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I Regolamenti di amministrazione condivisa sono strumenti giuridici che disciplinando la collaborazioni tra i cittadini e enti locali per la cura, la rigenerazione e la gestione condivisa dei beni comuni. Negli anni i regolamenti sono cresciuti in qualità e quantità, permettendo di dare concretezza al principio di sussidiarietà orizzontale in più luoghi. Ce ne siamo occupati nella nostra ultima inchiesta per Corriere Buone Notizie: di seguito trovate il commento di Lorenzo Bandera sul ruolo di questi strumenti alla luce dei cambiamenti in atto nel welfare locale e della crisi pandemica; qui invece trovate l’articolo di contesto curato da Paolo Riva.

I Regolamenti di amministrazione condivisa sono la cornice giuridica entro cui, ormai da alcuni anni, gruppi informali di cittadini e organizzazioni del Terzo Settore possono stabilire con gli enti locali patti per collaborare in ambiti rilevanti per il benessere della comunità. Il welfare ha da sempre avuto un ruolo di rilievo in questo genere di accordi, ma con la pandemia questa spinta verso la co-progettazione delle politiche sociali sembra essersi rafforzata. In molti contesti locali si è infatti assistito a una progressiva sburocratizzazione e semplificazione dei processi socio-assistenziali per l’erogazione dei servizi e a una contemporanea ristrutturazione della governance pubblico-privata. In pochi mesi, a volte anche grazie alla digitalizzazione “forzata”, sono stati superati vincoli che apparivano insormontabili. I Comuni si stanno rendendo conto che alcuni bisogni a cui oggi il Pubblico fatica a dare risposta – ad esempio in tema di lotta alle diseguaglianze, sostegno ai più fragili e conciliazione famiglia-lavoro – trovano soluzione proprio grazie a iniziative che vengono “dal basso”.

Accertata (e accettata) questa situazione, la percezione di molti sindaci, dirigenti e operatori è che solo cooperando sempre di più con chi è a contatto coi bisogni sociali sia possibile intercettare le necessità spesso “sconosciute” ai servizi comunali. In sintesi, solo favorendo il community engagement e una ricomposizione delle forze del secondo welfare presenti sui territori si possono coprire i gap sociali ampliati dalla pandemia. In questo senso si intravedono segnali di un cambio di paradigma nel welfare locale e una sua riconfigurazione in chiave di adeguatezza, appropriatezza e adattabilità, ma anche innovazione e sostenibilità.

È in questo rinnovato contesto che l’amministrazione condivisa appare una pratica da incentivare il più possibile. Anzitutto ricorrendo ai patti di collaborazione e, se necessario, creando ecosistemi giuridici, in primis attraverso i regolamenti, per alimentare le dinamiche in atto. In tal modo si potrebbero intercettare e incentivare più facilmente iniziative focalizzate su alcuni temi chiave – povertà, emergenza educativa, work-life balance e non autosufficienza – e comprenderle più facilmente in strategie di ampio respiro, possibilmente condivise e di lungo periodo, che evitino sovrapposizioni e duplicazioni degli interventi (vista anche la scarsità delle risorse disponibili).

In questo senso bisognerebbe anche evitare che “locale” sia sinonimo di “localismo”, avendo l’ambizione di far diventare le esperienze dei singoli territori un patrimonio condivisibile con chiunque altro si trovi ad affrontare i medesimi problemi. È la direzione in cui sta andando il progetto WILL – Welfare Innovation Local Lab coordinato da Ifel, la Fondazione di ricerca dell’Anci. Attraverso il progetto diversi Comuni capoluogo del Nord hanno iniziato a sperimentare, collaborando, interventi di welfare innovativi sui propri territori che, si spera, potranno essere replicati altrove. Non deve stupire che la metà degli enti locali attualmente coinvolti in WILL già adotti un regolamento di amministrazione condivisa.

Questo articolo è stato pubblicato sul Corriere della Sera del 30 marzo 2021 nell’ambito della collaborazione tra Secondo Welfare e Buone Notizie; è qui riprodotto previo consenso dell’autore.