Politiche di inclusione e di protezione sociale sono due facce della stessa medaglia. Drammaticamente d’attualità. Sia in relazione alle migrazioni in atto, sia in riferimento a un sensibile impoverimento delle nostre famiglie. È il tema del welfare. Le cure sanitarie, le coperture previdenziali complementari, l’assistenza agli anziani e ai non autosufficienti, i servizi per la cura dei figli: sono le frontiere su cui è doveroso sperimentare nuove soluzioni di fronte alla crisi irreversibile dei modelli di Welfare State.
Lo Stato, il pubblico, non può più fare tutto. E quando ha tentato di farlo – in periodo di demografia ed economia positive – ha sottratto spazi e risorse a quella sussidiarietà che da sempre è stata la cifra della partecipazione alla vita sociale di associazioni, mutue, imprese sociali.
Ora, con le casse pubbliche statali semivuote, torna di moda cercare investimenti (privati) a forte impatto sociale (pubblico almeno nelle finalità): social impact investment. C’è già un Welfare del territorio che distribuisce almeno 8 miliardi di risorse nel Paese, attraverso le reti territoriali; ma a queste risorse pubbliche devono potersi aggiungere contributi che derivano dal privato, in tutti i sensi. Ma è vero che il contesto non è favorevole. Per certi versi persino ostile.
Il nuovo welfare del Paese deve nascere nel territorio
Guido Castelli, Huffington Post, 10 novembre 2017