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Il 17 marzo 2020 su Buone Notizie del Corriere della Sera è stata pubblicata un’inchiesta, curata dal nostro Laboratorio, dedicata ad approfondire il legame tra natalità e welfare nel nostro Paese. In questo articolo Paolo Riva ci aiuta a inquadrare il tema. Qui invece Lorenzo Bandera racconta delle proposte avanzate dalla neonata Alleanza per l’Infanzia.

Una finestra di opportunità si è aperta. In Italia ci sono le condizioni per politiche di sostegno all’infanzia e alla famiglia capaci di contrastare la denatalità. Emmanuele Pavolini, docente di sociologia economica all’Università di Macerata, ne è convinto. «La necessità di investire in questo ambito è ormai assodata: oggi c’è un consenso politico trasversale che dieci anni fa non esisteva. Lentamente, siamo diventati consapevoli di una situazione drammatica: nel nostro Paese nascono pochi bambini, molti di loro sono poveri e non sosteniamo i genitori adeguatamente». I dati parlano chiaro: nel 2019, le donne italiane hanno fatto in media 1,29 figli a testa e, un anno prima, i minori in povertà assoluta erano 1,2 milioni, il dodici per cento del totale. Il punto è che spendiamo poco e male per le famiglie, che spesso rimandano o abbandonano l’idea di fare figli. «La gran parte della spesa sociale sostiene pensioni e sanità», spiega Franca Maino, direttrice del Laboratorio Percorsi di secondo welfare.


Gli investimenti

L’Italia destina l’1,8 per cento del proprio Pil a famiglie e minori, mentre in UE si spende in media il 2,3 per cento. La Francia investe il 2,4. La Germania il 3,3. Tra i grandi Paesi, fa peggio solo la Spagna. Inoltre, riprende la ricercatrice, «le misure di sostegno alla natalità sono frammentate, non universali. A volte, è persino difficile accedervi». Per Maino, la situazione attuale è la conseguenza di scelte confermate dai governi di colori diversi negli ultimi decenni. A pagarne il prezzo maggiore sono le famiglie residenti nelle zone con meno opportunità. «A fare meno figli sono coloro che vivono nelle aree con minori possibilità di occupazione per i giovani e servizi per la conciliazione tra lavoro e famiglia più carenti», sostiene Alessandro Rosina, demografo della Cattolica di Milano. «Per questo l’Italia ha una natalità più bassa rispetto al resto d’Europa e il Sud più bassa del Nord».

Per risolvere questo problema, che ha gravi implicazioni in materia di pensioni, sanità e assistenza, e per sfruttare quella finestra di opportunità descritta da Pavolini, a novembre dello scorso anno, è nata l’Alleanza per l’infanzia. All’iniziativa partecipano ricercatori e accademici, insieme a organizzazioni per l’infanzia e della società civile. Si va dall’Arci all’Associazione Consulenti del Terziario Avanzato ACTA, dai sindacati confederali a Save the Children e Unicef. Anche Percorsi di Secondo welfare ne fa parte, mentre Pavolini e Rosina sono due dei portavoce. La terza è Chiara Saraceno, sociologa da sempre impegnata su questi temi che, in un recente articolo, ha spiegato perché l’Alleanza è convinta che sia il momento giusto per cambiare il preoccupante quadro italiano. Di fronte a questa situazione, a suo giudizio, si deve guardare con favore «alla promessa della ministra Elena Bonetti di definire in tempi brevi un family act comprensivo, entro cui collocare in modo coordinato la riorganizzazione del sistema frammentato dei sostegni economici legati alla presenza di figli, il rafforzamento del sistema dei congedi di maternità e genitoriali, l’ampliamento dell’offerta di servizi socio-educativi di qualità e accessibili».

In pratica, bisogna spendere di più, nell’ordine di alcuni miliardi di euro, e meglio, garantendo alle famiglie aiuti economici sicuri e facili da ottenere, più asili nido e servizi per l’infanzia flessibili e una migliore conciliazione tra vita e lavoro, che riguarda non solo le madri, ma anche i padri. Dopo anni di sostanziale immobilismo, il compito è impegnativo. Pavolini, pur con ottimismo, mette in guardia da alcuni rischi. «Il primo è che i grandi proclami portino a piccole misure poco innovative e poco finanziate. Il secondo è che, per la fretta, si crei un nuovo sistema mal architettato che rischia subito di incepparsi». Il terzo e il quarto riguardano i lavoratori autonomi, «da tenere in grande considerazione perché da troppo tempo esclusi», e le differenze territoriali nella diffusione dei servizi. «Come facciamo – si domanda il professore – a far sì che i fondi per gli asili nido vengano usati in maniera efficace in un’area dove ci sono pochissimi bambini nell’arco di chilometri?». Secondo Franca Maino, in questi anni di debolezza da parte dello Stato, gli attori non pubblici hanno promosso esperienze interessanti. «Il welfare aziendale e territoriale ha sperimentato molto nell’ambito della conciliazione vita e lavoro. E, con i dovuti fondi, molte iniziative locali potrebbero essere riprodotte a livello nazionale».


Governo e Parlamento

Intanto, fervono i lavori. L’Alleanza per l’infanzia sta preparando una serie di proposte concrete, anche dal punto di vista economico, e presto le presenterà alla politica. L’obiettivo è influenzare l’operato del Governo e quello del Parlamento. I prossimi mesi, secondo Pavolini, saranno decisivi. «Per l’estate o al massimo l’autunno ci auguriamo si arrivi a una proposta legislativa organica, per la quale la prossima Legge di stabilità inizi a stanziare risorse adeguate». La finestra è aperta. Prima che si richiuda, i promotori dell’Alleanza per l’infanzia, vogliono sfruttare l’opportunità.

 

Photo Credit: Robert Doisneau (ca. 1956), The Learning Process, Children at School, 5th district, Paris © Atelier Robert Doisneau