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Secondo gli esperti, entro la fine dell’anno il contratto a tutele crescenti sarà adottato per circa la metà delle nuove assunzioni. Non si tratterà solo di un cambiamento di regole: gradualmente si affermerà una nuova logica di rapporti fra imprese, lavoratori e Stato, più simile a quella degli altri Paesi europei, efficace e inclusiva. È una grande scommessa.
Nell'ambito delle Parite IVA uno dei regimi cui è stato fatto maggiormente ricorso sino alla fine del 2014 è il cosiddetto regime contribuenti minimi, che è stato tuttavia abrogato dalla Legge di Stabilità 2015 e sostituito dal 1° gennaio dal cosiddetto regime forfettario. Cosa cambia con questo nuovo regime? Quali effetti produrrà sul mercato del lavoro italiano?
In meno di un anno il Jobs act è passato dal libro dei desideri alla Gazzetta Ufficiale. Come tutti i grandi cambiamenti, il provvedimento genera molta incertezza e qualche timore nell’opinione pubblica, oltre a dure critiche da parte sindacale. È perciò utile richiamare alcuni elementi di fatto di questa riforma e interrogarsi sui suoi probabili effetti.
I critici del Jobs Act chiedono che il governo stanzi più risorse con la legge di stabilità per sostenere il lavoro. La richiesta è sensata, ma nessuno sembra preoccuparsi delle questioni progettuali e organizzative, che sono forse più importanti. Nella tradizione italiana, riformare ha spesso significato solo cambiare le norme e, quasi sempre, spendere più soldi. Ma senza un disegno coerente, incentivi efficienti, capacità organizzative e di attuazione difficilmente si andrà da qualche parte.
Pensare di tornare a un’organizzazione industriale centrata sulla figura del capofamiglia equivale a sfogliare un vecchio album di famiglia. In questo contesto occorre predisporsi a considerare il lavoro come qualcosa che muta con una velocità incredibile e, di conseguenza, chi si pone il compito di tutelarlo deve tenersi costantemente aggiornato.
In Italia la capacità dei centri per l’impiego pubblici di trovare lavoro ai disoccupati è insignificante: gli occupati che hanno trovato lavoro attraverso i Cpi rappresentano il 2,6% della platea dei disoccupati registrati. Quali sono le cause di una tale situazione? Quali riforme potrebbero aumentare in modo significativo la capacità dei servizi pubblici d’intermediare la domanda e l’offerta di lavoro e ridurre i tempi di collocamento dei beneficiari dei sussidi di disoccupazione?
Uno sguardo critico al diversity management. E’ la proposta di Maria Cristina Bombelli e Alessandra Lazazzara in un articolo interessante nel contenuto ma anche del metodo: finora, infatti, i contributi scientifici pubblicati in Italia in materia di diversity si sono limitati per lo più a passare in rassegna le best practice aziendali senza valutarne l’efficacia o verificarne l’implementazione.
Con la crisi sono nate molte iniziative volte a insegnare ai giovani vecchi e nuovi mestieri. Uno di queste è la Piazza dei Mestieri di Torino, una Fondazione che offre formazione e percorsi di inserimento nel lavoro: nelle sue aule negli ultimi 10 anni sono passati più o meno 3.000 ragazzi e ragazze, grazie ai corsi l’85% ha ottenuto un inserimento lavorativo immediato.
Il Senato ha approvato in Commissione il disegno di legge delega noto come Jobs act. Se il dibattito si è scatenato quasi esclusivamente sull'articolo 18, per chi è interessato alle buone riforme invece la domanda da porre è molto semplice: il Jobs act affronta in modo serio i problemi concreti dell’economia e della società italiana di oggi? E fornisce risposte promettenti?
Negli ultimi mesi Peter Hartz si è detto addirittura «indignato» di come l’Unione europea (non) stia reagendo al dramma della disoccupazione giovanile e ha avanzato una proposta molto interessante per affrontare il problema: l’istituzione di una sorta di servizio «comune» per l’impiego, volto a promuovere la mobilità transfrontaliera dei giovani.
La riforma del mercato del lavoro ragionevolmente si ispirerà al modello tedesco. Per i non addetti ai lavori sorgono spontanee due domande: perché dobbiamo imitare proprio la Germania? E in che cosa, esattamente? Maurizio Ferrera analizza luci e ombre delle cosiddette riforme Hartz, che a partire dal 2003 hanno cambiato il volto del sistema del lavoro teutonico.
Aumentare l'occupazione femminile non basta. E' giusto creare lavoro per le donne, ma occorre anche offrire pari opportunità nella scelta dei percorsi lavorativi e uguaglianza nella retribuzione tra uomini e donne, nonché un costante impegno sul fronte culturale nella decostruzione dei ruoli tradizionali di genere.
Si fa sempre più acceso il dibattito sulla riforma del lavoro. In attesa di valutazioni circostanziate della riforma Fornero, il governo può però fare molte altre cose in tema di relazioni contrattuali, in primis la semplificazione del codice del lavoro e la sperimentazione di nuove forme di assunzione a tempo indeterminato ispirate alle pratiche virtuose di altri Paesi e rispettose delle norme protettive previste dalla Ue.