La trasformazione digitale della pubblica amministrazione e, più in generale, della burocrazia è in corso. La pandemia l’ha fortemente accelerata, con conseguenze positive e negative. Le prime sono sotto gli occhi di tutti: per molte operazioni, non è più necessario recarsi fisicamente in un ufficio. Gli sportelli, dietro ai quali ci sono delle persone reali con le quali è possibile parlare, però, sono spesso importanti per chi ha qualche difficoltà in più a interfacciarsi con enti pubblici e privati. E qui veniamo alle conseguenze negative, una su tutte l’esclusione sociale delle fasce più fragili della popolazione.
È un problema presente in molti stati europei e, in Belgio, lo racconta il magazine indipendente Médor. In un bel pezzo a metà tra il reportage e l’l’inchiesta, vengono descritte le difficoltà di tanti cittadini e tante cittadine ad accedere ai servizi, una volta che questi sono stati chiusi fisicamente e spostati on line, o al telefono. A subire la situazione sono anziani, stranieri, persone in difficoltà o condizioni precarie che, sempre più, rischiano di non vedere riconosciuti i loro diritti, se questo divario digitale non verrà affrontato. Secondo Médor, il 46% della popolazione belga si troverebbe in una situazione di vulnerabilità digitale.
Un dato al quale dovremmo guardare con preoccupazione anche dall’Italia. Il nostro Paese, infatti, è complessivamente due posizioni indietro rispetto al Belgio nel DESI, l’Indice di Digitalizzazione dell’Economia e della Società. Il divario, però, si fa ancora più ampio se si guardano le competenze digitali: il Belgio occupa il tredicesimo posto, sopra la media Ue, mentre il nostro Paese langue in fondo alla classifica, al terzultimo posto prima di Bulgaria e Romania.