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Siamo un Paese vecchio e che continua a invecchiare, ma nonostante questo fatichiamo a trovare soluzioni adeguate alle esigenze abitative degli anziani, specialmente quelli fragili e non autosufficienti. Dove si può intervenire per affrontare questa situazione? Ne parliamo nella nostra inchiesta dedicata all’housing per gli over 65, pubblicata su Corriere Buone Notizie dell’8 dicembre 2020. Di seguito trovare il commento di Chiara Lodi Rizzini; qui invece potete leggere l’articolo di contesto firmato da Paolo Riva.  


Con l’imperativo “Restate a casa” l’emergenza Covid ha rivelato come il luogo in cui si abita, da rifugio, possa diventare una fonte di problemi, se non una sorta di gabbia. Un dato vero soprattutto per gli anziani. Molti di quelli che vivono in casa propria hanno dovuto affrontare la solitudine, la difficoltà a reperire cibo e beni essenziali, ma anche nel ricevere cure e assistenza. Quelli che vivono nelle RSA invece, se non si sono ritrovati al centro di focolai potenzialmente mortali, sono rimasti isolati per mesi. E così probabilmente rimarranno fino all’arrivo del vaccino, impossibilitati a incontrare i familiari. Le conseguenze dell’isolamento sono pesanti per tutti, ma lo sono ancora di più per chi certamente “non ha il tempo dalla sua parte”.

Discutendo di abitare e invecchiamento, sono due in particolare le sfide su cui ci si dovrà concentrare superata l’epidemia. La prima riguarda le relazioni e il sentimento di solitudine che spesso accompagna la vecchiaia. Su questo fronte si può investire in soluzioni abitative che favoriscono l’incontro e le relazioni, guardando ai cohousing o ai progetti di “coabitazione a casa propria”; una strada percorribile considerando che più di un quarto degli Italiani over 65 vive in un alloggio più grande di quanto necessario. Queste soluzioni però non sono semplici da accettare per gli anziani, che come sappiamo tanto più passa il tempo, tanto più sono radicati alla propria casa, che non è solo lo spazio fisico in cui abitano ma anche luogo di memorie, di appartenenza e identità. Da qui la seconda sfida, quella della riforma dei servizi di cura domiciliare per favorire l’ageing in place, cioè consentire almeno agli anziani che lo desiderano di rimanere il più possibile a casa propria. Il tutto attraverso un approccio olistico che integri casa e servizi, a partire dal presupposto che l’autonomia non dipende solo dalle condizioni personali di salute fisica e mentale, ma anche dall’ambiente circostante.

Ma dove trovare le risorse? I numeri su invecchiamento e non autosufficienza suggeriscono che in futuro la domanda di servizi di cura aumenterà sensibilmente, soprattutto con l’ingresso dei baby boomer tra gli anziani. Allo stesso tempo, i dati sulla spesa sociale – enormemente sbilanciata sul rischio vecchiaia – indicano che non è il caso di destinare ulteriori risorse pubbliche al tema. Sarà quindi doveroso, da un lato, ricalibrare la spesa sociale e spostare risorse su aree come sanità e housing, per riorganizzare i servizi domiciliari sulla base di una domanda sempre più consistente, specifica e articolata. Dall’altro lato, occorrerà intercettare e aggregare la cosiddetta spesa out-of-pocket, cioè quello che gli anziani, o i loro cari, spendono di tasca propria per servizi che spesso sono in nero o di bassa qualità. Infine, bisognerebbe promuovere un cambiamento culturale, sensibilizzando gli anziani stessi sui rischi futuri e le soluzioni disponibili. Quanto accaduto in questi mesi – soprattutto nelle RSA, che verranno ricordate tra le pagine più tristi dell’epidemia – ha dimostrato come il sistema vigente sia ormai insostenibile e sia urgente pensare a un nuovo modello di cura “home-based” orientato al benessere della persona e della sua famiglia.