Nel 2023, la povertà alimentare in Italia è tornata a crescere. Lo confermano i dati preliminari pubblicati dall’ISTAT sulle condizioni di vita e reddito delle famiglie. Si interrompe così una tendenza al progressivo miglioramento, che nemmeno la pandemia era riuscita a invertire, grazie soprattutto alle misure straordinarie adottate per fronteggiare l’emergenza Covid-19.
Tra il 2019 e il 2022, la deprivazione alimentare materiale era scesa dal 9,9% al 7,5%, coinvolgendo circa 4,4 milioni di persone, mentre quella sociale era calata dal 6,9% al 4,8%, interessando 2,4 milioni di individui con almeno 16 anni. Tuttavia, nel 2023, entrambe le forme di deprivazione hanno registrato un incremento di circa un punto: la deprivazione materiale è salita all’8,4%, colpendo circa 4,9 milioni di persone, mentre quella sociale è aumentata al 5,8%, interessando 2,9 milioni di individui con almeno 16 anni. In altre parole, nel 2023, sia la deprivazione alimentare materiale che quella sociale hanno coinvolto circa 500.000 persone in più rispetto all’anno precedente.
Particolarmente colpiti dal fenomeno sono le persone di cittadinanza straniera, quelle con bassi livelli di istruzione, le famiglie in affitto, monogenitoriali e numerose. Questi e molti altri dati sono raccolti nel rapporto di ActionAid I numeri della povertà alimentare in Italia a partire dalle statistiche ufficiali, che offre un’ampia panoramica sulla diffusione e l’intensità della povertà alimentare nel Paese.
Come misurare la povertà alimentare?
Per il secondo anno consecutivo, ActionAid ha analizzato le statistiche ISTAT per stimare i tassi di povertà alimentare nelle diverse regioni italiane. Questo approccio pone sfide significative sia di natura metodologica che politica. La povertà alimentare, infatti, è un fenomeno multidimensionale che impone di considerare molteplici fattori, alcuni dei quali difficili da tradurre in variabili rilevate sul campo.
Per stimare la diffusione della povertà alimentare, in assenza di altri strumenti, risultano preziosi i due indicatori che fanno parte dell’Indice di deprivazione materiale e sociale (MSD) utilizzato nell’indagine EU-SILC: l’impossibilità, per ragioni economiche, di consumare un pasto completo almeno ogni due giorni e l’impossibilità di incontrarsi con amici o parenti almeno una volta al mese per condividere un pasto.
A partire da questi due indicatori, ActionAid ha sviluppato l’Indice di Deprivazione Alimentare Materiale e/o Sociale (DAMS), uno strumento che consente di stimare il numero di individui che, per motivi economici, non hanno accesso a un cibo adeguato e/o non partecipano a eventi sociali legati alla condivisione del cibo. Nel 2022, l’incidenza del DAMS ha raggiunto il 10,5%, coinvolgendo circa 5,3 milioni di persone. Di queste, 3,8 milioni (il 7,5% della popolazione di almeno 16 anni) non sono riuscite ad avere accesso a un pasto completo ogni due giorni, mentre 2,4 milioni (il 4,8%) non hanno partecipato a eventi sociali legati al cibo almeno una volta al mese. Circa 900.000 persone (l’1,8% della popolazione) hanno sperimentato entrambe le condizioni di deprivazione.
Tra le regioni italiane dove l’incidenza del DAMS supera la media nazionale, si trovano la Calabria (25,1%, 403.296 persone), la Campania (21%, 976.369 persone) e il Lazio (14,5%, 708.337 persone).
Non solo accesso economico
Nonostante il riferimento alla deprivazione alimentare consenta di considerare aspetti oltre la sola dimensione materiale del fenomeno, si tratta comunque di due indicatori che riguardano la sfera economica, misurati a partire dalla capacità di spesa degli individui. L’accesso economico a un cibo adeguato, sia sotto il profilo materiale che sociale, pur rappresentando una dimensione fondamentale dell’esperienza della povertà alimentare nei Paesi ad alto reddito, non è tuttavia l’unica.
Come evidenziato in un precedente rapporto sulla povertà alimentare e gli adolescenti, tematica ulteriormente approfondita dal progetto di ricerca DisPARI condotto dall’Università di Milano insieme ad ActionAid e Percorsi di secondo welfare, l’esperienza della povertà alimentare coinvolge molteplici dimensioni del benessere degli individui, a partire da quello psicologico ed emotivo. Rinuncia, mancanza di libertà di scelta e vergogna sono tutte condizioni che caratterizzano l’esperienza della povertà alimentare, sia per gli adulti che per i giovani, e che risultano più difficili da rilevare.
Inoltre, la povertà alimentare non riguarda solo le persone che vivono in condizioni di grave indigenza. I dati ISTAT mostrano chiaramente che la maggioranza delle persone in condizioni di deprivazione alimentare e/o sociale non rientra né nella povertà assoluta né in quella relativa.
La multidimensionalità del fenomeno, gli impatti diversificati in base ai soggetti coinvolti, e la molteplicità dei fattori contestuali che possono attenuare o accentuare il rischio di povertà alimentare — come il livello di istruzione, la partecipazione sociale, lo stato di salute, le condizioni abitative, il territorio, la disponibilità di cibo e la sua adeguatezza sociale, culturale e nutrizionale — mostrano chiaramente che, per avere una stima affidabile della povertà alimentare e intervenire sulle sue determinanti, il reddito rappresenta un punto di partenza, non di arrivo, ai fini di una politica di contrasto al fenomeno.
Oltre l’aiuto alimentare: rafforzare i sistemi di contrasto
In Italia manca una politica strutturata ed efficace per affrontare la povertà alimentare. Per colmare questa lacuna, servirebbero una visione chiara del problema, una strategia a medio-lungo termine e un insieme di azioni coordinate. Questi interventi dovrebbero integrarsi con altre politiche di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale. Tuttavia, tali elementi non emergono in modo coerente dagli attuali programmi nazionali e locali, che si concentrano principalmente sui bisogni alimentari delle persone e delle famiglie in condizioni di vulnerabilità economica e sociale.
Ad oggi, l’approccio prevalente per affrontare la povertà alimentare è “di filiera”. Questo significa che l’attenzione si concentra sulla distribuzione di cibo attraverso canali specifici: acquisti governativi, eccedenze alimentari e donazioni da parte di privati e imprese. Ne sono esempi i programmi come il vecchio PEAD (poi FEAD e ora FSE Plus), il Fondo Nazionale Indigenti e la Legge Gadda, che promuove la redistribuzione delle eccedenze alimentari per finalità di solidarietà sociale, contribuendo al contempo alla riduzione dello spreco alimentare. In tutte queste iniziative, l’aiuto alimentare è considerato un fine e non un mezzo per il contrasto alla povertà alimentare.
Povertà alimentare e diritto al cibo: come rispondere al bisogno di politiche
Anche nei casi in cui il cibo viene usato come strumento per “agganciare” famiglie in difficoltà e inserirle in percorsi di inclusione sociale o lavorativa, esso resta confinato alla sua dimensione materiale e al soddisfacimento di un bisogno immediato. Questo approccio riduttivo impedisce di vedere il cibo come un diritto fondamentale e non solo come una necessità. Di conseguenza, gli interventi si limitano a rispondere a bisogni contingenti, trascurando l’obiettivo più ampio di promuovere il diritto a un’alimentazione adeguata per tutti e tutte.
Una politica di contrasto alla povertà alimentare dovrebbe condividere lo stesso obiettivo di una politica alimentare: garantire il benessere della popolazione. Parafrasando Amartya Sen, potremmo dire che essere liberi dalla fame – obiettivo delle attuali politiche – non equivale a vivere in una condizione di sicurezza alimentare. Quest’ultima richiede di considerare il cibo non solo nella sua dimensione materiale (qualità, quantità e adeguatezza nutrizionale), ma anche nelle sue dimensioni immateriali, come gli aspetti relazionali, culturali, sociali, psicologici ed emotivi.
Per essere efficace, una politica di contrasto alla povertà alimentare deve affrontare le cause profonde – non solo economiche – e le molteplici conseguenze del fenomeno. Le filiere di aiuto alimentare rappresentano un passo iniziale, utile in situazioni di emergenza, ma non sufficiente per risolvere il problema in modo strutturale. Più che rafforzare un approccio emergenziale, argomento che è servito per giustificare il potenziamento dei canali di aiuto alimentare negli ultimi anni, è fondamentale costruire sistemi di contrasto radicati e integrati, capaci di intervenire sulle diverse dimensioni della povertà alimentare e promuovere il diritto al cibo come elemento centrale per il benessere e l’inclusione sociale.