Dopo l’assordante silenzio delle scorse settimane, finalmente si è cominciato a riflettere sui bambini e i ragazzi. In realtà però c’è poco da stare allegri perché l’attenzione sembra essersi concentrata soprattutto sul come i genitori potranno ricominciare a lavorare a partire dal prossimo 4 maggio. Visto che le scuole resteranno chiuse almeno fino a settembre, chi si occuperà dei bambini?
Le politiche di conciliazione "extra" messe in campo dal Governo si basano su congedi parentali e servizi di baby sitting. A causa del distanziamento fisico, che impedisce e impedirà di ricorrere a reti parentali – in primis i nonni, che sono tra i soggetti più a rischio contagio – tali misure andranno certamente potenziate da qui all’estate, ma non possono essere considerate una soluzione di lungo periodo. Non si tratta di una questione di poco conto; soprattutto in un Paese come il nostro in cui i carichi di cura ricadono perlopiù sulle donne. In assenza di adeguate politiche di sostegno, infatti, nei prossimi mesi molte donne potrebbero trovarsi costrette a rinunciare al proprio lavoro per occuparsi dei figli.
Una situazione drammatica che, peraltro, non andrebbe a creare conseguenze solo nellla sfera privata (es. mancata realizzazione personale, dipendenza economica, etc.) ma anche in quella pubblica. Dato che le famiglie monoreddito, come sappiamo, sono a maggior rischio di povertà, un’ulteriore esclusione delle donne dal mercato del lavoro avrebbe effetti devastanti sulla capacità del sistema di welfare di sostenere adeguatamente chi vedrà peggiorare la propria situazione economica.
Ma c’è un altro tema su cui occorre riflettere: davvero possiamo pensare ai bambini e ai ragazzi solo in termini di conciliazione? Tendenzialmente no. A parere di chi scrive, mettere al centro i bambini e i ragazzi significa anzitutto partire dal riconoscimento del ruolo e del valore delle istituzioni educative a tutti i livelli, dalla primissima infanzia alle scuole superiori. In questo momento è necessario ripartire non tanto dai problemi di conciliazione, ma dal diritto allo studio come priorità assoluta. In altre parole, la questione deve essere affrontata ponendo l’attenzione verso la necessità di mettere in campo servizi educativi di qualità. In concreto, questo pone due sfide che finora non sono state affrontate: una strategia per la prima infanzia; un’azione più ampia per la ripresa dell’anno scolastico da settembre.
Rispetto al primo punto, l’istruzione e l’educazione pre-scolare sono centrali nel promuovere l’uguaglianza e l’inclusione di bambini e ragazzi. Eppure il Governo fino ad oggi non si è mosso in alcun modo su questo fronte. La speranza è che ora le cose cambino e che, appunto, non si pensi che la soluzione possa essere rappresentata esclusivamente dai congedi e dai voucher baby sitting.
Sul secondo punto, pur riconoscendo lo sforzo fatto per realizzare la didattica a distanza dal Governo (che ha stanziato significative risorse per PC, tablet e connessioni), dagli insegnanti (che si sono trovati improvvisamente catapultati in una modalità di lavoro completamente nuova) e da molte realtà del Terzo Settore (che hanno sostenuto le famiglie che diversamente non sarebbero riuscite a fruirne) è importante tenere a mente che questa non può essere una soluzione di lungo periodo. Piuttosto che contrastare le disuguaglianze di cui parlavamo poco sopra, infatti, la didattica a distanza tende a rafforzarle ulteriormente (ne abbiamo parlato qui) facendo venire meno una delle principali funzioni della scuola.
Visto che le scuole, come detto, non riapriranno in concomitanza con l’agognata fase 2, l’auspicio è quantomeno che si utilizzino questi mesi per capire quali soluzioni possono concretamente essere offerte (anche guardando a quello che stanno facendo gli altri Paesi europei) per garantire il ritorno in classe a settembre secondo i criteri sopra accennati. Se l’obiettivo è quello di tutelare bambini e ragazzi e di contenere la crescita esponenziale delle disuguaglianze che questa crisi rischia di generare, è necessario infatti pensare strumenti nuovi rispetto a quelli messi in campo fino ad ora. Le nuove tecnologie possono essere un complemento ma non un sostituto della didattica in classe.