L’evoluzione della pianificazione zonale. Il caso dei Piani di Zona in Regione Lombardia. Autonomie locali e servizi sociali, 39(3), 499-514.
- Salvati E. (2016b), Governance e organizzazione dei nove Piani di Zona della provincia di Pavia. Un’analisi comparata, in P. Previtali e P. Favini (a cura di), L’organizzazione dei Piani di Zona in provincia di Pavia, Pavia, Pavia University Press, pp. 119-170.
- Vitale, T. (2006). I Piani di zona, luoghi dell’intelligenza?. I piani di zona come strumenti di integrazione. Le sfide per il terzo settore, 23-138.
Note
- La Legge Crispi (Legge n. 6972 del 17 luglio 1890), nota anche come Legge sulle Opere Pie, è una normativa fondamentale nella storia delle politiche sociali italiane poiché garantì una prima regolamentazione organica in materia di assistenza pubblica – istituzionalizzando gli enti caritativi e le opere pie in istituzioni di rilevanza pubblica (le cosiddette Ipab, cioè le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza) – segnando, così, una tappa cruciale nell’evoluzione del sistema assistenziale del Paese.