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La recente decisione del Presidente Trump di congelare gli aiuti internazionali gestiti da USAID (United States Agency for International Development) ha messo in ginocchio tantissime organizzazioni della società civile che ovunque nel mondo portano avanti progetti in ambiti cruciali come la salute pubblica, i diritti umani e lo sviluppo di comunità. USAID, costituita nel 1961, è – dopo l’Unione Europa – il secondo finanziatore istituzionale più importante al mondo e gestisce un budget annuale di circa 40 miliardi di dollari, pari circa al 40% degli aiuti umanitari messi a disposizione a livello globale.

La decisione di congelare gli aiuti umanitari fa parte di una serie di ordini esecutivi emessi dalla nuova amministrazione Trump (Secondo Welfare ne ha parlato qui, ndr) che prendono di mira questioni come immigrazione, DEI (Diversity, Equity, Inclusion), multilateralismo e altro, con preoccupanti conseguenze geopolitiche anche in termini di ruolo della società civile, deterioramento della partecipazione democratica e aumento delle diseguaglianze, che chiamano in causa la filantropia da molteplici prospettive.

Ci si chiede soprattutto come colmare il divario provocato dalla crisi USAID per evitare la chiusura di progetti e organizzazioni della società civile, per esempio fornendo prestiti ponte e proroghe non onerose, allentando le scadenze di rendicontazione e gestione del cash flow. Ci si interroga, più raramente, su credibilità e legittimità della filantropia. Questo anche rispetto a scenari di attacchi diretti al suo ruolo e al suo valore per la società, come conseguenza di più ampie politiche di restringimento e indebolimento della società civile, che sono in atto in molti Paesi anche europei, ben oltre i confini statunitensi.

Logo Focus Filantropia e FiducidaQuesto articolo è parte del Focus Filantropia e Fiducia, spazio online curato da Secondo Welfare che raccoglie riflessioni, interviste e ricerche sulla filantropia trust-based e sull’impatto che potrebbe avere nel nostro Paese.

Corsi e ricorsi storici: per una filantropia dalla parte giusta della storia

È proprio su considerazioni più ampie e profonde, in merito al “sistema dei finanziamenti”, ben oltre il come reagire alla emergenza del congelamento USAID, che la questione si interseca con il tema della filantropia basata sulla fiducia. Più in generale, si tratta del tipo di relazione donatore-beneficiario, ente finanziatore (pubblico, come USAID, e privato, come fondazioni ed enti filantropici) ed enti del Terzo Settore, che si arriva alla domanda sottesa cruciale per tutta la filantropia: cosa ci ha portato ad avere una società civile fragile e frammentata, poco resiliente e in permanente situazione precaria? Quale ruolo ha giocato la filantropia in questo processo?

Nel report Breaking the Starvation Cycle di Humentum del 2022 emerge come le organizzazioni della società civile non siano adeguatamente supportate dagli attori filantropici che, in una sorta di isomorfismo sui modelli di finanziamento degli attori pubblici, hanno vincolato le loro risorse a progetti, liste di attività, KPI (Key Performance Indicators), non permettendo alle organizzazioni di rafforzarsi e alimentando una cultura del controllo esplicitata in forme di rendicontazione onerose e focalizzate sul controllo degli input attraverso output di breve periodo. Uno dei risultati più sorprendenti della ricerca di Humentum è la scarsità di riserve non vincolate di cui dispone la maggior parte delle organizzazioni: il 50% dei rispondenti ha riserve non vincolate utili a coprire appena 21 giorni di attività.

Eppure, negli ultimi 35 anni, il “business thinking” come sinonimo di “ben gestito ed efficace” è stato applicato come un mantra al Terzo Settore. A partire dagli anni Ottanta, infatti, prima USAID, poi l’Unione Europea e i vari attori nazionali, hanno adottato procedure e metodologie tese a professionalizzare, ingegnerizzare, adeguare il non profit ai criteri del profit. Penso al PCM (Project Cycle Management), quadro logico, valutazione di KPI, ma anche al contenimento dei costi di struttura come – molto spesso unico – criterio di efficienza.

Per 35 anni – in base ad una sorta di pregiudizio implicito in merito all’efficacia del profit, rinforzato da una sorta di complesso di inferiorità del non profit – alle imprese sociali, alle ONG, agli ETS si è continuato a chiedere di adeguarsi alle metriche del profit. C’è una enorme responsabilità in questo da parte delle business school, dalle Ivy League americane alle nostrane.

Il congelamento dei finanziamenti USAID porta alla ribalta una crisi profonda e strutturale, dovuta ad una dipendenza intrinseca causata dai meccanismi di finanziamento per progetti che era già emersa in modo detonante durante la pandemia da Covid-19. Allo stesso tempo però, è anche una grande opportunità per rimettere in discussione il ‘come’ operiamo. Un ragionamento avviato pubblicamente durante la pandemia, con 186 fondazioni da tutta Europa che nel marzo 2020 hanno firmato una dichiarazione di impegno per modalità di finanziamento flessibili, basate sull’ascolto e sulla fiducia.

Perché cambiare e mettere al centro la fiducia

Togliamo la foglia di fico. Il capitale filantropico rispetto ai finanziamenti pubblici, in termini di quantità, è come una piscina rispetto al mare Mediterraneo. Si pensi che per la cooperazione internazionale le fondazioni mettono in campo circa 10 miliardi contro i circa 40 di USAID1 e i 90 dell’Unione Europea. Ma il vero potenziale della filantropia risiede nella qualità delle sue risorse molto più che nella quantità, in come queste possono essere spese. La filantropia gode di un’enorme libertà di azione: a questa disponibilità deve corrispondere una grande responsabilità. Il passaggio da un paradigma di finanziamenti vincolati a bandi e progetti di breve periodo, che rendono le organizzazioni deboli, in perenne starvation cycle (ciclo della fame), a finanziamenti orientati a processi per il raggiungimento di missioni, attraverso il supporto alle organizzazioni (definito a livello internazionale core funding o organisational development) è determinante.

E la fiducia è un elemento chiave per questo cambio di paradigma. Mettere al centro la fiducia vuol dire ribaltare la logica tradizionale in cui la fondazione è in una posizione di forza, perché detiene risorse ed esercita forme di controllo nei confronti dei “beneficiari”, che devono giustificare ogni minimo passaggio delle loro azioni attraverso report e procedure burocratiche. Implica riconoscere il valore, la competenza e la capacità delle organizzazioni della società civile di sapere cosa serve realmente per affrontare le cause. Vuol dire adottare modalità di finanziamento per processi di medio periodo, flessibili, focalizzati su outcome identificati insieme con le organizzazioni partner (considerate tali e non mere beneficiarie). Vuol dire semplificare le modalità di rendicontazione, spostandosi dalla richiesta di giustificativi di spesa a modalità di dialogo, onesto e trasparente. Vuol dire superare le valutazioni di impatto come compliance ex post per processi di apprendimento condiviso e framework di valutazione di impatto completamente nuovi come, per esempio, l’equitable evalutation framework.

Utilizzare la fiducia come principio guida delle proprie modalità di finanziamento è un requisito per costruire una filantropia trasformativa, che non si limiti a finanziare servizi diretti, ma consenta alle organizzazioni del Terzo Settore di lavorare per affrontare le cause sistemiche delle questioni che ci stanno a cuore.

Quali pratiche e strade possibili esistono?

L’efficacia di finanziamenti su missioni, attraverso il sostegno alle organizzazioni, in contrapposizione a finanziamenti vincolati a progetti, è stata tristemente dimostrata nei decenni scorsi dalla “filantropia oscura” (si vedano i fratelli Koch sul negazionismo climatico), oltre che dal lavoro pionieristico di alcune fondazioni come, per esempio, OAK Foundation e Dreilinden di Ise Bosch, e dei fondi femministi2, ormai diffusi in 44 Paesi che hanno ribaltato le modalità tradizionali sperimentando per primi il participatory grant-making.

A livello internazionale, a partire dalla rimessa in discussione provocata dalla pandemia da Covid-19, sono ormai molteplici gli enti filantropici che stanno lavorando per superare i finanziamenti vincolati a progetti e il sotto investimento cronico nelle organizzazioni e possiamo dire che dai pionieri siamo ormai agli early adopters.

Philea ha un gruppo tematico dedicato al tema del core funding e dello sviluppo organizzativo, la “Organisational Development Community of Practice”. Cinque membri del gruppo – Laudes Foundation, Oak Foundation, PeaceNexus Foundation, Mava Foundation e Mercator Foundation Switzerland – hanno lavorato a un rapporto in cui evidenziano come concentrarsi sull’organisational development e sostenere i propri partner con risorse finanziarie e non finanziarie dedicate allo sviluppo delle organizzazioni.

Per un approccio evolutivo alle pratiche di finanziamento più graduale Ariadne Network e Edge Funders Alliance hanno promosso “Funding for Real Change, un portale che raccoglie le storie di tante fondazioni che hanno ripensato le modalità di finanziamento vincolato a progetti con modalità più flessibili, eque e basate sulla fiducia, ampliando le risorse messe a disposizione per i costi di struttura ed estendendo il periodo di tempo dei progetti.

 

Note

  1. OECD, Private Philanthropy for Development, Second edition, 2021.
  2. Si veda Prospera – International network of Women’s Funds.
Foto di copertina: Karl Abuid, Unsplash.com