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Nel marzo 2014, il Consiglio dell’Unione europea adottava una raccomandazione che introduceva un “quadro di qualità per i tirocini”. Insieme all’Alleanza europea per l’apprendistato, tale raccomandazione nasce come possibile complemento alla strategia della Garanzia Giovani. Se infatti il piano europeo di contrasto alla disoccupazione giovanile si caratterizza come strategia supply-side, con l’obiettivo di attivare quanti più NEET possibile, come di recente notato la Corte dei conti europea, poco si è detto in merito alla qualità della domanda di lavoro per i giovani, ovvero su quello che si intende con garanzia di un “offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio”. Il quadro di qualità per i tirocini è stato pensato per andare in questa direzione. La misura, seppure non vincolante per i Paesi membri, pone dei requisiti minimi rispetto alla qualità della componente formativa, all’utilizzo, e alle condizioni di lavoro dei tirocini. Data la crescente rilevanza dei tirocini come via d’accesso all’occupazione e l’estrema eterogeneità degli orientamenti nazionali in materia, la raccomandazione tocca un tasto delicato dei mercati del lavoro europei. Andiamo dunque a vedere quali standard di riferimento sono stati adottati e come questi interagiscono col contesto italiano, nel momento in cui (almeno negli intenti) i tirocini costituiscono un importante tassello della Garanzia Giovani.


I tirocini in Europa

Generazione Stage: così la vicepresidente del parlamento europeo Ulrike Lunacek ha fatto riferimento ai giovani europei in occasione di una conferenza organizzata a Bruxelles a una anno dall’adozione del quadro di qualità per i tirocini. A ragion veduta, in effetti: stando a un sondaggio dell’Eurobarometro del 2013, quasi la metà dei giovani europei (il 46% degli intervistati fra i 18 e i 35 anni,“solo” il 31% in Italia) ha fatto almeno un’esperienza di stage. Nonostante ciò, perlomeno fino all’adozione del quadro di qualità per i tirocini, non è mai esistita una definizione chiara e condivisa dai Paesi membri, ma piuttosto una pluralità di regolamentazioni più o meno leggere sul tema. Un rapporto della Commissione europea (2012) individuava tre tratti unificanti come minimo comune denominatore della costellazione di diverse forme di tirocinio nei Paesi membri:

(1) la preponderanza della componente formativa;
(2) l’elemento pratico di learning-on-the-job;
(3) il carattere temporaneo.

Elementi che ne marcano dunque le differenze da forme di inserimento lavorativo vero e proprio e di più lungo termine come, ad esempio, l’apprendistato. Nei termini utilizzati dalla Commissione europea per la proposta del quadro di qualità (SWD(2012) 99 final), il tirocinio è: "un’esperienza lavorativa comprendente una componente educativa (nel quadro di un curriculum di studio o no) di durata limitata. Scopo di tali tirocini è quello di agevolare la transizione dei tirocinanti dall’istruzione al lavoro, fornendo loro l’esperienza pratica, le conoscenze e le competenze idonee a completare la loro istruzione teorica".

La definizione della Commissione comprende in realtà diverse sotto-categorie di tirocinio. La distinzione analitica a cui fanno riferimento gli addetti ai lavori (si veda ad es. Lain et. Al. 2014) è quella fra tirocini curriculari (previsti come obbligatori per completare un percorso di istruzione) ed extra-curriculari, questi ultimi a loro volta divisi fra tirocini “nel mercato aperto”, meno regolati e dunque più esposti ad abusi da parte dei datori, e tirocini legati alle politiche attive del lavoro, e come tali di norma supervisionati da qualche amministrazione pubblica. Il quadro di qualità adottato dal Consiglio dell’Ue si riferisce solo ai tirocini extra-curriculari, escludendo le forme più strettamente legate alle peculiarità delle istituzioni nazionali: non solo i tirocini curriculari, ma anche l’universo dei tirocini obbligatori per l’accesso a quelle che in Italia chiamiamo “professioni liberali” (si pensi al praticantato per gli avvocati e alle scuole di specializzazione per i medici).

A seguito della crisi, il dramma della disoccupazione giovanile ha acceso il dibattito sui tirocini. Questi sono infatti stati individuati sia dagli accademici che dai policy maker europei come strumento chiave per ridurre il mismatch fra domanda e offerta di lavoro. Si è osservato come i tirocini favoriscano l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, colmando il buco che spesso viene a formarsi fra le conoscenze teoriche acquisite a scuola e le competenze pratiche richieste nel mercato, che d’altra parte solo un’esperienza on-the-job può spesso offrire. Esperienza che può tradursi in maggiore occupabilità e migliori prospettive future per i giovani, e in valore aggiunto anche per i datori di lavoro, più motivati ad assumere chi dimostra di avere già determinate competenze.

Per contro, i tirocini sono spesso stati oggetto di critiche. In primo luogo, specie quando reiterati, essi possono essere impropriamente utilizzati in sostituzione di forme di lavoro standard, fino al caso estremo di “intrappolamento” dei giovani in attività precarie. Altro rischio, specie per i tirocini nel “mercato aperto”, i cui tratti sono definiti dal datore senza controllo esterno, la scarsa qualità della componente formativa, deficit che fa venir meno la stessa ragion d’essere dello strumento. Da ultimo, la proliferazione in molti Paesi Ue di tirocini non pagati (o con compensi molto bassi). Quest’ultimo aspetto è il più controverso, o perlomeno quello che più di tutti ha acceso il dibattito a livello europeo e italiano. Nella stessa raccomandazione del Consiglio si nota come la presenza di tirocini non pagati costituisca un problema non solo di per sé, ma soprattutto quando si considerano le possibili conseguenze in termini di aumentate disuguaglianze sociali, laddove essa limita le opportunità di chi, provenendo da famiglie poco abbienti, non può permettersi di impegnarsi in esperienze magari anche valide in termini di rafforzamento o acquisizione di nuove skills, ma senza copertura (almeno parziale) dei costi sostenuti.

Alcuni dati dal già citato sondaggio dell’Eurobarometro (2013), assieme all’inchiesta “Interns Revealed” condotta nel 2011 dallo European Youth Forum (EYF), aiutano a tracciare meglio i contorni di quanto detto. Per quanto riguarda i vantaggi percepiti dai tirocinanti, secondo l’Eurobarometro l’89% di giovani afferma di aver migliorato le proprie competenze professionali attraverso il tirocinio, con un 71% che va oltre, ritenendo che l’esperienza sia stata utile per trovare un impiego regolare. Nonostante ciò, Lo EYF registra inoltre un 19% di giovani che dichiarano di aver scelto la via del tirocinio non tanto per l’interesse nel migliorare il proprio cv (motivazione comunque preponderante fra gli intervistati), ma per mancanza di altre opportunità occupazionali. Si nota poi che soltanto nel 27% dei casi l’azienda in cui si è svolto il tirocinio ha offerto un contratto di lavoro al termine di esso.
Sul versante della qualità e delle condizioni di lavoro, solo il 62% di tirocinanti dichiara di aver firmato un accordo scritto che regolasse in modo chiaro contenuti e diritti legati al tirocinio svolto. L’80% degli intervistati ritiene comunque, al netto della paga, di aver ricevuto un trattamento uguale a quello riservato ai dipendenti regolari. Nel 59% dei casi (51% per lo EYF) i tirocini non erano pagati; anche dove previsto un compenso economico, il 46% degli intervistati ne lamenta l’inadeguatezza nel coprire le spese di base.


Il Quality Framework for Traineeships: il contenuto e i punti controversi

La Commissione europea ha ormai da tempo riconosciuto l’importanza del facilitare le transizioni dei giovani dall’istruzione al mercato del lavoro, e il ruolo (spesso controverso) giocato in questo dai tirocini. Un primo passo verso l’introduzione di linee guida europee che fissassero degli standard comuni per i tirocini risale al 2007, quando la Commissione annunciò l’intenzione di avanzare una proposta di Carta europea dei tirocini (nella COM(2007) 498 final). Nel 2010 fu il Parlamento europeo a invitare la Commissione a procedere in tal senso, e a elaborare uno studio comparativo dei vari programmi di tirocinio esistenti negli Stati membri. Lo studio fu completato nel 2012, e ad esso si affiancò una proposta per una Carta europea per la qualità dei tirocini e degli apprendistati elaborata da diversi attori della società civile e coordinata dallo EYF. Su invito del Consiglio, la Commissione ha avanzato una sintesi dei contenuti per il quadro di qualità per i tirocini (COM(2013) 857 final). Questo si è poi concretizzato nella Raccomandazione del Consiglio dell’UE del 10 marzo 2014, non vincolante per gli Stati membri, che individua degli standard di qualità per i tirocini extra-curriculari nell’UE.

La cautela nel non invadere le competenze nazionali in materia è chiara non solo dalla scelta di uno strumento di soft law, ma anche dal carattere minimo e molto generale dei contenuti della stessa raccomandazione. I principi elencati si riferiscono a:

  • La conclusione di un contratto scritto di tirocinio, in cui si definiscano all’inizio del rapporto obiettivi formativi, condizioni (inclusa la previsione o meno di un compenso economico), diritti e obblighi delle due parti.
  • Obiettivi di apprendimento e di formazione, promuovendo le migliori pratiche al fine di di arricchire i tirocinanti con esperienze pratiche e “competenze appropriate”, nonché incoraggiando i soggetti promotori a designare un supervisore che guidi i tirocinanti nel corso della loro esperienza e ne monitori e valuti i progressi .
  • Condizioni di lavoro applicabili ai tirocinanti, assicurando il rispetto dei diritti e delle condizioni previste dal diritto nazionale e dell’Ue (la durata massima settimanale del lavoro, riposi, ferie dove applicabili, ecc.), incoraggiando i promotori a chiarire se siano o meno previste le coperture assicurative per infortuni e malattie nonché un’indennità e, in caso affermativo, precisandone l’entità.
  • Durata ragionevole del tirocinio, dove si consigliano 6 mesi, ma non si esclude la possibilità di proroga e rinnovo; si prevede anche possibilità di risoluzione del contratto, purché con un termine di preavviso appropriato “in funzione della prassi nazionale pertinente”.
  • Adeguato riconoscimento dei tirocini, convalidato da un certificato delle conoscenze, abilità e competenze acquisite.
  • Altre raccomandazioni che riguardano l’agevolazione dei tirocini trans-frontalieri, l’allargamento della rete EURES ai tirocini retribuiti, e il ricorso ai Fondi strutturali e di investimento europei per l’incremento dei tirocini di qualità.

Grande assente fra le linee guida, la previsione di un compenso economico obbligatorio. Mentre la proposta dello EYF insisteva sulla presenza di un rimborso minimo pari ad almeno al 60% del reddito mediano nazionale (la soglia di povertà adottata da Eurostat), le consultazioni con parti sociali e Stati membri hanno di fatto sfumato tutti gli aspetti del testo che potevano risultare in oneri potenzialmente troppo invasivi nei confronti delle prassi nazionali. Si fa presente ad esempio la posizione presa dall’Unione europea dell’artigianato e delle piccole e medie imprese (UEAPME) in merito non solo all’inconvenienza del minimo retributivo, ma anche ad altri aspetti definiti “non realistici” per le piccole imprese, come l’idea iniziale di un supervisore per ogni tirocinante, o anche la durata massima consigliata di 6 mesi, ritenuta troppo “stretta” per alcuni settori produttivi.

Il Consiglio sembra invece aver voluto mantenere l’enfasi sulla centralità della componente formativa (e la sua auspicata certificazione formale), e sulla rilevanza dei tirocini come porta d’accesso al mercato del lavoro, e quindi come strumento chiave nel quadro della Garanzia Giovani. La raccomandazione si ferma comunque a una “funzione minima”: quella di indicare una definizione condivisa e degli standard essenziali per ciò che si intende come “tirocinio di qualità” nell’Ue. Per vedere se in effetti la raccomandazione porterà ai risultati sperati occorrerà aspettare il rapporto sulle misure effettivamente adottate dai Paesi membri, previsto entro la fine del 2015, e i risultati di un secondo Eurobarometro ad hoc programmato per il 2016.


Il quadro italiano: più avanti delle linee guida europee?

Guardando al contesto italiano, il quadro europeo di qualità per i tirocini non ha in realtà portato grandi novità. A partire dalla riforma Fornero (legge n.92 del 28 giugno 2012), la legislazione nazionale si era già spinta molto più in là di quanto indicato dal Consiglio dell’Ue. Data la competenza delle Regioni in materia (come stabilito dalla Sentenza della Corte costituzionale del 19 dicembre 2012, n. 287), con l’Accordo del 24 gennaio 2013, la Conferenza Stato-Regioni ha adottato le “Linee guida in materia di tirocini” in attuazione di quanto previsto dalla legge 92. Queste prevedono per i tirocini extra-curriculari (escludendo i periodi di pratica professionale per l’accesso alle professioni liberali) un compenso minimo, una durata massima del contratto in base al titolo di studio (lo standard è di 6 mesi) e dei requisiti per le aziende onde evitare abusi.

Sono state quindi le Regioni a dover poi tradurre in pratica le linee guida (non senza ritardi: un monitoraggio aggiornato delle normative regionali è tenuto da Adapt): se il compenso minimo era fissato a 300 euro mensili, la maggior parte delle Regioni ha scelto di alzare l’asticella fino a livelli compresi fra 500-600 euro mensili (Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Toscana e Marche). Il processo di implementazione non è stato per nulla indolore, e, come del resto si può dire anche per la Garanzia Giovani, si è tradotto in una moltitudine di strategie regionali. Le uniche Regioni che si sono dotate di un sistema di monitoraggio sui tirocini sembrano essere Piemonte, Toscana, Veneto, la Provincia autonoma di Bolzano e il Friuli. Stando ai dati resi pubblici da quest’ultime, nel 2013 si è registrato un netto aumento del ricorso allo strumento, in controtendenza con quanto avvenuto negli anni precedenti.

Oltre alle critiche mosse rispetto alla non felice ripartizione di competenze fra Stato e Regioni, le polemiche si sono concentrate sul punto più delicato della riforma: ancora una volta, l’introduzione del compenso minimo. Nonostante l’intento lodevole di garantire una retribuzione seppur minima agli stagisti, l’effetto paradosso denunciato dal rapporto di Adapt (2013) è quello del declassamento dei tirocini a “lavoretti” di serie B, dove la previsione di un’indennità obbligatoria rischia di trasformare il tirocinio da strumento formativo a pseudo-contratto di lavoro vero e proprio. In ultima istanza, il rischio è quello di dumping fra tirocinio e apprendistato, nel momento in cui, anche a causa della crisi in corso, uno stage pagato può andare a sostituire uno strumento più costoso per il datore di lavoro (ma anche più ricco in termini di investimento in capitale umano e tutele) quale l’apprendistato. Questo timore è in effetti giustificato dal rapporto sui tirocini della Commissione europea (2012), che in merito al caso italiano osservava come, già sulla base dei dati sugli avviamenti del 2009 (+5,4 per i tirocini, -8,5 per gli apprendistati, sullo sfondo di una generale contrazione delle assunzioni) sembrava lecito pensare ad un utilizzo improprio dei tirocini da parte delle imprese al fine di abbassare il costo del lavoro.


I tirocini nella Garanzia per i giovani

I tirocini sono stati inseriti come parte integrante del piano nazionale della Garanzia Giovani, con la previsione di un’indennità a carico delle Regioni per i beneficiari. Come si osserva dalla Tabella 1, i tirocini sono la misura su cui in media le Regioni hanno scelto di concentrare la maggior parte delle risorse destinate alla Garanzia Giovani. Il 21,7% dei fondi (si ricorda che in totale sono disponibili circa 1,5 miliardi di euro) è stato assegnato ai tirocini. Guardando alla ripartizione media per macro-aree si nota come siano le Regioni del Nord ad aver investito di più sulla misura: il 29,4% delle risorse, quasi il doppio rispetto al Sud e alle isole, che hanno invece dato la priorità alla formazione (18,6% contro il 15,6% assegnato ai tirocini). La variazioni fra singole Regioni (non incluse in tabella) sono estremamente elevate: gli estremi sono da una parte il Friuli e la Valle d’Aosta, con più dalla metà delle risorse regionali assegnate ai tirocini, e dall’altra la Sicilia, con solo il 2,6% dei fondi destinati alla misura. Parte del divario Nord-Sud nelle preferenze di ripartizione è comunque dovuta alla disponibilità per il Mezzogiorno di fondi di provenienti da altra fonte, come ad esempio i i 168 milioni previsti dal D.l. 76/2013 nel triennio 2013-2015 per il finanziamento di borse di tirocinio formativo a favore di giovani NEET di età compresa fra i 18 e i 29 anni.
 

Tabella 1: ripartizione dei fondi sulle varie misure di Garanzia Giovani per macro-aree – dati percentuali
Fonte: Nostra elaborazione su dati MPLS – programmazione definitiva aggiornata al 24.03.2015


Nonostante il pesante investimento sui tirocini, secondo i dati del monitoraggio del 30 aprile questi sono solo il 10,2% delle offerte di lavoro pubblicate sul portale di Garanzia Giovani (la fetta più grande va alle offerte di contratto a tempo determinato, il 72%). Fra i motivi che stanno dietro all’apparente marginalità delle opportunità di tirocinio spiccano difficoltà di carattere amministrativo nella gestione delle indennità. I tirocini sono regolati da avvisi regionali, mentre dell’indennità è responsabile l’INPS. I primi chiarimenti riguardo al pagamento dell’indennità ai tirocinanti sono arrivati dall’INPS solo a settembre 2014, a loro volta rimandando a convenzioni separate stipulate poi fra l’ente e le singole Regioni. Se la stragrande maggioranza delle Regioni ha di fatto lasciato che il pagamento avvenisse direttamente dall’INPS ai beneficiari (i cui dati vengono comunicati periodicamente dalle amministrazioni regionali), ancora un volta si è sviluppata una pluralità di strategie differenti.

In alcune Regioni (Sicilia, Puglia, Campania, Liguria, Calabria, Abruzzo), i tirocini non sono ancora nemmeno stati attivati. Laddove sono partiti, invece, la Repubblica degli stagisti ha di recente denunciato gravi ritardi nel pagamento delle indennità, dovuti principalmente a intoppi burocratici nella comunicazione fra amministrazioni e INPS. Non a caso il pagamento delle indennità sembra procedere regolarmente in Lombardia, Regione che, controcorrente, ha stabilito che debba essere direttamente l’azienda a pagare il compenso al tirocinante, per poi fare richiesta di rimborso all’INPS una volta terminata l’esperienza formativa.

I vari ritardi e disguidi burocratici hanno dunque offuscato l’immagine dei tirocini nell’ambito della Garanzia Giovani. Se i buoni propositi del quadro di qualità proposto un anno fa dal Consiglio dell’Ue puntavano a spostare l’attenzione sul contenuto dei tirocini, sembra che in Italia non ci sia stato spazio per questo. Vero, la legge 92 fissava già paletti al di sopra della media europea, ma il dibattito sui tirocini si è apparentemente fermato all’aspetto economico, tralasciando la qualità dell’esperienza formativa. L’accento posto sull’indennità ai tirocinanti nel quadro della Garanzia Giovani e la sua difficile gestione in una fase di "messa a regime" nella maggioranza delle Regioni sembra andare esattamente in questa stessa direzione. Il rischio resta in effetti quello che le aziende, quando interessate, interpretino i tirocini di Garanzia Giovani come opportunità per servirsi di manodopera a costo zero (scaricato completamente o in gran parte sulla Regione) nel breve termine, a discapito di apprendistato e di altre forme contrattuali, senza realmente investire sull’occupabilità dei giovani tirocinanti nel medio-lungo termine.

Riferimenti

Bertagna, G., Buratti, U., Fazio, F., e Tiraboschi, M. (2013), La regolazione dei tirocini formativi in Italia dopo la legge Fornero. L’attuazione a livello regionale delle Linee-guida 24 gennaio 2013: mappatura e primo bilancio, ADAPT Labour studies e-Book series No. 16.

Commissione europea (2012), Study on a comprehensive overview on traineeship arrangements in member states: final synthesis report, Luxembourg, Publications Office of the European Union .

Commissione europea (2013), The experience of traineeships in the EU, Flash Eurobarometer 378 – TNS Political and Social, novembre 2013.

Lain, D., Hadjivassiliou, K., Corral Alza, A., Isusi, I., O’Reilly, J., Richards, V., & Will, S. (2014), Evaluating internships in terms of governance structures: Contract, duration and partnershipEuropean Journal of Training and Development, 38(6), 588-603.

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