La povertà alimentare rappresenta il nucleo centrale della povertà, dal quale si diramano altre forme di disagio, arrivando a compromettere l’intero benessere – fisico, sociale e psicologico – degli adolescenti. Comprendere il fenomeno nella sua gravità è fondamentale per elaborare interventi volti a ridurre le disuguaglianze, agendo sulla vulnerabilità e marginalità sociale delle famiglie.

Avvalendosi della collaborazione dell’Advisory Board, composto da esperti in materia, il progetto DisPARI concentra la propria attenzione sulle conseguenze immateriali esperite dagli adolescenti in condizioni di povertà alimentare, con l’intento di sviluppare una concettualizzazione e misurazione accurata del fenomeno.

In questa intervista (disponibile anche in inglese), Enrica Chiappero, professoressa ordinaria di Politica economica presso l’Università degli Studi di Pavia, ci offre la sua prospettiva sulla multidimensionalità della povertà alimentare. A partire dalla sua tesi di dottorato, Chiappero si è occupata di temi di marginalizzazione, vulnerabilità e povertà giovanile, focalizzandosi sull’istruzione e la transizione al mercato del lavoro. Più recentemente, ha contribuito al lavoro del comitato scientifico Istat per aggiornare le metodologie di misurazione della povertà assoluta.

Secondo lei, qual è la connessione tra povertà assoluta e povertà alimentare?

La povertà alimentare è una dimensione centrale della povertà assoluta perché rappresenta realmente una forma di privazione estrema. È una condizione che evoca una fragilità profonda per la famiglia, con un impatto significativo sulla qualità della vita di genitori e figli. Credo non ci sia nulla di più drammatico per una famiglia del non riuscire a garantire un’alimentazione adeguata per i propri figli.

La condizione di deprivazione alimentare può generare o aggravare altre forme di privazione, creando un accumulo di svantaggi che in letteratura vengono definiti “svantaggi corrosivi”. In un certo senso, la povertà alimentare costituisce il nucleo centrale della povertà, che è sintomatico di condizioni di privazione anche in altri aspetti. Dunque, se si riuscisse a intervenire sulla povertà alimentare, si potrebbero avere effetti benefici anche su altre dimensioni: sulla salute mentale e fisica, sull’educazione e sulla marginalità sociale.

Perché è importante comprendere e parlare del fenomeno della povertà alimentare?

La povertà alimentare rappresenta un campanello d’allarme che stiamo sottovalutando. I numeri della povertà assoluta sono in crescita, specialmente al Nord, anche a causa dell’aumento dell’inflazione, inclusi i costi del cibo. Famiglie che fino a qualche anno fa non erano considerate a rischio di povertà si trovano ora in una condizione di privazione severa, anche di tipo alimentare, con un’elevata incidenza della povertà minorile tra le famiglie straniere. La povertà minorile e alimentare stanno diventando un’emergenza, e mancano politiche adeguate ad affrontarla, inclusa una forma di sostegno al reddito di natura universale. Garantire l’accessibilità del servizio mensa su tutto il territorio nazionale ed estendere il servizio anche alla scuola secondaria potrebbe rappresentare un supporto concreto alla soluzione del problema

Quali sono le dimensioni della povertà alimentare e come si collegano alla marginalizzazione sociale degli adolescenti?

Anzitutto, la povertà alimentare si manifesta attraverso una dimensione materiale, rappresentata dall’impossibilità di accedere a un’alimentazione adeguata e sufficiente. Questa carenza si riflette poi su una seconda dimensione, legata alla salute fisica e mentale, con conseguenze particolarmente rilevanti per gli adolescenti. Ad esempio, per una giovane ragazza in età puberale, un’alimentazione non adeguata può compromettere il benessere fisico e avere ripercussioni sulla salute mentale, manifestabili in forma di depressione, stigma e senso di frustrazione.

Vi è poi una dimensione psicologica, sociale e relazionale: il cibo non è soltanto nutrimento, ma anche strumento di relazioni. L’impossibilità di condividere un momento di convivialità con gli amici diventa una forma di esclusione sociale. Questo spesso può portare gli adolescenti a isolarsi, per evitare di dover ammettere le proprie difficoltà. Il senso di non appartenenza che ne deriva, infatti, può lasciare un segno nella vita dell’adolescente, difficilmente sanabile nella vita adulta. La mancanza di un’alimentazione adeguata ha conseguenze negative per tutti, ma in una fase già difficile e delicata come l’adolescenza rischia di aggravare le situazioni di disagio.

Quale ruolo potrebbe avere l’innovazione sociale nel combattere il fenomeno della povertà alimentare?

Personalmente credo fermamente nell’innovazione sociale e nella sua capacità di costruire un tessuto sociale di solidarietà e aiuto. Spesso, le iniziative di innovazione presenti sul territorio rappresentano l’unica risorsa per le famiglie in difficoltà e, per questo, sono attività encomiabili. Tuttavia, l’innovazione sociale ha bisogno di un terreno fertile per emergere. In assenza di un contesto favorevole, c’è il rischio che l’innovazione – anche se ben costruita – si sviluppi in maniera difforme, lasciando scoperti proprio i territori ove il supporto è più necessario.

Un’altra preoccupazione riguarda la deresponsabilizzazione che la presenza di queste iniziative può portare nelle amministrazioni pubbliche e nello Stato. L’innovazione sociale ha un valore sociale e solidale fondamentale, ma è importante mappare ciò che manca sul territorio per evitare di trascurare alcuni segmenti della popolazione. Infine, non credo l’innovazione sociale debba sempre portare a una generalizzazione a livello nazionale. Le dimensioni di comunità e di empowerment sono centrali in queste attività, ma rischiano di perdere valore se vengono decontestualizzate. La soluzione, dunque, è chiedersi come costruire il tessuto sociale nei contesti più difficili e promuovere tali attività proprio nelle aree escluse dalle politiche.

Quali sfide si presentano nel contrastare le povertà alimentare?

La prima sfida è la consapevolezza del fenomeno: riconoscere che la povertà alimentare non è soltanto un aspetto della povertà materiale e assoluta, ma rappresenta una dimensione specifica. Essere consapevoli che questa dimensione esiste e si sta aggravando dovrebbe aiutarci a comprendere il problema nella sua reale gravità. Nei Paesi dove il cibo è riconosciuto come un diritto, la povertà alimentare non è delegata in toto a iniziative pur preziosissime come il Banco Alimentare e alle reti di solidarietà sociale ma diventa una responsabilità dei governi garantire che il diritto al cibo venga rispettato.

La seconda difficoltà è che le nostre società sono sempre più incentrate sui consumi, e gli individui vengono visti principalmente se non esclusivamente come consumatori. Questo, secondo me, aggrava il problema della povertà, poiché rende evidente ai giovani il divario tra ciò che dovrebbero avere e ciò che manca nelle loro famiglie, mentre la centralità del consumo nella costruzione dell’identità alimenta il senso di frustrazione, fatica ed esclusione sociale.

Infine, sarebbe necessaria una politica di contenimento dei prezzi, soprattutto nel settore alimentare. La crescita generalizzata dei costi avvenuta negli ultimi anni è estremamente problematica, e un controllo dei prezzi da parte del governo potrebbe aiutare le famiglie più in difficoltà. Invece, ci troviamo di fronte a una spirale di redditi bassi, prezzi degli alimenti elevati e un’eccessiva spinta verso il consumo.

 

Foto di copertina: Canale YouTube dell'Università di Pavia