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“È una manovra di grande equilibrio, che aiuta le famiglie con figli” e che ha proseguito “sulla strada del sostegno alla natalità”. Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha presentato la Legge di Bilancio 2025, la terza approvata dal suo Governo. 

Non è una novità.
Fin dal suo insediamento, l’esecutivo guidato da Fratelli d’Italia ha sempre indicato famiglia e natalità tra le sue priorità politiche. 

Lo ha ribadito anche la Ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Roccella, a fine dicembre: la Legge di Bilancio “conferma la grande attenzione del governo per le famiglie, per la natalità”. 

Ma se i provvedimenti approvati finora hanno indubbiamente portato alcuni miglioramenti alla vita dei nuclei con figli (o almeno a certe categorie tra questi), difficilmente avranno un impatto sul basso numero di nascite che caratterizza il nostro Paese ormai da decenni (di cui Secondo Welfare si occupa da tempo con la serie Denatalitalia, ndr). 

Una sintesi grafica di Secondo Welfare delle principali misure di welfare contenute nella Legge di Bilancio 2025: natalità e famiglia, welfare aziendale, povertà e inclusione, povertà educativa e salute mentale.

“Queste misure contribuiscono indubbiamente ad alleggerire il costo dei figli/e, specialmente nei primissimi anni di vita. Tuttavia presentano alcuni problemi dal lato sia dell’equità, sia del riequilibrio dei compiti di cura tra madri e padri, sia dell’efficacia rispetto al sostegno alla natalità”, ha scritto l’Alleanza per l’infanzia in un documento presentato in un’audizione parlamentare durante la discussione in Parlamento della Legge di Bilancio.

Da allora, poco è cambiato. “Confermo quella valutazione”, dice oggi in un’intervista a Secondo Welfare la sociologa Chiara Saraceno, che è tra i portavoce dell’Alleanza. 

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Misure tante, strutturali poche

Le misure contenute la Legge di Bilancio che riguardano famiglia e natalità sono numerose: dai fringe benefit più ricchi per i lavoratori con figli, alle maggiori detrazioni per le spese scolastiche, fino alle agevolazioni per i giovani nell’accendere un mutuo per la casa. 

Inoltre, l’Assegno unico universale, al centro di alcune polemiche estive, è stato confermato e sono stati rafforzati sia il bonus per gli asili nido sia la decontribuzione parziale dedicata alle madri lavoratrici. Quest’ultima ora riguarda non solo le dipendenti, ma anche le autonome (purché con un reddito non superiore a 40.000 euro l’anno e non in regime forfettario) con due figli fino al compimento del decimo anno di età del più piccolo e quelle con tre figli o più fino al raggiungimento della maggiore età del più piccolo (a partire dal 2027). 

La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, gennaio 2025 - Foto: governo.it con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT
La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, gennaio 2025 – Foto: governo.it con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT

“Quest’ultima è sicuramente una buona cosa, anche se esclude inspiegabilmente le Colf e anche se riguarda chi ha già più di un figlio, senza fornire alcun incentivo a chi deve decidere se averne uno. Il bonus nido, invece, si scontra con la mancanza di asili in molte zone del Paese, commenta Saraceno, facendo riferimento in particolare agli ultimi dati dell’Ufficio parlamentare di bilancio sulle difficoltà che l’Italia sta avendo nel raggiungere gli obiettivi indicati dal PNRR in questo ambito. La Legge di Bilancio, poi, ha stabilito che le erogazioni relative all’Assegno unico universale non rilevino nella determinazione dell’ISEE, l’indicatore per valutare la situazione economica dei nuclei familiari e ottenere sussidi pubblici.  

Il vero fronte “caldo” resta però quello del sostegno alla natalità. In base ai dati provvisori di Istat, relativi ai primi sette mesi del 2024, le nascite sono state 4.600 in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e questo, ha spiegato a dicembre il presidente dell’istituto Francesco Chelli porterà a “un altro record negativo per il numero di nati in Italia”.  

Per cercare di invertire questa tendenza, il governo ha approvato tre provvedimenti che potrebbero essere definiti i tre cavalieri della natalità: il bonus nascite, il quoziente famigliare per le detrazioni e un congedo parentale più ricco. Misure caratterizzate da luci e ombre, e giudicate da più esperti come ancora insufficienti per frenare un calo delle nascite che, per ragioni strutturali, continua. Ma andiamo con ordine.

Bonus nascite, il ritorno

Il Governo Meloni ha reintrodotto un contributo una tantum destinato ai neogenitori: 1.000 euro per i nuclei con un ISEE sotto i 40.000, erogati in un’unica soluzione per ogni nascita o adozione. 

Si chiama Bonus per le nuove nascite ed è un ritorno perché, come ha ricordato Linkiesta, già nel 2004 l’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi inviava alle famiglie dei nuovi nati una lettera con la sua firma per annunciare un sostegno economico, che anche all’epoca era di 1000 euro. In questi venti anni, misure come queste sono state introdotte e abolite più volte, generando un’incertezza che, a detta di esperti e dati, non spinge a fare figli.

“Bonus come questi servono a poco se si vogliono incentivare le nascite”, commenta Saraceno. “Una persona che non ha un lavoro sicuro o una casa adeguata, decide di fare un figlio perché ottiene 1.000 euro una tantum dallo Stato? Deve essere pazza”, aggiunge la professoressa.

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Per la misura il Governo ha stanziato 330 milioni di euro per il 2025 e di 360 milioni per il 2026. Saraceno mette in guardia che potrebbero non bastare e, infatti, la stessa Legge di Bilancio specifica che l’importo del contributo e i criteri di accesso potrebbero essere rivisti, generando una situazione paradossale per cui una famiglia che ha deciso ora di fare un figlio pensando di contare su questi 1.000 euro potrebbe finire per non riceverli a fine anno. 

L’introduzione di questo bonus, inoltre, sostiene la sociologa, “è un ritorno alla frammentazione, che va in direzione opposta all’introduzione dell’Assegno unico universale. “Si sarebbe potuto aumentare quello, che è praticamente inesistente per i nuclei con un ISEE sopra i 40.000 euro. Si sarebbe migliorato l’universalismo, ma il Governo è refrattario alle misure universali, preferisce le categorie”, chiosa Saraceno. 

Detrazioni in base ai figli

La seconda misura importante di questa Legge di Bilancio in ambito natalità è un riordino delle detrazioni fiscali, che pongono limiti a oneri e spese ammissibili alle detrazioni (con la previsione di un limite complessivo per redditi oltre i 75.000 euro) e che introducono un quoziente familiare per il calcolo delle detrazioni stesse. 

“Il limite detraibile base – spiega ADN Kronos – è di 14.000 euro per chi ha un reddito tra 75.000 e 100.000 euro, e di 8.000 euro per chi ha un reddito superiore a 100.000 euro. Questi importi vengono moltiplicati per i coefficienti indicati in base al numero di figli a carico”. Quest’ultimo aspetto è, in pratica, il quoziente famigliare. 

Il Ministro dell'Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti (a destra), ottobre 2024 - Foto: governo.it con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT
Il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti (a destra), ottobre 2024 – Foto: governo.it con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT

Quando il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti l’ha proposto, il provvedimento è stato molto commentato perché il tema di calcolare le tasse (e non solo le detrazioni) in maniera proporzionale ai figli è da tempo una delle richieste di diverse organizzazioni impegnate per le famiglie e la natalità. Il presidente della Fondazione Natalità Gigi De Palo, per esempio, ne ha parlato in termini positivi al TG2, dicendo di aver “rotto le scatole” affinché venisse introdotta la misura.  

Saraceno, dal canto suo, condivide che “le detrazioni dovrebbero tenere conto dei familiari a carico”, ma si chiede se siano lo strumento più adatto da mettere in campo nel contesto italiano e nel momento attuale. “Le detrazioni le può fare chi ha i soldi da spendere, mentre se lo Stato finanzia dei servizi, questi vanno a vantaggio di tutti, anche dei più poveri”, argomenta. 

In Italia, secondo gli ultimi dati ISTAT, nel 2023, le famiglie in povertà assoluta erano 2,2 milioni per un totale di 5,7 milioni di persone. Per loro, il quoziente familiare rischia di cambiare poco. 

Congedi parentali più ricchi

Ultimo, ma non certo per importanza, è l’intervento sul congedo parentale, una misura introdotta nel 2000 che si può aggiungere ai congedi di maternità (5 mesi) e di paternità (10 giorni). In via ordinaria ciascun genitore può usufruirne per 3 mesi, non trasferibili all’altro. 

Oltre a questi 6 mesi combinati, i genitori hanno poi diritto, in alternativa tra loro, a un ulteriore congedo della durata complessiva di altri 4 mesi. In totale, fanno 10 mesi (11 mesi, se il padre prende almeno tre mesi di congedo) complessivi per i quali si riceve un indennizzo legato al proprio stipendio. L’ultima Legge di Bilancio ha alzato questo indennizzo, per i soli dipendenti. I mesi che vengono indennizzati con l’80% dello stipendio sono passati da 2 a 3, mentre per i restanti 6 l’indennizzo rimane pari al 30%. 

É un cambiamento che Saraceno giudica in modo molto positivo. “Più volte in passato abbiamo chiesto di migliorare i congedi”, dice. Al tempo stesso, però, pensa sia un’occasione persa. 

Eugenia Maria Roccell, Ministra alla Famiglia, Natalità e Pari opportunità, novembre 2024 - Foto: governo.it con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT
Eugenia Maria Roccell, Ministra alla Famiglia, Natalità e Pari opportunità, novembre 2024 – Foto: governo.it con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT

Dal suo punto di vista, si sarebbero potuti introdurre ulteriori accorgimenti per incentivare i padri – che già hanno un congedo di paternità insufficiente – ad usufuire maggiormente del congedo parentale, decidendo che nessuno dei due genitori può fruire di più di due dei tre mesi indennizzati all’80%. L’Alleanza per l’infanzia, insieme ad altre associazioni ed anche al presidente dell’INPS, lo aveva chiesto durante il passaggio in Parlamento della Legge di Bilancio ma, secondo Saraceno, il Governo ha avuto “una posizione ideologica”, che definisce “valorizzazione della maternità”, ma che in realtà mantiene “una forte asimmetria” tra padri e madri. 

Secondo l’OCSE, invece, l’approccio migliore per i Paesi preoccupati per i tassi di fertilità sarebbe quello che promuove “una maggiore uguaglianza di genere e una più equa condivisione del lavoro e della cura dei figli. È un tema che anche Secondo Welfare ha messo al centro del suo rapporto “Famiglia, Asili, Servizi, Temi. L’agenda FAST per contrastare la denatalità in Italia”. 

La parità, però, diventa difficile da raggiungere se i congedi parentali, per quanto più ricchi, continueranno ad essere sfruttati soprattutto dalle madri. 

Famiglie o natalità?

Saraceno e l’Alleanza per l’infanzia non sono gli unici a sollevare perplessità sulle misure per natalità e famiglia contenute  Legge di Bilancio 2025. Il portale di demografia Neodemos ha scritto in un editoriale che “è difficile pensare che misure di questo tipo possano effettivamente spingere verso l’alto la natalità, ossia mettere chi desidera avere figli nelle condizioni effettive di averli”. 

É una valutazione molto simile a quella che era stata data della Legge di Bilancio 2024. 

Sia in quella, sia in quella attuale non ci sono stati grandi provvedimenti strutturali a cambiare il quadro complessivo: le condizioni in cui scegliere di fare un figlio rimangono un punto centrale, e irrisolto. 

“Se gran parte della precarietà è concentrata nei giovani, se i salari sono bassi, se manca una politica della casa, è difficile che i giovani escano di casa e, se ne hanno il desiderio, pensino di mettere su famiglia”, ragiona Saraceno. 

Un’agenda concreta per agire (velocemente) sulla natalità italiana

É un punto che ha sollevato anche la Commissione Europea nel 2024, nelle raccomandazioni che ogni anno emette per ogni Stato UE. Nel documento, si chiedeva all’Italia di “contrastare le tendenze demografiche negative per attenuarne gli effetti sulla crescita potenziale, anche attraendo e trattenendo lavoratori altamente qualificati e superando le sfide che si pongono sul mercato del lavoro, in particolare per le donne e i giovani e in termini di povertà lavorativa, specie per i lavoratori con contratti atipici”. 

Secondo Saraceno, “è difficile fare delle politiche pro natalità soltanto agendo sugli incentivi monetari”, per due motivi. Il primo è che la riduzione delle nascite “è un fatto culturale in tutti i paesi, anche quelli più generosi”. Il secondo è che in Italia le donne faticano a conciliare molto più che altrove, “sia perché gli uomini contribuiscono poco, sia perché mancano i servizi”. “È qui – conclude – che bisogna agire: incoraggiando i padri a condividere la cura e mettendo fondi importanti sui servizi”.

I nostri approfondimenti sulla Legge di Bilancio 2025

– Natalità e conciliazione: poco impatto sulle nascite di Paolo Riva
– Welfare aziendale e fringe benefit: cosa cambia di Valentino Santoni
 Misure di contrasto alla povertà: cosa cambia di Chiara Lodi Rizzini
– Non possiamo rinunciare al Fondo contro la povertà educativa di Chiara Agostini
 Misure per la salute mentale: le principali novità di Viola Simonetti
Perché la Legge di Bilancio ricorda il Giorno della Marmotta di Lorenzo Bandera

Foto di copertina: Tim Bish, Unsplash